Quanto dovrebbero sborsare i cittadini di tasca propria se il Ssn non esistesse? Per un ricovero a bassa complessità assistenziale la spesa da sostenere varierebbe da un minimo di 422 euro al giorno fino a un massimo di 1.178 euro in Lombardia, da un minimo di 435 a un massimo di 1.278 euro nel Lazio e da un minimo di 552 a un massimo di 1.480 euro in Calabria. E le cifre chiaramente salirebbero vertiginosamente se il ricovero fosse ad alta complessità assistenziale.
Non va meglio per un intervento chirurgico come l’asportazione del tumore alla mammella, il più delle volte seguita dalla radioterapia, la spesa potrebbe arrivare sino a un massimo di 29.400 euro in Lombardia, di 32.400 euro nel Lazio e di 48.400 euro in Calabria.
A snocciolare le cifre uno studio della Uil, che ha provato, appunto, a quantificare quanto costerebbe il bisogno di salute se la sanità fosse solo privata calcolando i costi medi di alcune prestazioni sanitarie più comuni, sulla base dei tariffari di alcune strutture sanitarie private in 3 Regioni prese come riferimento: Lombardia, Lazio e Calabria.
“Il Ssn italiano è vicino al punto di non ritorno - spiega il sindacato in una nota - e il progressivo arretramento della sanità pubblica è, con evidenza, un colpo mortale per i bilanci delle famiglie e un ridimensionamento del diritto alla salute. Il Governo, per strizzare l’occhio alla sanità privata, volta le spalle alla sanità pubblica. Tutti i provvedimenti dell’Esecutivo Meloni in materia di sanità, a partire dalle leggi di bilancio per finire al recente decreto ‘abbatti liste’, vanno nella direzione di un rafforzamento della sanità privata a discapito di quella pubblica - denuncia il sindacato - Direzione che aggrava sempre più il malessere economico di molte famiglie italiane, costrette a modulare il proprio bisogno di cura, in funzione delle proprie disponibilità reddituali”. Perciò “la battaglia per una sanità pubblica e universale continua e adesso si deve rafforzare anche con la raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge Calderoli, impropriamente definita regionalismo differenziato”.
Cosa succederebbe, dunque, se si fosse costretti a rivolgersi alla sola sanità privata pura?
Il sindacato evidenzia quindi come “al diminuire dell’offerta sanitaria privata, rispetto alla domanda di cura, crescano le tariffe. Il che potrebbe configurare un regime di monopolio con poche cliniche private che definiscono condizioni di ‘cartello’, con effetti ricadono sui cittadini in termini di prestazioni più salate. Questo spiega perché i costi di alcune prestazioni in Calabria risultano più alte delle stesse in Lombardia e nel Lazio”.
Al Sud infatti, osserva il sindacato, con la scarsa presenza sul territorio di cliniche private e in assenza di dotazione di personale sanitario, si verifica quello che viene definito un aumento di “payment for performance”, ossia una crescita del costo della prestazione.
La Uil non si è fermata ai meri calcoli, per tutelare e rilanciare il Servizio sanitario nazionale ha indicato la sua ricetta: fermare la legge Calderoli, impropriamente definitivo regionalismo differenziato; attestare il rapporto Pil/spesa sanitaria sui livelli della media europea; combattere gli sprechi delle Regioni evidenziati, ormai da diversi anni, dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.
“Lo ribadiamo da tempo e continueremo a farlo anche in futuro - conclude il sindacato - occorre investire sui due assi fondamentali del Servizio sanitario nazionale: personale e territorio”.
Ester Maragò