I progressi globali nella riduzione dei decessi di donne incinte, madri e neonati sono rimasti fermi per otto anni a causa della diminuzione degli investimenti nella salute materna e neonatale. Dal 2015, si registrano circa 290.000 morti materne ogni anno, 1,9 milioni di nati morti - bambini che muoiono dopo 28 settimane di gravidanza - e ben 2,3 milioni di morti neonatali, ovvero morti nel primo mese di vita.
A lanciare l’allarme è un nuovo Rapporto dell’Onu, Unicef e Unfpa, “Improving maternal and newborn health and survival and reducing stillbirth” (Migliorare la salute e la sopravvivenza materna e neonatale e ridurre la natimortalità) presentato in occasione della Conferenza globale tenutasi a Città del Capo, in Sudafrica che mira ad accelerare la ripresa e i progressi nel campo della salute materna e neonatale, promuovendo investimenti mirati nell’assistenza sanitaria di base, nonché innovazione e partenariati più audaci tra i programmi che aiutano i Paesi a migliorare la sopravvivenza. In base alle previsioni attuali più di 60 Paesi non riusciranno a raggiungere gli obiettivi di riduzione della mortalità materna, neonatale e dei nati morti previsti dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite entro il 2030.
Secondo il Report oltre 4,5 milioni di donne e neonati muoiono ogni anno durante la gravidanza, il parto o le prime settimane dopo la nascita - il che equivale a un decesso ogni 7 secondi - per lo più per cause prevenibili o curabili se fosse disponibile un’assistenza adeguata.
“Le donne incinte e i neonati continuano a morire a tassi inaccettabilmente alti in tutto il mondo e la pandemia di Covid-19 ha creato ulteriori ostacoli nel fornire loro l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno – ha dichiarato il dott. Anshu Banerjee, direttore del dipartimento Salute materna, neonatale, infantile, adolescenziale e dell’invecchiamento dell’Oms – se vogliamo vedere risultati diversi, dobbiamo fare le cose in modo diverso. È necessario investire di più e in modo più intelligente nell’assistenza sanitaria di base, in modo che ogni donna e ogni bambino, indipendentemente dal luogo in cui vivono, abbiano le migliori possibilità di salute e sopravvivenza”.
Il Rapporto, valuta i dati più recenti su questi decessi - che hanno fattori di rischio e cause simili - e traccia la fornitura di servizi sanitari critici. La pandemia COVID-19, l’aumento della povertà e il peggioramento delle crisi umanitarie hanno intensificato le pressioni sui sistemi sanitari in affanno. Dal 2018, più di tre quarti di tutti i Paesi colpiti da conflitti e dell’Africa subsahariana riferiscono di un calo dei finanziamenti per la salute materna e neonatale. Solo 1 Paese su 10 (su oltre 100 intervistati) riferisce di avere fondi sufficienti per attuare i piani attuali. Inoltre, secondo l’ultima indagine dell’Oms sull’impatto della pandemia sui servizi sanitari essenziali, circa un quarto dei Paesi segnala ancora interruzioni nell’assistenza vitale alla gravidanza e al postnatale e nei servizi per i bambini malati.
“Come troppo spesso accade, la vulnerabilità, la paura e la perdita non sono distribuite equamente in tutto il mondo – ha dichiarato Steven Lauwerier, Direttore sanitario dell’Unicef– dopo la pandemia COVID-19, i neonati, i bambini e le donne che erano già esposti a minacce per il loro benessere, soprattutto quelli che vivono in paesi fragili e in situazioni di emergenza, stanno affrontando le conseguenze più pesanti della diminuzione della spesa e degli sforzi per fornire un’assistenza sanitaria di qualità e accessibile”.
Le carenze di fondi e i mancati investimenti nell’assistenza sanitaria di base possono minare le prospettive di sopravvivenza. Per esempio, mentre la prematurità è oggi la causa principale di tutti i decessi al di sotto dei cinque anni a livello globale, meno di un terzo dei Paesi dichiara di avere unità di assistenza neonatale sufficienti per curare i bambini piccoli e malati. Nel frattempo, circa due terzi delle strutture per il parto d’emergenza nell’Africa sub-sahariana non sono considerate pienamente funzionanti, ovvero non dispongono di risorse essenziali come farmaci e forniture, acqua, elettricità o personale per un’assistenza 24 ore su 24.
Nei Paesi più colpiti dell’Africa subsahariana e dell’Asia centrale e meridionale - le regioni con il maggior carico di morti neonatali e materne - meno del 60% delle donne riceve anche solo quattro degli otto controlli prenatali raccomandati dall’Oms.
“La morte di una donna o di una ragazza durante la gravidanza o il parto è una grave violazione dei loro diritti umani – ha dichiarato la dott.ssa Julitta Onabanjo, Direttore della Divisione Tecnica del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) – riflette anche l’urgente necessità di aumentare l’accesso a servizi di qualità per la salute sessuale e riproduttiva come parte della copertura sanitaria universale e dell’assistenza sanitaria di base, soprattutto nelle comunità in cui i tassi di mortalità materna sono rimasti invariati o addirittura aumentati negli ultimi anni. Dobbiamo adottare un approccio basato sui diritti umani e sulla trasformazione di genere per affrontare la mortalità materna e neonatale, ed è fondamentale eliminare i fattori alla base dei cattivi risultati della salute materna, come le disuguaglianze socio-economiche, la discriminazione, la povertà e l’ingiustizia”.
Per aumentare i tassi di sopravvivenza, le agenzie affermano che le donne e i neonati devono poter contare su un’assistenza sanitaria di qualità e a prezzi accessibili prima, durante e dopo il parto, nonché sull’accesso ai servizi di pianificazione familiare. Sono necessari più operatori sanitari qualificati e motivati, soprattutto ostetriche, oltre a farmaci e forniture essenziali, acqua sicura ed elettricità affidabile. Il Rapporto sottolinea che gli interventi dovrebbero essere rivolti in particolare alle donne più povere e a quelle in situazioni di vulnerabilità, che hanno maggiori probabilità di non ricevere cure salvavita, anche attraverso una pianificazione e investimenti critici a livello subnazionale.
Per migliorare la salute materna e neonatale, conclude il Rapporto è necessario affrontare le norme, i pregiudizi e le disuguaglianze di genere. Anche perché, dati recenti mostrano che solo il 60% circa delle donne tra i 15 e i 49 anni prende le proprie decisioni in materia di salute e diritti sessuali e riproduttivi.