La notizia del controllo da parte del Ministero della Salute dei contratti di ASL e Ospedali, riportata dalla stampa (QS 16/12) e da tempo da noi sollecitato, non si estende ai contratti in vigore nel privato accreditato. E l’irrisolto problema del rapporto pubblico/privato rimane tra le molteplici criticità dimenticate dalla politica sanitaria del Paese limitata all’accreditamento delle strutture e parzialmente delle prestazioni, come previsto dalla Legge 118/2022 (QS 13 settembre).
Ma soprattutto lasciata alla frammentazione delle politiche sanitarie delle Regioni che hanno rinunciato a governare un rapporto divenuto ormai cruciale per la sopravvivenza del SSN, evitando per di più di applicare le regole di accreditamento riguardanti il Personale che, nel privato come nel pubblico, lavora per il SSN, ma con minori diritti e retribuzione.
Rimane così ignorato quel punto 3 del Manifesto dei Medici Italiani, sottoscritto nell’aprile scorso da tutte le componenti mediche riunite dalla FNOMCEO: “Prevedere per il personale medico dipendente del privato, accordi contrattuali omogenei all’interno del SSN, pubblico e privato, garantendo una adeguata dotazione qualitativa e quantitativa degli organici, un trattamento retributivo equiparato al settore pubblico, l’equiparazione dei titoli di carriera pubblico privato”, che non rappresenta soltanto un punto programmatico, ma l’affermazione di un principio di riconoscimento al Personale a cui sono richiesti gli stessi requisiti e le stesse prestazioni dei Colleghi del pubblico, ma a cui non vengono applicate le regole di trattamento in parte previste dalla normativa di accreditamento.
A questo proposito appare emblematica la situazione a dir poco caotica in cui versano i Contratti in vigore nelle strutture private accreditate:
In sintesi, nelle stesse strutture ospedaliere private accreditate e in particolare nelle stesse Unità Operative coesistono una molteplicità di contratti con la conseguenza di una vera e propria situazione caotica e francamente mortificante: medici dirigenti, medici assistenti o aiuti, medici con contratto compatibilizzato col contratto pubblico, medici con contratto ad Personam, medici libero-professionisti, sanitari non medici con qualifica di dirigente, sanitari non medici attribuiti al Comparto, sanitari non medici libero professionisti, medici di cooperative. Tutti ad esercitare le medesime funzioni e prestazioni, ma con riferimenti normativi e retributivi completamente differenti. Alla faccia della qualità della prestazione accreditata e garantita dal SSN.
L’obiezione è che l’esistenza di contratti differenti in ambito di strutture private sia pienamente legittima, anche se la situazione descritta appare oggettivamente caotica, soprattutto per quella coesistenza di diritti, norme e retribuzioni differenti nell’ambito di una stessa Unità Operativa e nell’ambito di una stessa équipe.
Tuttavia l’aspetto totalmente ignorato è che le strutture a cui si riferiscono i contratti sopra riportati sono accreditate in osservanza di requisiti e regole previste dal SSN, requisiti e regole di accreditamento delle strutture, delle prestazioni e del personale che le esegue, trattandosi di prestazioni pubbliche comprese nei Livelli Essenziali di Assistenza garantite dal SSN stesso.
Non vi è dunque una totale libertà imprenditoriale nel trattamento complessivo del dipendente. Libertà eventualmente limitata ad accordi decentrati, mentre la parte che rientra nei requisiti di accreditamento deve rispettare regole comuni e nazionali.
Diversamente si configura (come attualmente avviene) una situazione di personale low cost (QS 28 Aprile 2021 ) nell’ambito dello stesso SSN, con il risultato di un indebito costo inferiore delle prestazioni remunerate dal SSN in modo comune a tutte le strutture, pubbliche e private.
Il SSN, infatti, non è un libero mercato dove l’iniziativa economica è libera, bensì un Servizio pubblico fondato su principi di accreditamento che garantisce universalità, equità e uguaglianza delle prestazioni.
Il contrasto con l’articolo 36 della Costituzione è evidente: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”. Nel pubblico come nel privato.
Non da ultimo si dovrebbe riflettere sulle conclusioni riportate dallo studio della Commissione europea del 2016 sul dumping sociale e salariale (Commissione per l’occupazione e gli affari sociali-Relatore Guillaume Balas) che punta il dito sullo sviluppo di concorrenza sleale quando si pratichi una riduzione illegittima dei costi operativi e di manodopera, con conseguente violazione dei diritti dei lavoratori e sfruttamento di questi ultimi nell’effettuazione di svariate prestazioni.
Il Parlamento europeo ritiene infatti che, pur non esistendo una definizione legalmente riconosciuta e universalmente condivisa di dumping sociale e salariale, non si debba dare copertura a pratiche intenzionalmente abusive ed elusive della legislazione europea e nazionale vigente (comprese leggi e contratti collettivi). Le conseguenze di tali pratiche e situazioni possono avere un impatto su tre fronti principali: economico, sociale, finanziario e di bilancio.
Ancora di più, possiamo aggiungere, quando tali pratiche e situazioni siano realizzate in nome e per conto di un servizio pubblico.
Fabio Florianello
Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale ANAAO ASSOMED