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Quale sostenibilità per il Ssn? Ecco le riforme indispensabili

di Ettore Jorio

Servono soluzioni che assicurino la sostenibilità delle attuali caratteristiche del sistema della salute (universalità, uniformità e globalità  dell'intervento) e consentano la corretta sopravvivenza del regime di concorrenza amministrata tra pubblico e privato

29 LUG - La difficile sostenibilità del Servizio sanitario nazionale è ormai un dato generalmente acquisito. Lo ammette la politica nella (quasi) sua interezza. Il Capo dello Stato, preoccupato, ha sollecitato la continuità  dell’esigibilità universale e uniforme del diritto alla salute a cura del sistema prevalentemente pubblico. A fronte di tali irrinunciabili esigenze, l’insieme salutare - che continua ad assicurare alla meno peggio l’erogazione cosiddetta mista (pubblico/privata) delle prestazioni sociosanitarie - scade progressivamente di qualità in gran parte del Paese e registra, ovunque, una sofferenza economico-finanziaria, insopportabile in tutto il centro-sud, ove si continua a gestire male.
 
Si è così generalizzata una sorta di comprensibile panico negli erogatori privati accreditati, con arretrati di pagamento oltre ogni tollerabile limite, che inorridirebbe il redattore comunitario della direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali recepita con il decreto legislativo 9 novembre 2012 n. 192. Essi sono seriamente preoccupati per la sopravvivenza delle loro imprese quotidianamente minacciate dagli eventi negativi che si susseguono, non ultimo quello dei tagli lineari, sempre più incisivi, ai budgetprecedentemente goduti.Non è che la storia dei budgetnon presentasse in alcune regioni (per esempio la Calabria) delle brutte zone d’ombra - ove sono stati regolarmente retribuiti per anni extrabudgetplurimilionari, con “buona” pace dei debiti accumulati - ma che gli stessi dovessero essere abbattuti indiscriminatamente appare quantomeno una brutta ammissione di colpa per chi ha male gestito il pregresso, che proprio per questo dovrebbe essere chiamato a rispondere di responsabilità erariale, e per chi programma ancora oggi all’acqua di rosa. Un modo di percepire la gestione della salute secondo il peggiore criterio ragionieristico, specie se assistito, com’è nei fatti, da una mancata rilevazione del relativo fabbisogno epidemiologico rimasto sempre un illustre sconosciuto della quale tutti si sono riempiti la bocca salvo non fare nulla di serio in proposito.
 
Anche gli erogatori convenzionati vivono ben oltre la più generale preoccupazione. Questi sono ovviamente (perché gli unici a vivere di convenzione, oltre a quella del sistema dei medici e pediatri “di famiglia”, che tuttavia svolgono una attività in regime parasubordinato) i titolari di farmacia, privata o pubblica, che avvertono di essere a rischio di parziale decimazione. Negli ultimi anni, gli stessi sono stati, infatti, gli unici bersagli mirati e “centrati” da una politica molto disattenta all’organizzazione dell’insieme, in quanto tale capace di procedere solo per segmenti, mettendo a rischio così l’immagine e il percorso assistenziale complessivo da destinare all’utenza, sempre di più schiacciata nell’angolo del disservizio.
 
Se si vuole incidere positivamente sul tutto, occorre ricercare soluzioni generali che, da una parte, assicurino la sostenibilità delle attuali caratteristiche del sistema della salute (universalità, uniformità e globalità  dell'intervento) e, dall’altro, consentano la corretta sopravvivenza del regime di concorrenza amministrata tra pubblico e privato, partecipi della grande sfida di garantire, nel migliore agonismo produttivo, l’esigibilità del relativo diritto.
Dunque, bando alle chiacchiere, specie del tipo quelle che si leggono in giro, suddivise tra chi tenta di esaltare un sistema che non c’è e chi prova a distruggere tutto a prescindere.
 
Serve una riforma con la R maiuscola, che sgretoli ciò che non serve e metta da parte ciò che è inutile alla collettività, ancorché interessante per taluni, ma soprattutto che abbia il coraggio di ridisegnare il tutto, magari prendendo ad esempio ciò che di meglio c’è altrove, mettendo da parte l’arroganza di supporre (a torto) di aver il migliore sistema sanitario del mondo.  
Le ipotesi in circolazione sono tante. Esse vanno dal solito inutile ritocco, che nulla ha di strutturale, sino ad arrivare ad un diverso concepimento erogativo, che possa finanche prevedere la messa in soffitta dell’attuale aziendalismo, divenuto tale solo sul piano nominalistico, atteso che realizza un prodotto cattivo e rendiconta deficitmilionari, che di certo non rappresentano i risultati cui aspira un imprenditore degno di questo nome.
Va da sé che occorre intervenire strutturalmente, dal momento che è in gioco la sostenibilità reale, che non si consegue affatto con gli aggiustamenti di facciata ovvero parziali, così come è avvenuto sinora e male.
 
Sono le radici ideologiche, sulle quali si fonda la filiera erogativo/contrattuale del Ssn, che devono essere amputate e rigenerate, solo che si voglia mettere su un sistema che realizzi, nel contempo, una assistenza uniformemente diffusa e di qualità, magari rivedendo al ribasso la consistenza economica del cosiddetto indigente definito dall’art. 32 Cost., quale individuo cui si deve l’assistenza gratuita. Oltre a ciò, occorre anche programmare un ulteriore intervento economico caratteristico, in quanto  dovrebbe essere noto a tutti che non si fanno riforme realizzando risparmi bensì investendo, con la naturale previsione di ammortizzare il tutto nel lungo periodo, ottimizzando i costi e producendo meglio. In quanto tale, siffatta nuova economia dovrà essere assistita (rectius, preceduta) da una perequazione delle risorse straordinarie da dedicare al perseguimento dell'eguaglianza dei patrimoni strumentali e tecnologici e al ripianamento del debito pregresso, senza ricorrere esclusivamente, così come invece si sta facendo, al blocco del turn over, con la conseguente desertificazione, a regime, delle corsie ospedaliere e dell'assistenza  territoriale, ove c’è e ove è degna di chiamarsi tale. 
 
Nel sistema oramai noto come quello delle 3A (autorizzazione, accreditamento e accordo contrattuali) occorrerebbe intervenire radicalmente, essendo l’attuale afflitto da sottovalutazioni e da procedure eccessivamente discrezionali nonché soggetto a verifiche divenute puramente di stile. Necessita, quindi, rivedere il sistema nel senso di garantire la presenza e l’esercizio di eccellenze assistenziali e non già di quelle ovunque ripetute e ripetibili che tanto incidono negativamente sugli esiti salutari e sulle tasche dei cittadini. Un taglio radicale va certamente dato alla brutta abitudine di considerare la stipulazione dei cosiddetti contratti, ex art. 8 quinquies, come la naturale, quasi pedissequa, conseguenza dell’accreditamento, peraltro divenuti, nei fatti, della incomprensibile durata a tempo indeterminato, con ad essi applicato, inconcepibilmente, il regime di prorogatio, quasi come l’accreditato/contrattualizzato privato, una volta divenuto tale, fosse organicamente inserito a vita nel “libro paga” delle aziende della salute contraenti, a prescindere dalla riconosciuta necessaria esistenza del fabbisogno epidemiologico.
 
Allo stesso modo non andrebbe più consentito ciò che accade ordinariamente in relazione alla mancata applicazione della cosiddetta regressione tariffaria, rintracciata quale metodologia retributiva per evitare che l’erogatore, raggiunto infrannualmente  il budget, smetta di erogare la propria attività per il resto dell’esercizio finanziario nel quale è tenuto a rendersi parte attiva del suo ruolo di “erogatore pubblico”. Insomma, necessitano al riguardo, allo scopo di garantire all’utenza la più efficiente ed  efficace coesistenza attiva pubblico/privato, delle sostanziali modifiche legislative e “comportamentali”, indispensabili per perseguire la sostenibilità economica del sistema della salute. Un obiettivo che si consegue attraverso la condivisione di budget ben calibrati sul fabbisogno realmente rilevato e garante della prestazione annuale degli erogatori, e non già - come avviene oggi - determinati sullo storico, prescindendo dalle necessità assistenziali, e conseguibile in una quota parte di anno, salvo poi chiudere i battenti erogativi sino alla fine dell’esercizio relativo.
 
 Prof. avv. Ettore Jorio
Università della Calabria
Senior partner “Studio associato Jorio” - Cosenza

29 luglio 2013
© Riproduzione riservata


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