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In Italia una lavoratrice su 5 esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata madre. Il rapporto Save the Children


L’Ong pubblica il rapporto “Le Equilibriste - La maternità in Italia 2024”. Le differenze di genere persistono e si acuiscono con la maternità. A pregiudicare il lavoro anche lo sbilanciamento dei carichi di cura della famiglia: si stima che le donne si assumano circa il 74% del carico complessivo delle ore di lavoro non retribuito dedicato all'assistenza e alla cura. IL RAPPORTO

08 MAG - “Se la maternità è davvero un’opportunità per tutta la società, la cura di un nuovo nato o di una nuova nata è un dovere di tutta la società che deve svilupparsi attraverso un impegno al suo sviluppo intellettivo e alla sua formazione, anche per diminuire le disuguaglianze che mordono il nostro Paese con sempre più voracità. Questo vuol dire garantire i servizi per l’infanzia e l’adolescenza, non solo per assicurare un valido strumento di ausilio alla conciliazione ma vere e proprie occasioni di crescita e di confronto. Questo non è quello che emerge dal nostro Rapporto ed è per questo che sosteniamo ancora di più quanto sia necessario un Paese che pensi alle mamme, affinché possano essere messi al centro delle politiche anche i bambini e le bambine”. A dirlo è Giorgia D'Errico, Direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children, nelle premesse al rapporto “Le Equilibriste - La maternità in Italia 2024”, che l’Ong ha pubblicato oggi in occasione della Festa della Mamma.

Un rapporto che, spiega Save the Children, “traccia un bilancio delle infinite sfide che le donne in Italia devono affrontare quando scelgono di diventare mamme”. Ripercussioni sul lavoro a causa dello sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale, i sistemi di sostegno alla genitorialità nel nostro e in altri Paesi europei, le difficoltà di accesso al mondo del lavoro solo perché “mamme” e il divario tra le regioni più o meno “mother friendly”.

Il quadro di fondo è questo: Ancora una volta in Italia c'è stato un nuovo record negativo per la natalità: il 2023 ha registrato il minimo storico delle nascite, ferme sotto le 400mila nascite e con un calo del 3,6% rispetto al 2022. Le donne scelgono di non avere figli o ne hanno meno di quanti ne vorrebbero: nella popolazione femminile, in età fertile tra i 15 ei 49 anni, il numero medio di figli per donna, infatti, è di 1,20, mostrando una diminuzione rispetto al 2022.

Il calo della natalità ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione: nel 2023 ci sono stati meno 3mila nati rispetto all’anno precedente. Inoltre, l’Italia si conferma come uno dei Paesi europei con la più alta età media delle donne al parto, circa 32,5 anni. L’Italia è anche il Paese europeo con la più alta età media delle donne per la nascita del primo figlio, circa 31,6 anni, con 8,9% di primi nati da mamme over 40, tasso inferiore solo a quello della Spagna.

Dati che forse non dovrebbero più stupire, se si mettono in relazione ad altri che mostrano le difficoltà che incontrano le donne una volta diventate madri: “In Italia - spiega Save The Children - una lavoratrice su 5 esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata madre e il 72,8% delle convalide delle dimissioni dei neogenitori riguarda le donne”.

Questo fenomeno si inserisce in un contesto in cui le donne hanno a prescindere una presenza diversa rispetto agli uomini nel mercato del lavoro e sebbene le donne in Italia raggiungano livelli di istruzione maggiori rispetto agli uomini, nel mercato del lavoro esse si trovano ad affrontare sia la segregazione orizzontale che quella verticale, il che significa che sono concentrate in determinati settori e hanno una presenza meno significativa nelle posizioni di leadership e di vertice.

Se per tutte le donne il rapporto con il mondo del lavoro appare complesso, per le madri il tema del bilanciamento tra lavoro e famiglia rappresenta una sfida ancor più difficile. Un indicatore cruciale in questo contesto è il rapporto tra il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 25 e i 49 anni con figli in età scolare e le donne nella stessa fascia d'età senza figli: nel 2021, questo rapporto è del 73%, il che significa che per ogni 100 donne senza figli occupate ce ne sono solo 73 con figli in età scolare che lavorano. Se le madri lavorano meno delle non madri, ciò non avviene per gli uomini, dove, anzi, sono i padri ad essere più occupati dei non padri.
La penalità legata ai figli è più elevata per le madri giovani, a basso reddito e per coloro che prendono congedi più lunghi. È più ampia nelle piccole aziende con stipendi meno generosi e colleghi meno qualificati e nelle regioni del Sud Italia.

Una componente importante della differenza di genere è il tempo dedicato al lavoro di cura, che continua a essere sbilanciato nel corso degli anni. “È difficile per l’Italia avere dati completi sulla distribuzione del lavoro di cura – si legge nel rapporto di Save the Children -: i dati riportato da ILO nel 2018 dicevano che le donne dedicavano in media 5 ore e 5 minuti al giorno al lavoro non retribuito di assistenza e cura, mentre gli uomini ne dedicavano solo un'ora e 48 minuti. Le donne, pertanto, si assumevano il 74 per cento del carico complessivo delle ore di lavoro non retribuito dedicato all'assistenza e alla cura”.

Nel 2022, cita ancora il Rapporto, “l’EIGE ha condotto un’indagine in ciascun Paese europeo sulle ore settimanali dedicate da donne e uomini alla cura dei figli (madri e padri) e in Italia emerge ancora un divario di genere pronunciato: nella fascia d’età 25-49 anni, ad esempio, una donna su 5 (il 20,5%) dedica oltre 10 ore al giorno (7 giorni alla settimana) alla cura dei figli contro il 6% degli uomini, e questo vuol dire che, con uno o più figli piccoli, un quinto delle donne non ha un’occupazione retribuita e dedica tutto il tempo ai bambini (solo una parte di queste donne può essere una neomamma in congedo di maternità al momento dell’intervista). È comunque interessante che il 6% degli uomini si dedichi ai figli a tempo pieno. Se confrontiamo il dato con la Germania o la Francia, la percentuale di uomini che fanno i papà a tempo pieno scende rispettivamente al 2,8 e al 3,8% ed è anche più bassa la percentuale delle donne (16,3% e 13,4%), e questo indica un maggiore ricorso e possibilità di accesso ai servizi per i genitori (ad esempio l’asilo nido) ed un costo opportunità (costo dei servizi-retribuzioni) che incentiva uomini e donne a permanere nel mercato del lavoro anche con figli piccoli”.

08 maggio 2024
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