Mi è sembrato politicamente molto significativo l’articolo di Daniela Barbaresi, la segretaria confederale della CGIL nazionale, che per conto del più grande sindacato del paese ha la responsabilità, tra le altre cose, della sanità.
Il suo intervento si inquadra in un programma di mobilitazione generale della CGIL contro le politiche del governo nel quale, come proprio il suo articolo dimostra, la questione del diritto alla salute e della difesa della sanità pubblica è certamente questione politica centrale.
Meta-valore e emancipazione
Solo se il sindacato farà propria la grande questione della salute la battaglia contro le politiche, insisto “darwiniane”, di questo governo, potrà essere vinta (QS 18 aprile 2023).
Ricordo che la salute, in particolare per la CCIL, non è mai stata una questione solo tecnico-sanitaria ma è sempre stata una primaria questione politica di emancipazione dei cittadini dei lavoratori, delle donne, dei soggetti sociali deboli, dalle ingiustizie, dalle diseguaglianze, dagli svantaggi, di questa società capitalista che ricordo essendo per definizione “capitalista” è una società a priori diseguale e ingiusta che va cambiata.
La salute è un “meta-valore” perché la sua affermazione implica l’emancipazione dei cittadini cioè la necessità vincolante di cambiare le ingiustizie di questa società.
La salute come meta-valore è un diritto anti-retorico perché senza riforme (quelle vere) esso rimarrebbe una petizione di principio. Infatti la salute (la famosa prevenzione della 833) nel nostro sistema pubblico nonostante le premesse di legge è rimasta una petizione di principio e nulla di più.
Il diritto alla salute come meta-valore rappresenta un inevitabile critica a questo sistema definito, prima di tutto dall’economia, quindi non in modo ideologico come “capitalistico”.
Capitalismo e Costituzione
All’ombra dell’Ulivo
I guai sono iniziati quando questo significato innegabilmente “socialista” della legge 833 fu cancellato:
L’Ulivo, da cui sono nate queste controriforme, era un minestrone ideologico con dentro praticamente di tutto. E’ grazie all’Ulivo che prima è affogato l’art. 32 della Costituzione e poi il processo di riforma sanitaria del ‘78.
Se la sanità fosse rimasta “socialista” (mi si passi la battuta) come era scritto sia nell’art. 32 che nella 833, oggi, probabilmente non avremmo il problemone della “grande marchetta”. Ma io per primo conosco le fallacie dei ragionamenti controfattuali.
L’antifatalismo della CGIL
La cosa che ho apprezzato dell’articolo di Daniela Barbaresi, oltre il taglio critico sulle politiche finanziarie del governo e sul ministro della salute, è il suo inequivocabile anti-fatalismo politico.
Il fatalismo come è noto è una filosofia secondo la quale il mondo è governato da una necessità ineluttabile del tutto estranea alla volontà e all'impegno dell'uomo.
Al contrario Daniela Barbaresi afferma una cosa importante: “Il destino del SSN è da riscrivere e vogliamo farlo con il mondo del lavoro, con i pensionati, con l’associazionismo civico e con tutte le donne e gli uomini che si riconoscono nei principi fondanti il SSN: universalità, uguaglianza ed equità”.
Come dire è possibile cambiare ciò che fino ad ora pensavamo irreversibile. Personalmente la penso come lei.
Idee movimento e riforma
Ma riscrivere il destino, come ci insegna la mitologia, non è proprio una passeggiata per questo ritengo che l’anti-fatalismo contro il governo di destra, abbia bisogno, se vuole diventare pratica politica sicuramente di due cose:
Il ruolo delle piazze
Le piazze servono per convincere il governo ma esse non si riempiono con le ragioni di coloro che hanno messo in ginocchio la nostra sanità. Tutti gli appelli o le proposte che si limitano a chiedere al governo più finanziamenti ma per rifinanziare le contro-riforme fatte, sono visibilmente farlocche quindi, per quanto mi riguarda, inaccettabili. E sono farlocche non per ragioni ideologiche ma per ragioni molto concrete. Esse per prime oggi nella super crisi sono finanziariamente impossibili
Proprio la CGIL mi ha insegnato, che non si va mai allo scontro politico su degli obiettivi impossibili. Anche se hai un esercito non si vince mai né con le proposte sbagliate né con le chiacchiere né con gli inganni e meno che mai chiedendo la Luna. Come diceva Gramsci si vince se la tua prassi è quella della verità e del realismo.
Cosa si chiede e cosa si propone?
Un mese circa dopo la nascita del governo di destra la Cgil varò una piattaforma “Per uno Stato Sociale forte, pubblico e universale” nella quale un grande spazio era riservato alla questione sanità.
In essa tutti i sacri principi della 833 e dell’art. 32, nonostante le controriforme fatte dall’Ulivo, erano tutti ribaditi, anche se solo purtroppo solo come petizioni di principio.
Quella importante piattaforma, se al momento funzionò come una prima risposta politica al governo di destra, facendo semplicemente un inventario oggettivo dei problemi della sanità, non si poneva però, almeno esplicitamente, l’obiettivo di “cambiare il destino” della sanità, anche perché a quel tempo non era proprio chiaro che questo destino fosse, grazie al governo di destra, automaticamente in pericolo.
Alla fine, per quella piattaforma, il destino della sanità era già stato deciso dalle politiche che erano state fatte prima della Meloni per cui questo destino si trattava semplicemente di rifinanziarlo.
Oggi se proprio volessimo cambiare il destino della sanità quella piattaforma secondo me quanto meno dovrebbe essere riformulata.
Due punti deboli
In essa c’erano due punti politici deboli che dobbiamo per forza aggiustare:
Come spendere, prima ancora di quanti soldi
Cioè oggi non si possono chiedere soldi senza un negoziato su come spenderli ma solo perché i soldi fino ora usati per la sanità sono stati davvero spesi male molto male e perché in un accordo sulla loro spendibilità l’accordo in sé è già un finanziamento.
Non c’è alcun dubbio che sarebbe una buona cosa togliere soldi alla guerra per darli alla sanità o mettere una patrimoniale per rifinanziare la sanità quindi fare una riforma fiscale, ma campa cavallo che l’erba cresce. E anche se togliessimo i soldi alla guerra e facessimo una riforma fiscale il problema resta: come spendiamo i soldi che ci servono?
Tra passato e futuro
Ribadisco che nella piattaforma della CGIL i soldi che si chiedevano al governo servivano non per riformare il destino della sanità ma per ribadirlo nonostante esso implicasse la fine della sanità pubblica e del diritto alla salute.
Quindi chiedo: i soldi che la Meloni dovrebbe darci servono per rifinanziare il “passato” a contraddizioni invarianti come ci propone la Bindi e il “movimento per la sanità pubblica” e i tanti riformatori farlocchi? O i soldi che ci servono, al contrario, li dobbiamo usare per finanziare il “futuro” cioè una sanità pubblica altra, diversa, da quel pasticcio fallimentare fatto dall’Ulivo negli anni ‘90 e che oggi ci ha portato alla rovina?
E con la questione sostenibilità come la mettiamo?
Ricordo a tutti che il sistema mutualistico è crollato per ragioni di sostenibilità e che oggi il nostro SSN sta facendo la stessa fine non solo perché il problema ereditato delle mutue non siamo riusciti a risolverlo ma anche perché quel problema lo abbiamo aggravato e esasperato. Con la “grande marchetta” il problema di sostenibilità si è amplificato indicando alla destra come unica strada di uscita non la soluzione pubblica come sostiene la CGIL ma una ancora più estesa privatizzazione.
Siccome il “passato” della sanità dal punto di vista economico, a causa delle sue enormi contraddizioni privato/pubblico è oggettivamente insostenibile, chiedo: quale futuro per la CGIL è al contrario sostenibile?
La contraddizione quindi della “grande marchetta” non illudetevi, lo ha detto anche l’Ocse con chiarezza, non è più possibile rimuoverla.
Oggi la sanità per il governo Meloni nella super crisi è insostenibile ma solo perché nella super crisi è la sua privatizzazione a carico del fisco che la rende tale.
Oggi la sanità per essere sostenibile deve tornare ad essere pubblica e il privato deve tornare ad essere privato quindi, come diceva chiaramente la 833, a spese proprie non a spese del fisco. La 833 non ha mai detto che il privato non è ammesso ma ha sempre detto che il privato, a parte quello convenzionato, se lo paga il privato. Oggi il privato almeno in parte è pagato dallo Stato. Questa è “la grande marchetta”.
Un mucchio di gente a sinistra chiede senza rendersi conto di andar contro la 833 contro la 833 di rifinanziare la “grande marchetta”, ma se dovessimo rifinanziare solo il costo equivalente all’out of pocket, la Meloni ci dovrebbe dare 37 mld. E dove si trovano oggi 37 mld sull’unghia ?
Negoziare il cambiamento
E poi un mucchio di gente, sempre a sinistra, chiede soldi ma a invarianza di contraddizioni cioè senza mai riformare niente. La Cgil mi ha insegnato che per avere bisogna negoziare e che negoziare significa spesso fare delle transazioni. La transazione ha due significati: quello dello scambio e quello dell’accordo. Cosa siano disponibili a scambiare? E su cosa siamo disponibili ad accordarci?
Chiedo: quali sono le transazioni che siamo disposti a fare per avere indietro l’art. 32, l’albatros che l’Ulivo ha fatto fuori con le sue controriforme e che ora il governo di destra ci ripropone tout court?
Un unico grande diritto una sola grande piattaforma
Quindi la vera grande partita secondo me anche per la CGIL alla fine resta l’art. 32: è possibile o no recuperare la “natura socialista” di cui parlavo prima del diritto alla salute, quella natura cancellata inopinatamente dall’Ulivo quando con i suoi ministri comandava sulla sanità e sulla sinistra?
Credo che sia impossibile cambiare il destino della sanità se l’albatros, cioè l’art. 32, non ritornasse in vita.
Se si continua a privatizzare la sanità quindi a speculare sullo sfruttamento delle malattie per il diritto alla salute non ci sarà mai la possibilità per il diritto alla salute di diventare una meta-valore.
Quindi chiedo: quali sono le condizioni negoziabili con il governo per avere indietro l’art. 32?
Sfruttare le malattie o la salute?
Anziché “sfruttare” le malattie è possibile “sfruttare” la salute? E’ possibile o no anche in questa società capitalistica riformare le convenienze dell’economia? Cioè agire la mia idea, che a molti appare bislacca, di compossibilità?
Secondo me è possibile. Me ne sono reso conto proprio quando in CGIL (anni ’90) dirigevo il dipartimento “Ambiente e salute”. Allora scrissi un libro “La nuova previsione” con la prefazione di Bruno Trentin con il quale spiegavo che la fabbrica e l’ambiente sono compossibili solo se la loro relazione è senza contraddizioni quindi se entrambi condividono una comune idea di salute. Un comune diritto.
Allora non era facile sostenere la tesi dell’unificazione in un solo diritto della salute e dell’ambiente e solo di recente il diritto all’ambiente è stato ammesso in Costituzione ed è diventato un diritto di quarta generazione.
Oggi con queste modifiche unificare il diritto è possibile e come. Oggi è possibile dire che ambiente e salute insieme producono ricchezza e che questa ricchezza è la prima garanzia di sostenibilità del sistema sanitario pubblico.
La Bindi ci ha spiegato che la “grande marchetta” era necessaria per rendere la sanità pubblica sostenibile, (QS 23 gennaio 2023). Cioè che la sanità pubblica non era autosufficiente e che solo il privato poteva salvarla. Una grande fesseria che oggi è possibile smascherare in tutta la sua falsità e in tutta la sua strumentalità ma alla quale anche molta gente di sinistra e della CGIL ha creduto.
Conclusione
Per cambiare il destino della sanità pubblica oggi bisogna trovare un luogo, una sede, un momento di confronto, un pensiero, da condividere per discutere come fare, e buttare giù almeno una piattaforma di lotta che richiami in piazza la gente con l’obiettivo esplicito di voltare pagina e dare avvio ad un negoziato sul futuro tanto del diritto alla salute che della sanità pubblica.
In passato la CGIL ha fatto questo e molto altro. Forse oggi essa è l’unica in grado di offrire quanto meno uno spazio dove pensare tutti insieme il cambiamento che ci serve.
Ivan Cavicchi