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Stiamo transitando in un sistema sanitario misto?

di Mauro Quattrone

Talvolta non è solo il valore assoluto della partecipazione statale al contributo complessivo per la sanità a darci un indicatore di effettivo intervento pubblicistico. Talvolta sono gli obiettivi di programma a qualificare la spesa partendo da finalità di interesse comune e generale

11 APR - Uno dei principi fondanti della nostra Carta Costituzionale era quello di garantire a tutti i cittadini della Repubblica il diritto di cura della salute a tutela dell’interesse generale del paese.(art. 32)
Sicuramente, in quel periodo storico, il sistema sanitario in generale era sicuramente meno complesso, più personalizzato (medico di famiglia) e meno tecnologico. L’età media della popolazione era di 31 anni o meno, l’aspettativa di vita era di poco superiore a 69 anni.

Il futuro sistema sanitario che si baserà su una  medicina predittiva, cioè con cure, interventi e farmaci personalizzati, sulla dotazione ai pazienti di importanti ausili tecnologici e funzionali per  monitoraggio in running delle patologie acquisite, porterà sicuramente, all’esborso di importanti risorse finanziarie per la sanità.

Orbene in un paese come l’Italia, dove l’ultimo censimento nazionale 2013 individuava l’età media della popolazione in anni 43 e dove l’aspettativa di vita è quella degli anni 85 e più, è logico e naturale che, preservando nel sistema sanitario l’indirizzo pubblicistico, le risorse sanitarie devono essere corrispondenti a certi parametri che oltre alla natura demografica della popolazione devono prendere in considerazione le patologie più ricorrenti e la prevenzione nel territorio.

Tralasciando le esternazioni primaverili della Ministra Lorenzin sul taglio di ulteriori dieci milioni di euro ai bilanci della sanità regionale (non sarebbe opportuno, in sintonia con la politica di spending review di questo governo, una drastica sforbiciata alle eccessive direzioni generali del suo dicastero?) l’intervento dell’OCSE è stato sicuramente puntuale e stringente, considerando che l’Italia fa parte di un numero ristretto di paesi industrializzati in cui la spesa sanitaria è sicuramente superiore allo scarso 5,25 % proposto dal commissario Cottarelli, anche in considerazione del fatto che il dettame costituzionale ed europeo si ispira ad una sanità con prevalente intervento finanziario ed organizzativo pubblicistico in un  sistema complessivo pubblico e privato non prevalente..

Ora partendo da questi presupposti vorrei approfondire l’ipotesi se in Italia stiamo transitando da un sistema sanitario prettamente pubblico ad un sistema misto (Stato-famiglie) partendo da indicatori che ci vengono forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità WHO.

Secondo una scuola di pensiero scandinava e centro europea che fa capo all’economista e statistico sanitario norvegese Terje L.Berstad si può definire un sistema sanitario, prevalentemente pubblico, un sistema finanziato dallo Stato o/e dalle organizzazioni pubbliche territoriali che copra l’ottanta per cento e più delle spesa complessiva sanitaria delle tre macro-aree (mutualistica, ospedaliera e farmacologica) inclusi gli investimenti.

Se osserviamo i dati WHO 2012 i paesi comunitari o extracomunitari industrializzati  che sicuramente, in base a questo parametro, dispensano assistenza  pubblica con valori dell’ottanta per cento o più sono: U.K., Giappone, Svezia, Norvegia, Danimarca, R. Ceca.

In una zona intermedia tra il settantacinque ed il settantotto troviamo l’Australia, Canada, Belgio, Finlandia, Francia, Germania.
L’Italia si assesta al 76,2%, la Grecia al 61,2% e gli USA al 56,9%

Sicuramente questi dati non possono essere esaustivi sulla dicotomia sistema sanitario pubblico o sistema misto

Un’altro parametro, più fondato, che ci viene introdotto dall’Organizzazione mondiale della sanità è quello “out of pocket” che rappresenta il contributo finanziario percentuale che le famiglie devono fornire al SSN per le coperture alla sanità non assistita dallo Stato.

Per definizione della stessa WHO questo indicatore è sicuramente quello che rappresentare un sistema di equità e di giustizia nella contribuzione complessiva del SSN, perché viene sostenuto dalle famiglie.

Se osserviamo i valori, è l’Italia con il 10,4% che si colloca alla prima posizione raffrontando il contributo statale e quello familiare.

Ora è ovvio che diminuendo i finanziamenti alla sanità saranno le famiglie a colmare il gap tra costi e ricavi, e ricadrà sulla comunità regionale reperire le risorse di copertura tramite il contributo in ticket per prestazioni, contributo alla spesa farmaceutica, meno risorse per la cura di persone svantaggiate fisicamente, meno contributi per la prevenzione, chiusura di strutture sanitarie o di primo intervento nel territorio.

Talvolta non è solo il valore assoluto della partecipazione statale al contributo complessivo per la sanità a darci un indicatore di effettivo intervento pubblicistico. Se prendiamo in considerazione gli Stati Uniti il contributo statale del 56,9% sarà colmato, per la restante parte, dal contributo familiare coperto da assicurazioni private e para-pubbliche.

Molto importante è la qualificazione della spesa statale sanitaria.
L’Affordable Care Act ( ACA ) come obiettivo primario ha previsto la possibilità di usufruire del’assicurazione sanitaria  a tutti i cittadini, ai lavorati dipendenti, agli anziani e a tutti coloro che si trovano in condizioni fisiche e sociali svantaggiate.
Però l’obiettivo secondario, forse più qualificante del contributo statale, è stato quello di sottoporre la popolazione al più grande screening di massa sostenuto dal paese per individuare e prevenire le patologie più diffuse: diabete, obesità, malattie cardiovascolari oltre la prevenzione per i tumori colon-retto e prostata per un costo pro-capite di 2400 dollari.

Pertanto, talvolta sono gli obiettivi di programma a qualificare la spesa partendo da finalità di interesse comune e generale che sicuramente riguardano la cura ma anche la prevenzione, tutto ciò è possibile con un contributo sufficiente di risorse finanziarie.

Ha ragione Ivan Cavicchi quando afferma che il nostro sistema, non dotato di programma e qualificazione della spesa e di obiettivi di medio termine, non reggerebbe per ulteriori tagli o definanziamenti. Il Governo, i politici o i tecnici non prendano in considerazione solo il costo delle siringhe, Dovesalute o Costi standard che, come abbiamo visto, hanno tagliato ulteriori 202 milioni di euro alla Regione Lazio per i residenti scomparsi dall’ultimo censimento 2013, ma rapportiamoci a parametri fondati e di qualità condivisi dalla comunità internazionale e dalle organizzazioni non governative sovranazionali.

Mauro Quattrone
Consulente direzionale forecasts & planning management


11 aprile 2014
© Riproduzione riservata


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