Non è facile affrontare il tema proposto da Ivan Cavicchi sulla progressiva decadenza e prevedibile marginalizzazione del SSN e soprattutto è difficile ripensare la sua lunga storia legislativa ed amministrativa in modo non ideologico e soprattutto obiettivo.
Di fatto i risultati della gestione della sanità pubblica sono sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto dei cittadini che sono ormai e costretti a ricorrere alla sanità privata, di fatto pagando due volte: la prima con le loro tasse (ammesso che le paghino) la seconda per necessità mediche non rimandabili. Vorrei anche condividere l’idea che se la situazione non è ancora al limite, è solo ed esclusivamente merito degli operatori sanitari, al di là degli interventi di una politica decisamente non all’altezza.
Certamente è importante ripercorrere la storia della legge 833 e delle sue evoluzioni/involuzioni che arrivano alla riforma del 1999 e alla inquietante proposta attuale di ulteriore regionalizzazione oltre che dell’espansione della sanità integrativa. Sembra però anche importante valutare la situazione di quelli che, almeno sulla carta, dovrebbero essere i veri protagonisti di ogni cambiamento in sanità e senza la cui opera ogni riforma/controriforma è desinata a rimanere sulla carta.
Sto parlando degli attori, unici ed insostituibili, dalla sanità ed è per questo che vorrei spostare l’attenzione dalla politica (la cui responsabilità è massima) al personale sanitario, agli attori principali di questa progressiva trasformazione di un servizio pubblico: da struttura sanitaria invidiata da tutto il mondo ad un sistema proiettato verso la catastrofe “Per me la catastrofe in sanità è la morte del diritto alla salute, è la privatizzazione della sanità pubblica, è l’esplosione delle ingiustizie, del cinismo economico, è essere governati da degli imbecilli, è avere una politica sciatta e ignorante”.
Certo, la sanità è diventata tutto questo. Certo, le responsabilità della politica sono innegabili. Certo, la qualità dei “manager” troppo spesso non si discosta da quella del venditore di auto usate. Certo, la deriva economicista è stata pilotata da ragionieri di modesta intelligenza.
Nessuno dice però che anche i medici hanno fatto la loro parte. Il problema principale, a mio parere, è il fatto che noi medici abbiamo assistito al progressivo disfacimento del SSN con indifferenza, senza proferire verbo, senza alcuna visione, senza alcun interesse. Il che ci ha portato a diventare testimoni distaccati di ogni nefandezza, quasi identificandoci nel motto dell’arma dei Carabinieri “usi ad obbedir tacendo”, senza peraltro prestare attenzione alla seconda parte che recita “e tacendo morir”.
Personalmente non ricordo nessuno, medici, sindacati, società scientifiche, ordini professionali in grado di affrontare con lucidità il problema della decadenza del SSN che, seppure sotto gli occhi di tutti, non ha avuto testimoni all’altezza. Certamente non si poteva pretendere che i nostri rappresentanti volassero alto, non si può volare quando mancano le ali, tuttavia non ricordo alcuna analisi di un problema che è andato ingigantendosi, non rammento perplessità e tantomeno consapevolezza per come si è progressivamente ri-definito il ruolo del medico nel corso di questi lunghissimi anni: i vertici delle varie sanità regionali sono riusciti a trasformare la figura del medico in quella del servo muto di manager troppo spesso cialtroni. Colpa dello Stato e delle sue leggi?
Non solo. La colpa è anche nostra, colpa per avere sempre chinato la testa e finto di non vedere il disastro provocato dalle “mode amministrative” che nel corso degli anni ci hanno coinvolto in modelli di produttività industriale, costretti ad adeguare la nostra professione a proposte economiciste prodotte da individui di modesta intelligenza e assai minore cultura, stimolati a far crescere la creatività (sic!) in reparto, esclusi ed isolati ogni volta che tentavamo di proporre soluzioni differenti da quelle imposte dall’alto, sopraffatti da un competitività di altre professioni e con l’unico scopo professionale di riuscire ad entrare nelle grazie del DG di turno.
Se da un lato la necessità (?) di creare rapporti privilegiati con i nominati dalla politica ha premiato il servilismo, dall’altro non dobbiamo dimenticare che quello che pomposamente viene chiamato task shifting (cessione di competenze mediche ad altre professionalità) l’abbiamo prima introdotto e poi coltivato noi medici. Insomma, un medico che cede con indifferenza le proprie competenze ad altre figure professionali, che rifugge dal rapporto con il paziente, che viene selezionato per l’obbedienza, che perde tutta l’autorevolezza che l’ha distinto nel corso dei secoli, che delega ad altri addirittura la raccolta dei dati anamnestici, che crede di volare alto ed invece diventa sempre più marginale, che risultati potrà mai ottenere?
Non siamo riusciti a comprendere che percorrere una strada siffatta avrebbe contribuito ad annullare il nostro peso all’interno dell’organizzazione sanitaria, selezionando comportamenti troppo spesso compiacenti più che la nostra professionalità. In questo contesto molti bravi colleghi hanno scelto di non occuparsi di una politica sanitaria che li ha progressivamente esclusi, dedicandosi esclusivamente alla loro materia professionale e scientifica che, nell’attuale contesto, significa marginalizzare anche la base della nostra professione: il rapporto medico-paziente.
Molti di noi ormai colloquiano con lo schermo di un computer dimenticando l’importanza della relazione con il paziente relegandola a differenti figure professionali (es. comunicazione della diagnosi, anamnesi……). Ci hanno di fatto isolati ma, quel che è peggio, ci siamo persino isolati da soli.
La prova evidente che questi atteggiamenti non pagano è fornita da altri professionisti che, compatti, riescono addirittura a far passare iniziative di legge basate sul nulla oppure ad indirizzare scelte politiche ed economiche mediante l’impiego disinvolto di numeri che definiscono esclusivamente il rischio relativo, anche questo un insulto all’intelligenza.
Sembra che nessuno si accorga che altri professionisti non-medici riescono a ritagliarsi spazi e considerazione sempre maggiori da parte di una politica incapace , di fatto perseguendo il fine di una sanità sempre meno dipendente dall’apporto dei medico. Di fatto la deriva del servizio sanitario non sembra riguardare alcune professionalità, premiandone invece la compattezza e le (scarse) idee portate avanti con diligente fermezza.
Dall’altra parte invece la voce del medico è di fatto diventata del tutto marginale in ogni discorso che riguarda l’organizzazione di qualsiasi elemento di sanità pubblica e la contraddizione è stridente: senza di noi non si può fare sanità, eppure la sanità si fa senza di noi.
Una Medicina nella quale il medico è diventato un accessorio: non sarà anche questo un dato importante da considerare nella attuale crisi della sanità pubblica? Una sanità pubblica governata troppo spesso nell’indifferenza del personale sanitario, quasi che nessuno di noi percepisca il dovere anche morale di opporsi a scelte avvilenti per il cittadino e per gli operatori.
Ormai è tardi e i medici, quei pochi che parlano, non li ascolta più nessuno. Forse ripensare anche alla nostra professione potrebbe essere un modo per riguadagnare un poco di autorità e di prestigio, quello che ci manca per fare proposte che possano venire prese in considerazione. Certo, la politica ha le sue colpe. Però anche i medici ed i loro rappresentanti qualcosa avrebbero potuto fare per opporvisi.
Pietro Cavalli
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