"Abbattere le liste di attesa è uno dei principali impegni assunti dall’attuale Governo e per poterlo perseguire è necessario monitorare le criticità Regione per Regione, per verificare quali prestazioni effettivamente mancano o sono carenti. È altrettanto indispensabile che nei Cup (Centri Unici di Prenotazione) regionali confluiscano non solo le disponibilità delle strutture pubbliche, ma anche quelle del privato convenzionato”. Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ospite dell'evento ‘Q&A-Salute e sanità, una sfida condivisa’, descrive così alcune delle azioni che il Governo intende mettere in atto per risolvere le principali criticità del Sistema Sanitario Nazionale (SNN). È ugualmente prioritario diminuire il numero di prescrizioni, per visite specialistiche e esami diagnostici, limitandosi a quelle realmente necessarie. Il medico che evita ad un paziente di sottoporsi ad un esame inutile gli fa un favore anche, se spesso, almeno nell’immediato, il soggetto interessato non se ne accorge”, continua il Ministro della Salute. Tra le priorità elencate da Schillaci anche la “valorizzazione dei medici e dei professionisti sanitari che operano all’interno del SSN”. Compresi coloro che sono andati a lavorare all’estero: “La fuga dei cervelli è un fenomeno che, purtroppo, caratterizza il nostro Paese da molti anni. Ma se i nostri medici vengono assunti con facilità all’estero, allora vuol dire che i percorsi formativi offerti in Italia sono di eccellenza”, sottolinea Schillaci.
Il Sistema Sanitario della Regione Lazio
La riorganizzazione del sistema sanitario nazionale per la riduzione delle liste d’attesa è solo uno dei temi al centro dell'evento 'Salute e sanità, una sfida condivisa’, aperto dall’intervista al presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, che ha espresso la sua posizione sull’autonomia differenziata. Premettendo che non ha “nulla contro l’autonomia differenziata”, il Presidente Rocca ha dichiarato di avere una fortissima preoccupazione: “La Regione Lazio ha 22 miliardi di euro di debito. Allora, se dobbiamo parlare di autonomia differenziata, o ci mettono in condizioni di partire tutti allo stesso piano - e quindi allora lì sì che ci possiamo misurare con una nuova capacità organizzativa e anche su una possibilità di distribuzione di risorse - o altrimenti qui noi andiamo incontro a braccia aperte a Regioni di serie A e Regioni di serie B, e conseguentemente, a servizi sanitari di serie A e di serie B. È una questione di risorse e di punto di partenza equilibrato per ciascuna amministrazione regionale - continua il Governatore del Lazio -, che tenga conto delle peculiarità di ciascuna Regione. Il Lazio non è la Calabria come difficoltà, come sfida, come distribuzione degli abitanti”. Mostra le sue perplessità anche sulla proposta dell'assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, di istituire una tessera sanitaria a punti che potrebbe prevedere incentivi e premialità per chi segue stili di vita sani. "Amo sinceramente e profondamente l'universalità del servizio sanitario che guarda la dignità di ogni persona e che non giudica, nel momento in cui si entra in un ospedale, gli stili di vita o le abitudini individuali - dice Rocca -. Questo perché, di solito, sono le fasce più deboli della popolazione, quelle che hanno meno strumenti, sia da un punto di vista economico, che sociale e culturale, ad avere maggiore difficoltà ad aderire agli stili di vita sani. E proprio questi cittadini, i più bisognosi, non possono essere lasciati né soli, né tantomeno indietro”.
Il sondaggio lanciato da Adnkronos, i risultati
Ad aprire il dibattito tra tutti gli interlocutori, dai politici ai sanitari, che hanno preso parte all’evento “Salute e Sanità, una sfida condivisa” sono stati i dati emersi da un sondaggio su campione non statistico lanciato da Adnkronos sul suo portale, che ha coinvolto 6.500 utenti dal 5 al 17 marzo. Le risposte degli utenti sono nette: il 60% del campione ha meno fiducia rispetto al passato nel servizio sanitario pubblico e del mal funzionamento si dà la responsabilità in primis allo Stato (60%) ma anche alle Regioni (49%). I cittadini interpellati considerano la sanità privata come un’alternativa per pochi (91%) e soltanto uno su tre ritiene che ancora nel corso del 2024 si potrà continuare a curare nel pubblico alle stesse condizioni di oggi. Si dicono molto preoccupati soprattutto per il problema delle lunghe liste d’attesa (52%) e per la carenza di personale medico (37%). Il 60% degli utenti non sarebbe disposto a sottoscrivere un’assicurazione sanitaria, contro il 20% favorevole. Circa un quinto dei rispondenti ce l’ha già, ma solo poco più della metà di questi la rinnoverebbe.
Rifondare il sistema sanitario
Come affrontare le sfide principali nelle aziende ospedaliere, dai pronto soccorso alle liste d’attesa, è stato il tema al centro del dibattito della prima sessione. A parlarne, Fabrizio d’Alba, Direttore Generale del Policlinico Umberto I: “Il tema delle risorse non è mai un tema a sé stante - sottolinea d’Alba -. Un tema che s’intreccia sempre con la definizione e l’organizzazione dell’offerta assistenziale. Trovare una soluzione alle liste di attesa o al sovraffollamento dei pronto soccorso non può essere compito di una singola struttura: è il Sistema Sanitario Regionale a dover garantire al cittadino, in uno specifico quadrante delle Regione prossimo all’abitazione del paziente, una risposta al suo bisogno di salute in tempi accettabili”.
Che la carenza di risorse economiche non sia l’unico problema del SSN, e nemmeno il più importante, ne è convito anche Antonino Giarratano, Presidente della SIAARTI, la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva: “Da medico potrei immediatamente puntare il dito contro la mancanza di risorse economiche e carenza di posti letto, invece credo che per risolvere le criticità attuali sia necessaria una revisione organizzativa non solo delle strutture ospedaliere, ma anche dell’assistenza offerta a livello territoriale. L’organizzazione inappropriata dei servizi territoriali si riversa, inevitabilmente, sul pronto soccorso che, in molti casi, si rivela l’unico luogo dove è possibile ricevere l’assistenza di cui si ha bisogno in tempi ragionevoli. E proprio per questo, il 25-30% degli accessi nei pronto soccorso italiani risultano inadeguati, ovvero risolvibili nel corso di una visita ambulatoriale, laddove prontamente disponibile”.
Per la Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), invece, si potrà cambiare rotta e garantire un futuro alla sanità italiana puntando innanzitutto su “una riforma culturale, prima che tecnica e organizzativa. Una riforma che parta dal concetto di responsabilità condivisa, conosciuta e accettata dai cittadini, da tutti gli operatori, ma anche dai decisori ai diversi livelli, perché la responsabilità si esprime nella capacità di collaborare e di integrarsi seppure nelle diverse competenze - spiega Paolo Petralia, vicepresidente vicario di Fiaso -. Dobbiamo ricordarci che abbiamo la necessità di fare sintesi, insieme alle associazioni dei pazienti, a tutti gli altri stakeholder e alla politica”.
Dove trovare e come gestire le risorse
Conoscere quanto grava ogni singola patologia sul SSN per poter gestire al meglio le risorse disponibili ed, eventualmente, stanziarne delle nuove è per Francesco Albergo, docente Risk Management e Controllo delle aziende sanitarie Università LUM, il primo passo necessario per assicurare la sostenibilità del SSN: “Di recente abbiamo concluso un lavoro durato anni che ha analizzato quanto costa una patologia complessa al SSN – racconta il professore Albergo - . Sono emersi dei dati molto interessanti: circa il 40% delle patologie analizzate hanno dei costi molto superiori alle tariffe espressa dal Drg, solo il 25% è risultato in linea. Conoscere i costi reali significa poter distribuite le risorse in modo adeguato”. Per arrivare ad un metodo che permetta di determinare il costo di patologia ospedaliera o ambulatoriale, il gruppo di Albergo ha analizzato un milione mezzo di dati di quattro delle sei Asl pugliesi, due policlinici e un altro ospedale. A partire da questi risultati è stata messa a punto una "proposta concreta che non porta a definire dei costi standard, ma una metodologia standard", in modo che "lo stesso sistema di misurazione - spiega il docente - sia in grado di poter determinare il costo totale tenendo conto delle differenze che ci possono essere tra le diverse realtà, sia l'interno che tra le regioni, cosa che il costo standard non considera".
Tonino Aceti, Fondatore e Presidente di Salutequità, pur concordano con la necessità di implementare le risorse a disposizione della Sanità pubblica, ha evidenziato anche un’altra esigenza: spendere le risorse già stanziate. “Ci sono Regione alle quali sono stati concessi fino a 152 milioni di euro per smaltire le liste di attesa causate dalla pandemia da Covid-19 e non e non li hanno utilizzati – dice Aceti -.Ancora, ci sono fondi dedicati ai farmaci innovativi che restano inutilizzati”.
“Il SSN è ancora un pilastro della democrazia?”: a porre questo interrogativo è stato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, sottolineando che “se oggi non possiamo più garantire tutto ciò che è stato stabilito al momento dell’istituzione del SSN, allora vuol dire che è arrivato il momento di rivederne l’organizzazione. Servono coraggiose riforme - dice il Presidente della Fondazione Gimbe - perché comunque le modalità di pianificazione, organizzazione di erogazione del Servizio sanitario e socio-sanitario non sono adeguate alla transizione epidemiologica, informatica e tecnologica".
Rimettere al centro la persona, pazienti e personale sanitario
Alla persona, che sia essa paziente o sanitario, è stata dedicata la seconda sessione dell’evento 'Salute e sanità, una sfida condivisa’, alla quale hanno preso parte medici, specialisti e professionisti sanitari. Pietro Giurdanella, consigliere nazionale FNOPI, la Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Infermieristica, sottolinea l’importanza dell’infermiere di famiglia e di comunità per la costituzione della rete di assistenza territoriale “che - sottolinea – non può prescindere dalla collaborazione di un’equipe multi-professionale, anche all’interno delle case di comunità”. Quella tra salute e sanità è una sfida condivisa anche dalla Fism, la Federazione italiana Società Medico-Scientifiche che rappresenta più di 192 Società. “La Fims – spiega il suo presidente, Loreto Gesualdo - può offrire un importante contributo nel percorso di salute del cittadino italiano. In modo particolare, per quanto riguarda i programmi di prevenzione, nel ridisegnare i percorsi di cura e nelle competenze". Ampio spazio è stato dedicato anche alle esigenze dei pazienti fragili: “I pazienti con malattie rare hanno necessità, più di chiunque altro, di una presa in carico multidisciplinare, che comprenda anche il supporto psicologico, esteso pure ai familiari e cargiver che se ne prendono cura”, spiega Nicola Specchio, Responsabile Neurologia dell’Epilessia e Disturbi del movimento Bambin Gesù.
Medicina territoriale per il rilancio del SSN, a che punto siamo
Come medici di famiglia "stiamo lavorando in questo momento per affrontare la nuova convenzione della medicina generale che dovrà dare la possibilità di garantire un servizio di prossimità con un medico di famiglia che sia scelto dal paziente e che sia garantito sotto il profilo del rapporto di fiducia - aggiunge Fiorenzo Corti, sono vice-segretario nazionale della Fimmg, la Federazione italiana medici di medicina generale -. All'interno di questo discorso, indubbiamente bisogna fare in modo che i nostri studi diventino un luogo dove si possano anche effettuare prestazioni di tipo diagnostico. Questo, ovviamente, in un contesto che consideri la presa in carico adeguata soprattutto per pazienti cronici, con tutte le attività di prevenzione, importanti per mantenere la sostenibilità del nostro servizio di territorio nazionale". Fondamentale anche il supporto offerto dalla rete delle farmacie sul territorio: “Il nostro contributo -sottolinea Marco Cossolo, presidente di Federfarma - può essere sintetizzato in quattro azioni: dispensazione attiva del farmaco, legata anche al controllo dell’aderenza terapeutica, erogazione di alcune analisi di prima istanza, funzionali al controllo degli indicatori di eventuali ingravescenze o stabilizzazione dei pazienti cronici - da comunicare tempestivamente ai medici di medicina generale -, esami di cardiologia, vaccini e test biologici”.
Dall’Italia all’Europa: dal 2028 attivo il FSE europeo
Dall’Italia, l’orizzonte del dibattito, è stato poi esteso all’Europa, attraverso il contributo di Sandra Gallina, Dg Santè, direzione Salute e sicurezza alimentare della Commissione Ue: “Dal 2028 saranno abbattute tutte le frontiere europee per l’utilizzo dei dati sanitari. Non solo i dati del Fasciolo Sanitario Elettronico (FSE) saranno sempre accanto al paziente, ma egli stesso avrà sempre accesso a questi dati. Il paziente sarà al centro anche nel mondo digitale perché potrà sempre controllare i suoi dati e coloro che vi accederanno. Questo sarà di grande aiuto anche per i malati rari che potranno contare su un confronto con più specialisti anche in diversi parti del mondo, riducendo gli spostamenti fisici”. La transizione, puntualizza Gallina, "sarà molto impegnativa. Dobbiamo assicurare che ci sia il tempo, ma che ci siano anche gli investimenti in termini finanziari per poter arrivare pronti all'appuntamento del 2028. Bisogna che tutti gli Stati membri a questo punto ci mettano del loro. I fondi l'Unione europea li ha messi e continuerà a metterli. L’obiettivo sarà raggiunto quando, andando all'estero, viaggeremo solo con la nostra tessera sanitaria in tasca e – conclude - ci porteremo dietro tutti i nostri dati”.