Piccoli ospedali. Cosa succederebbe se li chiudessimo tutti. Il caso lombardo
di Fabio Florianello
Se si applicasse il criterio della chiusura di tutti presidi con meno di 120 letti, il totale dei posti letto lombardi per acuti scenderebbe a 25.392 con un indice di 2,59 letti per mille abitanti. Molto al di sotto della media Ocse e soprattutto insufficienti per le necessità assistenziali della regione
30 DIC - La prospettata chiusura di 170 piccoli ospedali sembra basarsi fondamentalmente sul criterio dei 120 posti letto. In pratica viene rispolverata la Legge 109 di Donat Cattin risalente all’aprile 1988. Che il problema dei cosiddetti piccoli ospedali sia reale e che vada affrontato non c’è dubbio. Lo si è detto e ripetuto più volte. Ma che il criterio, praticamente unico, sia quello del taglio lineare delle strutture che hanno meno di 120 posti letti credo sia denso di criticità (avevo già avuto modo di accennare su queste colonne
QS 17 maggio e
6 settembre) e porta con sé il rischio di modificare in peggio alcune realtà territoriali, per di più trascurando o ignorando competenze ed esperienze non rappresentate da quell’unico criterio quantitativo.
Il Regolamento relativo a “Definizione Standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” proposto dall’ex Ministro
Renato Balduzzi formulava una classificazione delle strutture ospedaliere che comprendeva presidi di “base”, di “I livello” e di “II livello” considerando una serie di requisiti e di rete ospedaliera. Classificazione che aveva il merito, se non altro, di affrontare la questione in termini di rete ospedaliera e di organizzazione.
Inoltre, l’invocato e condivisibile perseguimento del rispetto della sicurezza risulta trascurato nel taglio lineare che ignora livelli gerarchici di complessità, di bacino d’utenza in termini di abitanti, di territorio, di rete, di specialità presenti per indirizzarsi unicamente all’obiettivo del 3,0 posti letto/1000 abitanti (L.95/2012 art 15, c.13, lettera c.).
Parliamo ovviamente di strutture per “acuti” dove la media OECD è più che risaputo essere pari 4, 8/‰.
E laddove il 3 ‰ è già stato raggiunto ?
Emblematico è l’esempio di Regione Lombardia dotata di 29.886 posti letto “in esercizio” per acuti, suddivisi in 22.018 nel pubblico e 7.868 nel privato accreditato per un totale di 3,05 posti letto per mille abitanti .
Gli ospedali pubblici indicati nella mappatura di Agenas con meno di 120 pl sono 31 (in realtà 30) per 1.870 pl. Le strutture private accreditate coinvolte (e non riportate nella mappatura) sono 46 per 2.624 pl. Il totale è di 4.494 p.l. a rischio chiusura.
Ma tale chiusura o riconversione (comunque la si voglia chiamare) con un taglio tout court porterebbe il totale dei posti letti lombardi per acuti a 25.392 per un rapporto pl/1000 ab. pari a 2,59. Ogni considerazione appare a questo punto superflua sulla praticabilità dell’operazione senza neanche scomodare la citata media OECD.
Se al contrario e per assurdo si volesse restringere la chiusura alle sole strutture pubbliche, queste ultime passerebbero a 20.148 portando i letti regionali per acuti a 28.016 con un rapporto pari a 2,86 ‰ .
In ogni caso sia 2,86‰ abitanti, sia 2,59‰ abitanti risulta di non facile praticabilità tenuto conto delle notevoli difficoltà che già oggi si incontrano a livello di Pronto Soccorso proprio per il reperimento di posti letto di ricovero per acuti. Dato che si va ad aggiungere al permanere di una critica carenza di assistenza territoriale.
Fabio Florianello
Segr. Amm. Anaao Assomed Regione Lombardia
30 dicembre 2013
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