Gli indeterminati confini del debito informativo
di Pasquale Giuseppe Macrì
Con l'Ordinanza numero 16633 del 12 giugno 2023 impone riflessioni sulle possibili ricadute sul piano organizzativo, operativo e sotto il profilo della sostenibilità. L’Ordinanza ha il merito di riconfigurare le coordinate generali della validità del consenso, ricordando che esso deve essere informato, consapevole, completo, globale ed esplicito. L'informazione deve comprendere tutti i rischi prevedibili ivi compresi quelli meno statisticamente ricorrenti
07 LUG -
Con l'Ordinanza numero 16633 del 12 giugno 2023, la III sezione civile della Corte di Cassazione propone un importante arresto giurisprudenziale su alcuni, ancora controversi, aspetti inerenti la disciplina del consenso informato ed in particolare circa i limiti ed i confini del diritto all'informazione quale momento fondante della validità del consenso o del dissenso.
Si tratta di un'Ordinanza che sviluppa argomentazioni di assoluto pregio ed ampiamente condivisibili sotto il prioritario aspetto giuridico ma impone, al contempo, riflessioni sulle possibili ricadute sul piano organizzativo, operativo e sotto il profilo della sostenibilità.
L'Ordinanza in commento ribadisce che gli esercenti le professioni sanitarie, prima di intraprendere qualsiasi atto medico o sanitario, hanno il dovere di informare il paziente e di acquisirne il consenso. Si tratta di doveri che, contrariamente a quanto continua a ritenere la Corte di Cassazione, non traggono origine da risalenti e concordanti pronunciamenti giurisprudenziali, ma da precisa e specifica fonte normativa. La legge 219 del 2017 recante "norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento", all’articolo 1, punto 1, sancisce che: "nessun trattamento sanitario può essere iniziato e proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge".
La stessa norma, al successivo punto 2 del medesimo articolo, ricorda e chiarisce che la relazione di cura tra medico e paziente " si basa sul consenso informato nel quale si incontro l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico".
Nel caso specifico, il paziente aveva citato in giudizio l'azienda sanitaria presso la quale era stato sottoposto ad intervento di asportazione di un'ernia discale, richiedendo il risarcimento dei danni biologico e patrimoniale derivanti dalla allegata imperfetta esecuzione dell'intervento e quindi ed autonomamente, il risarcimento del danno da violazione del diritto all'autodeterminazione per difetto di valido consenso informato. Il paziente ha allegato una non completa e non esaustiva informazione sulle complicanze post operatorie e specificamente proprio circa la complicanza che si è poi, concretamente, manifestata, consistita - per quanto è dato desumere dall'Ordinanza - in un aggravamento della sintomatologia dolorosa che aveva determinato il paziente a sottoporsi all'intervento contestato.
L'azienda è stata convenuta innanzi al Tribunale territorialmente competente che si esprimeva respingendo entrambe le domande. Avverso la sentenza di diniego, veniva proposto appello presso la Corte territoriale che riformava la sentenza di primo grado in relazione alla richiesta di risarcimento per violazione degli obblighi di informazione mentre confermava l'insussistenza di ogni profilo di responsabilità in ordine al concretizzarsi dell’evento avverso operatore-indipendente ovvero cagionato esclusivamente dalla reattività biologica dei tessuti del paziente. Si tratta quindi di un evento avverso genericamente prevedibile ma specificamente inevitabile.
La Corte d'Appello condannò l'azienda a liquidare in favore del paziente la somma di euro 7000 oltre alle spese di entrambi i gradi di giudizio.
L'azienda sanitaria condannata ricorreva per Cassazione chiedendo la modifica delle statuizioni nella sentenza della Corte territoriale con il sostanziale ripristino del giudicato, completamente assolutorio, di primo grado.
Con il primo motivo di censura, la difesa dell'azienda ricorrente lamentava l'imperfetto raggiungimento della prova, da parte della Corte d'Appello, circa la mancata informazione. In buona sostanza, secondo le tesi difensive, la prova dell’avvenuta informazione "andava desunta dalla sottoscrizione del modulo del consenso informato" e presunta dalla circostanza che "il paziente era stato sottoposto a diverse visite e controlli" prima di sottoscrivere il modulo di consenso informato. Non prive di pregio paiono, invero, alcune allegazioni a sostegno di tale tesi, segnatamente laddove si afferma: "è vero che detto documento [ modulo di consenso informato] non è ricco di dettagli in ordine all'intervento, ma è pur vero che l'informazione può essere data anche oralmente e la relativa prova trarsi per presunzioni"; ciò corrisponde perfettamente al dictum della norma specifica (legge 219 del 2017) che, all'articolo 1, punto 4, stabilisce che: il consenso in formato, acquisito nei modi con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, e' documentato in forma scritta o attraverso video registrazioni ... omissis…". Pertanto la norma prevede due fasi nell'acquisizione del consenso: una d’informazione, a forma libera ovvero nelle modalità più consone alle esigenze del paziente, ed una documentale, necessariamente in veste scritta o video-registrata.
Il cosiddetto modulo, dunque, potrà attestare e documentare l’avvenuta richiesta di prestazione del consenso e l’espressione dello stesso senza nulla provare circa la qualità ed il numero delle informazioni necessarie al paziente per esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione ai trattamenti sanitari. Non priva di pregio pare, dunque, l'osservazione difensiva secondo la quale non è dato trarre convincimenti probatori sulla mancata informazione dal modulo che “documenta” l'avvenuta informazione e l'avvenuta prestazione del consenso come fatti storici e non nella modalità di realizzazione.
Va, inoltre, osservato che nella fase di merito, una Consulenza Tecnica d’Ufficio, di natura medico-legale, aveva accertato che "la formazione di fibromi aderenze chirurgica in caso di interventi quali quello per cui è causa a un'incidenza statistica bassissima, pari al 5%".
A fronte del dato tecnico, la Corte di Cassazione ha ritenuto che "nella specie non risulta che la complicanza verificata sia stata considerata, anche dai consulenti, eccezionale o altamente improbabile, essendo piuttosto ad essa assegnata una percentuale di verificazione (5%) bensì bassa ma tuttavia non a tal punto da potersi qualificare nei termini anzidetti". Ritiene la Corte che l'incidenza statistica della ricorrenza della complicanza non assuma valore in ordine al discernimento dei confini minimi del debito informativo degli esercenti le professioni sanitarie.
Il debito, infatti, deve comprendere - secondo la Corte - tutte le informazioni correlabili alla prestazione sanitaria "la cui possibile verificazione sia comunque nota nella letteratura medica e come tale prevedibile, ancorché quale conseguenza di bassa frequenza statistica".
In buona sostanza, la Suprema Corte ha ritenuto che una percentuale di verificazione del 5% non possa far considerare la complicanza come "eccezionale" o "altamente improbabile". Parrebbe quindi potersi eludere, anche in queste circostanze, ogni possibile riferimento statistico, di fatto ampliandosi i limiti ed i confini del debito informativo dei sanitari e, per essi, delle strutture chiamate a rispondere delle loro omissioni. Occorre ora valutare, sotto l'aspetto fattuale ed organizzativo, a chi possa giovare un così amplificato ed incerto confine del debito informativo. Non certo al medico o alle strutture sanitarie ma, molto probabilmente, neppure al paziente che si troverà a dover scegliere in mezzo a una miriadi di possibili, prevedibili (anche se molto improbabili) eventi che, rendendo l'informazione meno comprensibile (in quanto non focalizzata sui determinanti oggettivi delle scelte delle persone malate) e più gravosa la scelta, potrebbe confonderlo edistoglierlo dalle necessarie cure.
L’Ordinanza ha, inoltre, il merito di riconfigurare le coordinate generali della validità del consenso, ricordando che esso deve essere informato, consapevole, completo, globale ed esplicito. In ordine alla completezza dell'informazione proprio l'ordinanza in commento ritiene che essa deve comprendere tutti i rischi prevedibili ivi compresi quelli meno statisticamente ricorrenti e con la sola esclusione di quelli assolutamente eccezionali ad altamente improbabile.
A tal proposito si deve rilevare come dalla stessa non si evincono parametri accertativi della definizione di “eccezionale” o “altamente improbabile”. La bassa, anzi bassissima (come definita dai consulenti di ufficio) ricorrenza della complicanza non vale – secondo la Corte - ad escluderla dall'obbligo informativo venendo così ad aprirsi profondi spazi di incertezza che rendono indefinito e poco comprensibile il limite del debito informativo degli esercenti le professioni sanitarie che non potranno quasi mai aver contezza o sicurezza di aver adeguatamente informato il proprio paziente.
Prof. Pasquale Giuseppe Macrì
Direttore del Centro Regionale per il Rischio Clinico e la Sicurezza del Paziente della Regione Toscana
Direttore A.F.D. Medicina Legale e Gestione delle Responsabilità Sanitaria – Az. USL Toscana sud est Arezzo - Siena - Grosseto
07 luglio 2023
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