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Speciale 8 marzo. Se anche il Parlamento fa solo testimonianza

di Ivan Cavicchi

Alla vigilia della festa della donna la Commissione Affari Sociali della Camera ha approvato una “risoluzione” sull’aborto e la maternità responsabile. Peccato che essa non ha alcun valore e nessuna reale capacità di incidere su Governo e Regioni per fermare l’annullamento del diritto delle donne

08 MAR - La “risoluzione” è uno degli atti con cui il Parlamento indirizza il Governo. Non ha valore formale ma meramente procedurale, non incide giuridicamente sulla vita del Governo e non ha alcun valore vincolante, essa  ha eminentemente un valore politico testimoniale.
 
Alla vigilia dell’8 marzo la XII Commissione Affari sociali della Camera ha voluto rendere omaggio alle donne italiane, sfornando una risoluzione sulla Relazione presentata in Parlamento sullo stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza. La Relazione, presentata dalla ministra Lorenzin pensate un po’ a settembre dello scorso anno, nonostante le edulcorazioni e le interpretazioni discutibili della ministra, ci fornì un quadro davvero  allarmante sulle donne espropriate dei loro diritti, con dati inequivocabilmente drammatici che (ricordo il dibattito che ne seguì) pose a tutti noi l’urgenza di un intervento politico tempestivo.
 
Da allora sono passati 7 mesi e non è stato fatto praticamente nulla. L’unica cosa è stata quella di istituire un tavolo tecnico  per studiare i problemi. In questa risoluzione, rivolta tanto al Governo che alle Regioni, a parte le sensibilizzazioni di rito si dice che si resta in attesa dei risultati del  tavolo tecnico. Questo è l’omaggio delle donne in Parlamento alle donne italiane. L’omaggio consiste forse nell’attesa stupida e complice di un misfatto?
 
Nella presa d’atto ipocrita di ciò  che alla fine è considerato ineluttabile? Nell’allinearsi ad un destino  delle donne considerato  incontrovertibile? Cosa se ne fanno le donne di una risoluzione di circostanza? Qual è il messaggio reale che questa risoluzione parlamentare  ci trasmette a parte l’ineluttabilità di un sistema che annienta i diritti delle persone impunemente? Si dirà che il Parlamento non ha poteri, che i poteri veri sono delle Regioni, e a seguire del Governo...ed è così, ma se è così e il Parlamento vuole comunque far sentire la sua voce perché non fare della risoluzione un atto veramente politico, cioè perché prenderci tutti in giro con un pezzo di carta  di circostanza?
 
Le Regioni che  sono le principali responsabili politiche del disastro ivg (ma non solo) come è noto si possono commissariare se sono in disavanzo, ma non se distruggono dei diritti. Esse si possono obbligare ai piani di rientro ma non si possono obbligare  a riorganizzare i servizi  per rientrare  dalle loro pratiche contro i diritti obbligandole a trovare i soldi laddove ci sono, vale a dire nelle pieghe  delle loro estese diseconomie. Ma allora perché la XII Commissione della Camera nella sua risoluzione non ha proposto, anche se in modo simbolico, che da subito e in modo tassativo   le Regioni  si attengano  ai loro doveri istituzionali pena il loro commissariamento? Per quelle Regioni che hanno più dell’80% di obiettori di coscienza  perché non proporre di nominare dei commissari ad acta che garantiscano i diritti delle donne?
 
Mi chiedo se il Parlamento non condivide la Relazione del ministro Lorenzin, perché  non ha sentito il dovere di esprimere il proprio dissenso e la propria preoccupazione con un atto di indignazione,  di rottura, di aperta confutazione politica? La risoluzione che la XII Commissione  ha voluto offrire alle donne dell’8 marzo è una finzione  legata al perbenismo istituzionale in ragione del quale il massimo è sollecitare, sensibilizzare, ma nel rispetto più conformista  delle prerogative di tutte le istituzioni coinvolte, anche quando tali istituzioni si comportano in modo anticostituzionale.
 
E in questo modo,  persino il Parlamento che pur mostra di non condividere  lo stato delle cose, diventa complice suo malgrado dell’abiezionee dell’obiezione le famose due facce della stessa medaglia: le donne  sono sempre più “gettate fuori” (abjicere) dai loro diritti, perché qualcuno “getta” loro contro (objicere) degli ostacoli e degli impedimenti.
 
In questi anni nei confronti delle donne  “obiezione” e “abiezione” sono costantemente cresciute in modo direttamente proporzionale. E’in atto da tempo una pesante  azione  di “annullamento del diritto” dovuto  soprattutto agli effetti sulle donne della non applicazione delle leggi  che ne dovrebbero salvaguardare la salute.
 
Nel nostro paese  aumentano  le pratiche illegali  di violazione della legge 194 per scopi speculativi, quindi il numero degli aborti non sicuri, quelli effettuati nel privato. Cresce e si estende  l’obiezione di coscienza quale comportamento opportunistico dei ginecologi, in maniera clamorosa al sud, dove le obiezioni causano la massima abiezione, rendendo   indisponibile alle donne l’accesso ai  loro diritti.
 
In più le donne come tutti gli altri cittadini, sono penalizzate dagli effetti regressivi dei tagli lineari, del blocco del turn over, della riduzione dei servizi, dal definanziamento del sistema sanitario più in generale. Le donne sono colpite due volte, dagli effetti devastanti dell'uso improprio e opportunistico  dell'obiezione di coscienza e dagli effetti  non meno devastanti dell’impoverimento dei servizi. Sull’ivg  si allungano  le  liste d'attesa, resta relativamente alto  il numero di settimane di gravidanza in cui è consentita l'interruzione, si fa sempre più ricorso all'aborto terapeutico, crescono le complicazioni cliniche  importanti, si respingono le richieste di aiuto delle donne.
 
Alla fine tutto concorre in modo silenzioso e inesorabile allo spegnimento  del diritto alla maternità libera e consapevole. Ormai il sottodimensionamento dei consultori è clamoroso e con l’aria che tira è difficile sperare in una loro riorganizzazione. L’abiezione sono  le donne  respinte dal servizio pubblico che non c’è, l’obiezione ci dice che se  il tasso di abortività nel pubblico è formalmente basso è perché  l’ivg si fa per la maggior parte dei casi nel privato. Sostenere che proprio perché il tasso di abortività è basso non servirebbe incentivare i non obiettori di coscienza è malafede pura.
 
Oggi  “abiezione” e “obiezione” nei confronti dell’interruzione volontaria della gravidanza,  è semplicemente una delle tante prove che i diritti e in particolare quello alla salute  si stanno lentamente sciogliendo  sotto l’effetto serra del definanziamento, dei tagli lineari, delle  incapacità delle nostre istituzioni. Per questo le risoluzioni,  come tutte le testimonialità, lasciano il tempo che trovano. Ci vuole ben altro.
 
Ivan Cavicchi

08 marzo 2014
© Riproduzione riservata


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