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Intelligenza Artificiale. “Cure più efficaci, ma se non si affronta il nodo della sostenibilità, le disomogeneità aumenteranno”. Intervista a Giovanni Arcuri (Policlinico Gemelli Irccs)  

di Lucia Conti

Non ha dubbi il Direttore Tecnico, ICT ed Innovazione della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma in merito ai vantaggi di un uso sempre più diffuso dell’Intelligenza Artificiale in sanità e in medicina. Ma “in assenza di investimenti la disparità di accesso alla salute non potrà che peggiorare”, sottolinea. Per Arcuri serve un piano nazionale ed europeo. E se il finanziamento pubblico non basta, “le partnership con il privato possono offrire risorse vitali”

08 APR - La rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale (IA) corre veloce ed è inarrestabile. C’è una sola opzione valida per la sanità italiana: prepararsi nel modo migliore possibile ad accogliere questa rivoluzione, a diffonderla e ad implementarla. Perché i vantaggi sono enormi, per la salute dei cittadini in primis e, di conseguenza, per tutto il sistema. Parliamo di sistemi sofisticati, certificati e sicuri, che non sostituiscono il clinico ma gli offrono tutto il supporto necessario per effettuare diagnosi e terapie sempre più precise e personalizzate. Dunque per offrire alle persone cure migliori. Ma servono risorse, tante risorse.

Di tutti questi aspetti abbiamo parlato con Giovanni Arcuri, direttore Tecnico, ICT ed Innovazione della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, che dopo Eugenio Santoro (Mario Negri) ci aiuterà ad approfondire i punti di forza dell’Intelligenza Artificiale e a sciogliere i dubbi che ancora restano sul suo uso in sanità e medicina.

Prof. Arcuri, di Intelligenza Artificiale (IA) si parla già da tempo ma, a livello di popolazione generale, forse si comprende ancora poco. L’incredibile accelerazione a cui assistiamo ci obbliga a imparare in fretta. Dunque, cosa significa IA in sanità e medicina e quali sono i vantaggi?
Non tutte le potenzialità dell’IA in sanità sono ancora state esplorate, ma esistono già numerose applicazioni che stanno facendo registrare risultati promettenti, sia sul piano della pratica clinica che su quello scientifico. È importante chiarire che parliamo di IA come strumento di supporto, non sostitutivo del clinico.

Esempi del suo utilizzo ce ne sono nella diagnostica, soprattutto per immagini, area di utilizzo di sicuro interesse per l’IA. Lo scopo di questi sistemi, addestrati attraverso algoritmi di intelligenza artificiale, è aiutare lo specialista ad effettuare diagnosi attraverso l’analisi di una mole incredibile di dati, in questo caso immagini, soprattutto radiologiche. Sono sistemi ad altissima specialità, in grado di suggerire al medico su quali reperti diagnostici concentrare la propria attenzione e proponendo possibili risposte diagnostiche.

Esistono anche sistemi di supporto all’erogazione delle terapie, ad esempio in radioterapia, area in cui l'intelligenza artificiale sta rivoluzionando il modo in cui vengono gestiti i trattamenti, apportando miglioramenti significativi sia nell'efficacia che nella sicurezza per i pazienti.
Le applicazioni di IA sono particolarmente promettenti, consentendo una personalizzazione e una precisione senza precedenti nella somministrazione delle terapie. Utilizzando dati complessi e modelli predittivi, i sistemi di IA sono in grado di ottimizzare i piani di trattamento radioterapico, adattandoli alle specificità di ciascun tumore e alle condizioni del paziente. Questo significa che possono aiutare il clinico a determinare la dose ottimale di radiazioni, riducendo al minimo l'esposizione dei tessuti sani circostanti e limitando gli effetti collaterali.
Inoltre, l'IA supporta i radioterapisti nell'identificare con maggiore precisione le aree bersaglio, migliorando l'efficacia del trattamento mirato. Un altro aspetto fondamentale è la capacità dell'IA di monitorare la risposta del paziente alla terapia in tempo reale, permettendo aggiustamenti rapidi e informati al piano di trattamento.

Nel contesto della ricerca scientifica, l'intelligenza artificiale (IA) funge da catalizzatore significativo, migliorando la capacità di identificare con precisione gruppi specifici di pazienti attraverso la selezione di cluster. Inoltre, l'applicazione di sistemi IA predittivi nell'analisi dell'evoluzione clinica dei pazienti sta mostrando risultati promettenti, evidenziando il potenziale dell'IA nel contribuire a prognosi più accurate e personalizzate.

Cosa ci assicura che la macchina analizzi i dati correttamente?
L'affidabilità nell'analisi dei dati da parte delle macchine è garantita da un processo di certificazione che segue criteri stringenti, applicati uniformemente a tutti i dispositivi medici, inclusi quelli basati su intelligenza artificiale (IA). Prima di essere introdotti nel mercato e utilizzati in ambito clinico, questi sistemi devono superare una serie di valutazioni che attestano la loro efficacia, precisione e sicurezza. Questo percorso di validazione include test approfonditi, studi clinici, analisi di performance e verifica del rispetto delle normative vigenti.

I software che impiegano IA, proprio come le apparecchiature diagnostiche tradizionali (ad esempio, tomografie computerizzate e risonanze magnetiche) sono soggetti a questo rigoroso controllo normativo. Devono dimostrare di rispondere a specifici requisiti di qualità e sicurezza, delineati dalle autorità regolatorie. Questo include, ad esempio, la dimostrazione di poter analizzare correttamente i dati clinici, fornendo risultati affidabili che supportano i professionisti sanitari nelle decisioni di diagnosi e trattamento.

In sintesi, la certezza che un dispositivo basato su IA analizzi i dati correttamente deriva dal suo superamento di una serie di valutazioni e studi clinici pre-immissione sul mercato, che certificano la sua affidabilità e conformità alle normative specifiche per i dispositivi medici. Questo processo di certificazione assicura che tali tecnologie siano sicure ed efficaci per l'uso clinico al quale sono destinate.

Gli ambiti di applicazione dell’IA in medicina siano infiniti e i vantaggi enormi. C’è qualcosa che però la preoccupa?
Mi preoccupa che l’architettura per sostenere lo sviluppo di questi sistemi non sia abbastanza solida. Parliamo di sistemi che si addestrano sui dati. Per continuare questa rivoluzione, tanto nella ricerca quanto nella pratica clinica, è quindi necessario costruire i presupposti perché questi dati possano crescere ed essere messi insieme dai diversi centri. Oggi questo appare un ostacolo non banale. Serviranno strumenti giuridici e legislativi per mettere a fattore comune questo flusso incredibile di informazioni.

È importante anche sottolineare che quando, ad esempio, noi, al Gemelli, sviluppiamo algoritmi di IA, li addestriamo sulla nostra popolazione di pazienti, che è ampia ma limitata ad una singola struttura. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che certi risultati non sono automaticamente trasferibili ad altri gruppi di popolazione, ad esempio ad altre etnie. Questi sono aspetti importantissimi che andranno approfonditi e chiariti.

Quali sperimentazioni di IA avete avviato al Gemelli?
Abbiamo sviluppato un sistema predittivo che allerta i clinici quando i pazienti sono a più alto rischio di sviluppare un’infezione ospedaliera. Può immaginare i vantaggi di questo sistema, non solo in termini di salute del paziente ma anche sul fenomeno dell’antibiotico-resistenza e sui tassi di occupazione dei posti letto.

Usiamo sistemi di IA anche per l’insufficienza cardiaca o per indentificare i pazienti in situazioni di fragilità che richiedono dimissioni protette così come per capire se c’è qualcosa che possiamo fare in fase di ricovero per consentire al paziente un ritorno a casa più sereno e sicuro. In alcuni casi utilizziamo applicazioni che ci consentono di seguire i nostri pazienti anche quando sono fuori dalla nostra struttura in modo da e che hanno l’obiettivo di consentirci di prevedere complicanze.

Ha usato più volte il termine “addestrare i sistemi”. Anche i professionisti, però, vanno formati ad usare queste tecnologie. Come avviene questo al Gemelli?
Sul fronte della formazione credo che in Italia siamo un po’ in ritardo. Stanno però nascendo facoltà di Medicina che prevedono innesti di materie che riguardano gestione avanzata dei dati o argomenti di bioingegneria, ma è necessario prepararci a formare, all’utilizzo di questi sistemi una nuova generazione di professionisti, tanto clinici quanto tecnici.

Penso che debba anzitutto crescere la consapevolezza del mondo clinico rispetto all’esistenza e i vantaggi di questi sistemi, che sono pervasivi e le cui finalità devono essere assolutamente chiare a tutti gli operatori che dovranno utilizzarle.

Per quanto riguarda l’esperienza del Gemelli, l’introduzione di un sistema che dovrà essere utilizzato dai clinici viene preceduta da una valutazione con i clinici di riferimento. Successivamente viene studiato un percorso utile a portare alla corretta adozione e il corretto inserimento di quel sistema all’interno del processo di cura.

Molti dei nostri progetti nascono come progetti di ricerca. In questo ambito, la grande collaborazione che c’è tra data scientists e clinici è il terreno in cui avviene il travaso di competenze maggiore. Questi momenti sono altamente stimolanti per entrambe le parti.

Il medico è sempre più robot e meno uomo? C’è un aggravio burocratico per gli operatori che devono inserire i dati?
La risposta a questa domanda richiede una premessa: la sanità è uno dei mondi più tecnologici che esistano e in cui abbiamo assistito a un’evoluzione tecnologica incredibile in rapido tempo: dagli strumenti per la diagnostica a quelli di sala operatoria, basti pensare ai robot chirurgici ed ai sistemi di navigazione chirurgica.

C’è stato un processo profondo di informatizzazione che ha senz’altro cambiato in modo sostanziale il lavoro del clinico. Tuttavia i vantaggi sono stati enormi e molte di queste tecnologie hanno consentito di curare meglio e, per certi versi, di semplificare il lavoro del medico. Non credo che si possa parlare di aggravio burocratico se si tiene conto quanto l’uso dell’IA ridurrà gli elementi che il medico avrebbe altrimenti dovuto analizzare singolarmente. L’IA aiuta il clinico a concentrare l’attenzione sugli elementi rilevanti, escludendo di fatto i dati non rilevanti. Di conseguenza il lavoro del medico non si aggrava, bensì si alleggerisce in quella parte che è la più gravosa e meno clinica del processo diagnostico.

Ma se c’è un errore, chi ne è responsabile, la macchina o il clinico?
La questione della responsabilità in caso di errori nel contesto dell'uso di sistemi di IA in medicina richiede un'analisi attenta. Al momento, la preoccupazione per errori direttamente attribuibili ai sistemi di IA è mitigata dal fatto che questi strumenti, analogamente a qualsiasi dispositivo medico utilizzato in ambito clinico, sono rigorosamente validati e progettati per fornire supporto decisionale. La responsabilità dell'atto clinico, pertanto, continua a ricadere sui professionisti sanitari e sulle strutture che li impiegano, seguendo il principio secondo cui gli strumenti tecnologici sono ausili nelle mani degli operatori sanitari, che ne sono gli effettivi utilizzatori.

Per esempio, quando un chirurgo utilizza un elettrobisturi, si presume che l'apparecchio funzioni correttamente, in base ai criteri di sicurezza per i quali è stato certificato. Allo stesso modo, i sistemi di IA in medicina sono certificati per specifiche applicazioni e si assume che il clinico sappia come utilizzarli in modo appropriato. La chiave sta nell'adeguata formazione e consapevolezza dei professionisti sanitari sull'uso corretto di queste tecnologie, riducendo così il margine di errore.

Tuttavia, il panorama potrebbe complicarsi con l'avanzamento delle tecnologie. Emergono nuovi sistemi di IA caratterizzati da una maggiore autonomia decisionale, che sollevano questioni complesse relative alla responsabilità e all'etica. Queste tecnologie, note come 'unexplainable AI', possono evolversi in modi che non sono pienamente comprensibili nemmeno per i loro sviluppatori, rendendo la determinazione della responsabilità per gli esiti clinici un tema ancora più sfidante. Sebbene tali sistemi non siano ancora ampiamente diffusi, il loro potenziale impiego nel settore sanitario richiede un approccio cauto e riflessivo.

Ha parlato di etica. Uno dei timori più grandi è che queste tecnologie, che richiedono importanti investimenti, possano non arrivare in ogni struttura e, di fatto, accrescere le diseguaglianze di cura tra cittadini. Come si può evitare?
Si tratta di un pericolo concreto, perché realizzare questi sistemi e costruire una rete di condivisione dei dati ha un costo incredibile. Ovviamente andrebbe considerato il rapporto valore/costi, che pende sicuramente dalla parte dell’implementazione di dell’IA in sanità, visto che può aiutarci a rendere più efficaci le cure e a fare prevenzione, riducendo quindi i costi legati a un’assistenza meno efficace e a un numero maggiore di persone che sviluppano malattie. La questione della sostenibilità, tuttavia, è destinata ad esplodere, perché è chiaro che in assenza di investimenti per rendere il nostro sistema efficiente e competitivo anche su questo fronte, la disparità di accesso alla salute non potrà che peggiorare.

Serve un piano statale?
Nel nostro Paese, certamente serve un piano per finanziare la sanità in modo adeguato, un problema oggi generale e non limitato solo alle evoluzioni in questo settore.
Credo servirebbe anche un piano europeo per garantire che gli sforzi nazionali siano allineati e integrati, evitando la frammentazione e massimizzando l'efficacia dell'implementazione dell'IA nel sistema sanitario.

Inoltre, per le implementazioni che non possono essere completamente supportate dal finanziamento pubblico, le partnership tra il settore pubblico e quello privato possono offrire risorse vitali. È fondamentale riconoscere che i dati, essenziali per il funzionamento efficace dei sistemi di IA, sono attualmente detenuti principalmente dal sistema sanitario pubblico. Pertanto, una collaborazione ben strutturata tra pubblico e privato, insieme a un'azione coordinata a livello europeo, potrebbe accelerare significativamente l'adozione e l'ottimizzazione delle tecnologie di IA in medicina, beneficiando così l'intero ecosistema sanitario.

Questo sul fronte economico. Su quello organizzativo esistono già regole universali per guidare questa rivoluzione? Penso, ad esempio, alla privacy.
Certamente. Ovviamente al nostro interno ogni sperimentazione è sviluppata secondo la normativa vigente, ed i dati vengono acquisiti in modo corretto e sottoposti ad un processo di anonimizzazione, tecnicamente molto oneroso, che certifichiamo.
Saranno però necessarie regole a livello europeo. La Comunità Europea sta lavorando a quello che si chiama “spazio europeo di dati”, in cui ’è un capitolo specifico per la ricerca che mira a trovare un equilibro tra privacy e sviluppo scientifico ed oggi esistono tecniche che consentono di ottenere questo risultato.

Quanto pensa che dovremo aspettare per vedere un’ampia diffusione dell’IA in Italia?
Se saremo in grado di creare le condizioni per la loro diffusione, ci vorrà pochissimo. Quella in atto è una rivoluzione che corre veloce. Il futuro è oggi, dice una famosa citazione, e pensare di rallentarlo sarebbe come fermare l’acqua con le mani.

Lucia Conti

08 aprile 2024
© Riproduzione riservata


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