La Sezione giurisdizionale d’appello per la Sicilia della Corte dei conti non le ha mandate a dire. Ha emesso una sentenza (la n. 18 del 2023) da far tremare i polsi - non per entità economica di condanna bensì per riaffermazione di principio - non solo ai diretti destinatari del dictum (degli amministratori e dei revisori della Città metropolitana di Catania) ma a tutti coloro i quali sono ad essi equiparati. Sostanzialmente, a chi è tenuto comunque a sollevare, per esercizio professionale di mandato, il cartellino giallo - propedeutico a quello rosso - sulla emersione di responsabilità gestorie a seguito di verifica, costante e continuativa, sulla regolarità degli atti e dei conti degli enti cui i medesimi sono preposti a titolo di revisori.
La sentenza è chiarissima. Colpita e sanzionata pesantemente «la condotta caratterizzata da inescusabile inerzia e, perciò gravemente colposa», con le interdizioni e le pene pecuniarie previste dal TUOEL (art. 248, commi 5 e 5 bis), trattandosi nella specie di un ente locale. Nel caso della Città metropolitana di Catania, per avere causato - sottacendo e con questo assumendo condotte gravemente lesive - il peggiore dei danni possibili per la collettività interessata: il dissesto.
Un epilogo, questo, a fronte del quale - stante la recente giurisprudenza della CEDU (si veda qui articolo del 17 aprile scorso) sulle responsabilità dello Stato a onorare i debiti della PA - ci saranno ricadute dai valori complessivamente miliardari con conseguenti responsabilità derivanti.
Nel confermare l’esito di primo grado, il Giudice del gravame ne ha aggravato le “pene”. Ha scritto pesantemente contro le inattività dei revisori, il venir meno agli obblighi istituzionali di loro specifica competenza, ovverosia di rispondere della veridicità delle loro attestazioni e degli adempimenti afferenti ai loro doveri «con la diligenza del mandatario».
Omettere i pareri negativi, accettare supinamente comportamenti degli amministratori e della dirigenza non propriamente conformi alle norme e alla buona amministrazione, verificare con superficialità i bilanci di previsione e i rendiconti costituiscono violazioni gravi, generatrici di danni considerevoli al bene comune. Non solo. Consentono l’acuirsi di criticità spesso non rimediabili. Proprio per questo l’ordinamento prevede in capo ai revisori il possesso di particolari expertise.
La ricaduta sulla sanità regionale nel suo complesso
Il formarsi di una tale decisa giurisprudenza europea sui i diritti dell’Uomo pone il problema della estensibilità del decisum a quanto potrebbe accadere altrove, prioritariamente nell’universo delle società partecipate, costituite a vario titolo, e negli enti del servizio sanitario nazionale ove il requisito della «diligenza del mandatario» è altroché richiesto. Eccome.
Basti pensare agli adempimenti innumerevoli cui sono sottoposti a cascata nella PA gli organi cui è demandata la revisione, in quanto strettamente connessi e dipendenti in una logica combinatoria, per esempio nelle Regioni, del tipo quella delle matrioske. Agli stessi infatti è rimessa dall’ordinamento una competenza multifaceted, in quanto tale destinata ad assolvere ad una molteplicità di compiti rientranti sia in discipline di carattere economico che giuridiche, poste a garanzia del rispetto assoluto delle norme e della buona amministrazione. Quest’ultima ritenuta l’espressione della sintesi dei comportamenti tenuti a verificare il rispetto non solo dei principi di efficienza, efficacia ed economicità ma anche di quello della utilità pubblica. Da ciò deriva, in difetto della necessaria diligenza e accortezza, una responsabilità solidale per quelle disattenzioni funzionali a non ossequiare le regole di contabilità armonizzata, in relazione soprattutto alla formazione dei debiti fuori bilancio, all’accertamento dei residui attivi e passivi e alla copertura in bilancio delle previsioni.
Le fantasie regionali non hanno fine: società pubbliche a gogò e aziende zero (in condotta)
Il ricorso delle Regioni, oramai smoderato, alla costituzione di società pubbliche, spesso elusivo di realtà pesantemente gravate da netti patrimoniali in negativo, e di “aziende zero”, dimostrative ovunque di un fallimento annunciato, rappresenterà per gli anni a venire un grande tema sia per il Magistrato contabile (e non solo, attese anche le ricadute penali, civilistiche, fiscali, previdenziali e assicurative di frequente rinvenibili) che per i revisori chiamati a dire la loro in costanza e continuità. E’ da constatare in questo periodo il peggio del ricorso alla società pubblica per ottenere, artatamente, risultati elusivi della montagna di debiti costruita dai sistemi societari del sistema autonomistico, del tipo quello realizzabile attraverso le tradizionali procedure concorsuali.
La CEDU ha detto chiaramente no ad un siffatto brutto vizio di antigiuridicità, spesso concretizzatasi per compiacenza verso i decisori politici.
Le responsabilità complessive su una sanità circondata da un’antigiuridicità tollerata oltre ogni limite.
Un problema serio quello emerso, certamente da dover risolvere. Moltiplicatosi per n nella gestione della sanità in piani di (non) rientro. Ciò in quanto - se messi altresì in relazione agli affidamenti fin troppi frequenti di compiti di affiancamento dai contenuti spesso indecifrabili commissionati ad advisor con milioni di euro al seguito – fa supporre l’accertamento di una estensione di responsabilità per «inescusabile inerzia» rinvenibili in un regime complicità allargate, non solo colpose.
Un sistema quello della salute che, anche alla luce delle sentenze emesse dalla Corte dei conti palermitana, sarà approfondito dalla Magistratura contabile nel suo complesso. Il tutto con la conseguenza dell’emersione del frequente venir meno dei doveri del mandatario, spesso concretizzati in regime associativo con la governance mandante che li nomina e ne sostiene il costo.
Ettore Jorio