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La sanità del Sud. Tra malagestione e pochi eroi

di Ettore Jorio

La sanità del Mezzogiorno è affetta da insanabili patologie strutturali, da una gestione soventemente improntata alla illegalità e da una conduzione amministrativa caratterizzata dalla frequente corruttela. Ma c’è anche chi urla, giustamente, la sua rabbia (e la nostra)

17 APR - La sanità vive nel Mezzogiorno (esteso geograficamente al Lazio) un disagio senza precedenti. Gli ospedali scoppiano, con le corsie e i pronto soccorso pieni zeppi di “eroi” che si danno da fare per dare il loro contributo alla ressa di bisognosi che cercano ivi un riparo. Un territorio inaridito sempre di più da una assistenza che non c’è, al lordo di quella convenzionata che lascia, molto spesso, nella solitudine i “clienti”, i quali - nonostante tutto - rimangono in carico ai loro medici per difetto di alternativa.

L’esercito degli anziani – buoni a garantire la paghetta ai nipoti con le loro pensioni (spesso di invalidità) - abbandonati da un sistema che neppure li considera, se non da chi ha interesse economico ad istituzionalizzarli nelle apposite residenze.

A rincarare la dose delle anzidette criticità ci pensano le istituzioni impegnate nei controlli. Guardia di finanza e Corte dei conti sottolineano, infatti, le numerose e ingenti truffe perpetrate a danno del Servizio sanitario nazionale per qualche miliardo di euro.

Questo è solo una parte di ciò che accade in una sanità irrimediabilmente affetta da insanabili patologie strutturali, una gestione soventemente improntata alla illegalità e una conduzione amministrativa caratterizzata dalla frequente corruttela.

A fronte di queste cose e di tante altre - che si evitano qui di elencare per mancata propensione per il macabro - una serie di mendaci assicurazioni.

In ordine gerarchico. Di un Ministro, che tollera, come già ricordato in altro articolo, la malagestio rilevabile in tutta la suddetta area geografica, tanto da arrivare persino a ringraziare pubblicamente la Calabria per quello che sta realizzando in termini di gestione della salute. Di Governatori-commissari – dei quali qualcuno, in prossimità delle elezioni europee, tenterà la fuga dalle sentenze penali intervenute – che declamano risultati immaginari, attribuendosi qualità salvifiche sulla erogazione dei Lea e sui conti dopo avere raso al suolo entrambi, con la fattiva complicità dei sub-commissari e degli advisor. Direttori generali che fanno tutto tranne che amministrare bene le loro ASL e AO, graziati dalle Regioni, dolosamente colpevoli di non mandarli a casa così come la legge vorrebbe in presenza di sensibili disavanzi, spesso truccati da pareggi strumentali a nascondere la verità.

A valle di tutto questo, espressione fisica della catena dell’assistenza, ci sono i medici e gli operatori tutti, facili a distinguersi in due categorie. Quelli che hanno il coraggio di mettere la loro faccia nelle rivendicazioni e nella corretta pretesa di potere lavorare come “Ippocrate” comanda, nel senso di fare dignitosamente ciò che spetta loro per lenire le sofferenze altrui. Quelli che, una volta indossata la “tuta blu” della protesta, lottano per un lavoro dignitoso e per i diritti costituzionali da rendere ai cittadini dei quali devono essere garanti. Quelli che hanno imparato (bene) a parlare in pubblico per necessità a causa del mutismo di chi, di contro, dovrebbe scendere in piazza per fare ivi le battaglie sociali dei deboli, intendendo per tali i poveri, gli ammalati, i single settuagenari e oltre, nonché gli immigrati senza patria e a corto di accoglienza civile. Quelli che insomma stanno imparando “per bisogno” l’arte della politica, di quella di una volta. Di quella politica che il grande Enrico Berlinguer ha messo addirittura prima dell’ictus che lo stava uccidendo.   

Poi ci sono gli altri. Quelli che farebbero bene a mettere la loro faccia sotto i piedi. Quelli che rimangono a casa. Quelli che guadagnano, soventemente, quelle unità operative complesse o semplici che si regalano a tutti gli amici e che si negano agli altri a prescindere dai loro conclamati meriti. Quelli che amano guadagnare una pacca sulla spalla da parte del politico di turno. Quelli che concepiscono la loro missione come ricerca delle elemosine di potere che una certa politica garantisce loro, in cambio di consensi elettorali all’ingrosso e grossolani.

I primi sono quelli che urlano, giustamente, la loro rabbia (e la nostra). Tra questi quelli dell’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza che lo fanno da mesi, nell’incuranza generale e nell’incoscienza del management che non governa.

Gli altri? Li lasciamo immaginare ai lettori.

Ai primi il nostro grazie!
 
Prof. avv. Ettore Jorio
Università della Calabria – Fondazione traPArenza


17 aprile 2014
© Riproduzione riservata


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