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Il servizio sanitario nazionale e già affogato? Chi lo salverà?

di Roberto Polillo e Mara Tognetti

Una parte importante degli attori istituzionali ha la consapevolezza che il superamento della crisi impone una profonda revisione delle politiche di stampo neo liberista perseguite in questi due ultimi decenni, ma le soluzioni e le proposte di superamento di questa deriva inarrestabile sono ancora una volta poco efficaci perché delineate e messe a punto considerando semplicemente il proprio punto di vista, la propria posizione di potere, senza un confronto concreto e reale sulle pur importanti questioni sollevate in modo settoriale

19 DIC -

Le acque del campo istituzionale sanitario sono profondamente agitate. La situazione è quella della crisi manifesta in cui il vecchio è morto ma il nuovo stenta a nascere per citare un concetto di Antonio Gramsci.

In tale contingenza il vecchio è l'ex post del decennio trascorso in cui sono stati operati tagli lineari con chiusura di ospedali, (113) di P S e insensata riduzione di posti letto. Il tutto condito con il progressivo depauperamento della risorsa umana per la mancata sostituzione del personale in servizio.

Ancora più pesante lo svilimento professionale per la messa a terra di un sistema di management burocratico amministrativo che ha scelto la strada dell'autoritarismo esercitando sulla componente professionale un potere autocratico disinteressato a qualsiasi mediazione di confronto reale. I tagli lineari proprio a partire dalla risorsa personale.

La profondità della crisi, messa in drammatica evidenza dalle iniziative delle sigle sindacali della dirigenza medica della dipendenza e dai sindacati confederali che hanno manifestato in questi giorni a Roma, non può essere risolta con piccoli aggiustamenti o adozione di formule e parametri fuori dalla realtà, ma richiede una profonda revisione del modello di governance che con il tempo si è andato strutturando. Richiede in altre parole un cambio di paradigma e un nuovo equilibrio tra i diversi soggetti istituzionali.

Procediamo con ordine analizzando la posizione dei diversi attori del campo istituzionale.

I produttori di salute

I professionisti sanitari direttamente impegnati sul campo hanno ormai ben chiaro come l'espropriazione di ogni reale capacità programmatoria e gestionale abbia trasformato il medico e l’infermiere in mero esecutore di lavoro routinizzato; in una sorta di operaio di quella fabbrica fordista post moderna in cui sono stati trasformati i pochi ospedali rimasti. Turni massacranti, pluralità di qualifiche a part-time con una generalizzazione del cottimo (contratti Co.Co co e assunzioni di cooperative) e conseguentemente con una frammentazione di interventi, impostazioni e visioni che mortifica la funzione ordinatrice di saperi che l'ospedale ha rappresentato a partire dall' ottocento.

Le componenti sindacali scontano divisioni e l'incapacità di andare al nocciolo del problema proponendo in modo unitario una profonda revisione della collocazione giuridica del personale e puntando a un unico contratto di filiera per tutto il personale pubblico e privato istituendo una nuova categoria speciale, sottratta al controllo vessatorio del management.

Ancora più grave l'atteggiamento dei medici di medicina generale sostenitori di una medicina liberale che tale non è e che per mantenere i loro privilegi corporativi condannano le giovani generazioni di MMG all' isolamento dei risibili micro team con tanto di farmacista associato e spesso alla scarsa consistenza professionale.

Le società scientifiche
Consapevoli della crisi, anche le società scientifiche hanno ampliato il loro campo di intervento finora limitato ad aggiornamento e a attività di ricerca, cercando una interlocuzione diretta con il ministero su temi riguardanti standard e organizzazione del lavoro. Interventi non graditi ai sindacati che hanno sollevato aspre critiche su quella che ritengono un’ingiustificata invasione di campo.

La verità è che non si può definire una revisione degli standard ospedalieri e dei modelli di servizio senza interloquire con le società scientifiche delle diverse discipline. Aldilà di ogni considerazione infatti sono le società scientifiche che hanno conoscenza diretta del loro ambito assistenziale e di come dovrebbero essere organizzati i servizi e le reti cliniche per rispondere alle reali necessità dei pazienti.

E' comunque un fatto nuovo, indice di una condizione di crisi manifesta, che tutte le società scientifiche abbiamo chiesto al ministro l'apertura di un tavolo istituzionale di confronto su argomenti che investono la professione nel suo complesso.

I produttori di mezzi diagnostici
Nella medicina moderna la diagnostica avanzata utilizza sempre di più sofisticati metodi analitici il cui ambito è molecolare.

Le procedure per la definizione delle tariffe di rimborso sono ancora in alto mare ma quelle proposte sono talmente sottodimensionate da non consentire neanche la copertura dei costi di produzione dei reattivi di ultima generazione.

Con la conseguenza che questi preziosi metodi diagnostici usciranno dal pubblico per riversarsi nel privato con un drammatico peggioramento della qualità delle prestazioni rese perché nessuna azienda sarà disposta a vendere sotto costo a chicchessia.

Le associazioni dei pazienti
Le associazioni dei pazienti ormai strette intorno “alla loro malattia” non riescono a vedere il sistema e le storture che vi stanno intorno abbassandosi su posizioni rivendicative e indicazioni prive di respiro ma con il solo scopo di produrre documenti o ottenere legittimazione sociale dalle istituzioni pubbliche

Lo stato e le regioni
Le regioni hanno apertamente dichiarato che mancano almeno 4 miliardi alla sanità e che i due miliardi e rotti stanziati dalla legge di bilancio in corso di approvazione copriranno esclusivamente i sovraccosti del caro energia lasciando irrisolti i nodi dell’insufficiente finanziamento, pericolosamente sceso al 6 virgola % del PIL.

L'attuale governo ha continuato nella strada del definanziamento del SSN impegnando risorse fresche non per la sanità ma per sollevare il carico fiscale degli autonomi e mandare prima in pensione lavoratori che poi continueranno spesso a lavorare al nero.

Ancora più grave il taglio della rivalutazione delle pensioni alte tra cui rientrano quelle dei medici, prima glorificati come eroi e ora trasformati in cassa prelievi per pagare promesse elettorali

Identiche responsabilità le regioni delle quali molte hanno delapidato ingenti risorse e messo in atto un sistema di gestione delle aziende sanitarie e degli ospedali improntato a verticismo e autoreferenzialità.

Molto avrebbero potuto fare per creare istituti di confronto professionale e invece nulla colpevolmente hanno fatto per introdurre strumenti efficaci per implementare la partecipazione alle scelte pubbliche.

Ancora peggiore la proposta di autonomia differenziata con cui si vogliono delegare agli enti territoriali non i compiti, come acutamente osservato da Sabino Cassese, ma le risorse. Un’opzione che la nostra costituzione non consente.

Le regioni in altre parole cercano di superare difficoltà di cattiva programmazione e gestione illudendosi che sia sufficiente un ampliamento dei loro poteri o rifacendosi su quelle del Sud sottraendo loro ulteriori risorse

Un'ipotesi che non può certo contare su valide evidenze.

Uscire dalla crisi
Abbiamo cercato di evidenziare come in una parte importante degli attori istituzionali ci sia la consapevolezza che il superamento della crisi impone una profonda revisione delle politiche di stampo neo liberista perseguite in questi due ultimi decenni, ma le soluzioni e le proposte di superamento di questa deriva inarrestabile sono ancora una volta poco efficaci perché delineate e messe a punto considerando semplicemente il proprio punto di vista, la propria posizione di potere, assai limitata al campo di appartenenza, senza un confronto concreto e reale sulle pur importanti questioni sollevate in modo settoriale.

Non stiamo parlando di singoli atti ma di un sistema per la salute, che ha molte dimensioni e molti interessi ma che può trovare una via di uscita solo in un nuovo disegno organico in cui al centro oltre al cittadino sano o malato, vi sia la risorsa umana, il personale.

Le continue singole misure adottate al ribasso di questi anni hanno fatto perdere l’obiettivo centrale e principale del sistema della salute, che è certamente quello di una efficacia ed efficienza puntuale, ma innanzitutto e quello di un sistema appunto fortemente interconnesso negli obiettivi e negli interessi. La logica di scaricare su singoli parti errori e mancanze programmatorie, gli interessi di categorie e di lobbies non sono utili per un sistema salute che richiede competenze e capacità previsionali oltre una grande voglia di misurarsi con la realtà.

La riorganizzazione di una parte (ad esempio del sistema ospedaliero) non può prescindere dalla riorganizzazione delle altre (medicina del territorio), qualsiasi tipo di riorganizzazione poi non può prescindere dalla questione personale. Posizioni categorialì e veti incrociati portano solo ad ulteriori stalli. Il nuovo si crea in una logica di coprogettazione.

Roberto Polillo e Mara Tognetti



19 dicembre 2022
© Riproduzione riservata


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