L'occasione del libro di Ivan Cavicchi, è veramente unica, in quanto ripropone una riflessione critica riguardo i sistemi di assistenza psichiatrica nel nostro paese con un appello condivisibile a non perdere e smarrire i principi ideali della riforma basagliana. La mia visione dello stato dell'arte in questo momento non appare marcatamente ottimistica per una serie di ragioni che cercherò di elencare.
Siamo stati paese che per primo ha introdotto un'idea del primato dell'assistenza territoriale per le persone affette da gravi disturbi mentali, rinunciando all'approccio di tipo istituzionalizzante come quello offerto dal manicomio.
La svolta reale in quel periodo (40 anni fa) è stata, non tanto la chiusura dei manicomi, che peraltro avvenne con circa vent'anni di ritardo, ma la possibilità di aver formulato un pensiero altro rispetto a un paradigma Kpaepelinano della malattia mentale, il pensiero forte e assolutamente innovativo era quello di mettere la persona al centro dell'assistenza, ridurre lo Stigma e non scambiare un comportamento psichiatrico per una devianza dalla norma.
Questi concetti, che potremmo definire di una nuova filosofia della sofferenza mentale hanno conquistato la gran parte degli operatori della salute mentale, hanno coinvolto e appassionato proprio coloro che lavoravano nelle Istituzioni che sarebbero state chiuse, in quanto era evidente a tutti che il sistema in quel modo non avrebbe prodotto alcun miglioramento ma avrebbe, probabilmente, danneggiato le persone che era deputato a curare.
Per tale ragione la 180 ebbe una diffusione immediata e convincente cambiando completamente il nostro modo di concepire il malato e la malattia.
Ritengo però che l'occasione sia stata in parte mancata, come già segnalato dal collega Angelozzi, i dati abbastanza fumosi che provengono dal nostro vetusto sistema informativo ci indicano un dato che dovrebbe allarmare i sostenitori di questa riforma, ovvero che il numero di posti letto in strutture residenziali è in continuo aumento e soprattutto è in continua crescita la durata media dei ricoveri presso le strutture residenziali, associato questo al dato dell'età media delle persone ospiti delle strutture residenziali che, di certo, non erano state immaginate per un'attività di lungodegenza così diffusa.
Ancora oggi si continua a dire che la riforma era perfetta ma purtroppo non è stata applicata, affermare questo dopo quarant'anni significa dire che qualche problema nell'applicazione questa riforma la aveva. Uno dei problemi in realtà è che è impossibile in Italia discutere serenamente e sulla base dei dati scientifici la possibilità di modificare, migliorare implementare la concettualizzazione di assistenza territoriale e prossimale che Basaglia aveva intuito, non è possibile perché questa viene ritenuta un feudo di pochi, intoccabile e sacra.
Basterebbe riflettere sul fatto che i sistemi informativi di cui siamo dotati sono spesso asincroni difformi da regione a regione che non prevedono dati certi né sui trattamenti sanitari obbligatori, né sui disturbi del comportamento alimentare né in ambito di neuropsichiatria infantile, senza tali informazioni appare davvero difficile costruire o modellare un nuovo sistema di assistenza psichiatrica.
Un altro aspetto davvero bizzarro, se non fosse tragico è come l'assistenza sia organizzata in modo diverso da regione a regione, e questo capita solo per la salute mentale, non per altre discipline, con modelli organizzativi ispirati dai singoli direttori di dipartimento a volte senza alcun supporto scientifico e senza alcuna omogeneità a livello nazionale.
In questo caso la modifica del titolo V della Costituzione ha permesso ad alcuni di dedicare pochissime risorse all'assistenza psichiatrica e di avere un sistema nazionale disomogeneo per il trattamento dei disturbi psichici. Questa varietà ha prodotto un ulteriore caotica interpretazione, per cui, mentre in medicina si discute degli esiti prossimali e distali dei trattamenti, in Italia la discussione è in modo surreale impaludata sui singoli modelli organizzativi senza alcun controllo di esito scientifico, per cui si dibatte di centri di salute mentale aperti 24 ore, di SPDC a porte aperte, di trattamenti psichiatrici senza farmaci, di gruppi terapeutici che non hanno alcun supporto della letteratura scientifica.
La discussione è basata sul topos non sul logos ovvero sulla struttura e non sul trattamento in sé e questo decapita la possibilità di una crescita scientifica e la trasferibilità di informazioni o di esperienze che non sono controllate ma che hanno solo un credo ideologico.
E' ormai evidente la necessità di rivedere la normativa che regola il trattamento sanitario obbligatorio, che non tiene conto dei principi del consenso informato o della capacità del soggetto di dare un consenso, le forme di garanzia previsti dalla normativa si sono rivelate molto deboli, il medico che propone e il medico che convalida il TSO quasi sempre lavorano nella stessa struttura la legge non prevede che il TSO sia convalidato da uno specialista ma è garanzia il fatto che la persona lavori in struttura pubblica, concetto ovviamente valido quarant'anni fa ma inaccettabile nel 2022.
Il sindaco e il Giudice Tutelare nel quasi 100% dei casi non vedono e non visitano mai il paziente, ci troviamo di fronte a un fenomeno per cui due medici riescono ad esprimersi e a determinare restrizione della libertà personale con un potere anche superiore a quello di un pubblico ministero. Nella mia esperienza di 30 anni non ho mai assistito ad abusi in tal senso ma non si comprende a che titolo un medico dovrebbe avere il potere della gestione della libertà personale delle persone.
Probabilmente nessuno metterà mano a tale normativa ma è chiaro che è vetusta e non più adeguata ai tempi attuali.
Dopo molti anni è stata finalmente organizzata la Conferenza Nazionale della salute mentale, con grande speranza di tutti. Gli obiettivi che questa conferenza si è posta sono sintetizzati nella abolizione in tre anni della contenzione meccanica, pratica certamente sgradita a tutti, operatori e pazienti.
Questo obiettivo dovrebbe essere raggiunto senza avere a disposizione alcun dato della prevalenza del fenomeno a livello nazionale sia dove questa pratica viene attuata, sia nei luoghi che si definiscono non restraint (utilizzando, però, in alcuni casi l'anestesia generale per dichiarare la assenza di contenzione), per cui in un ambito scientifico come la salute mentale gli obiettivi non tengono conto dei dati né a favore né contro.
Ancora una volta prevale una componente ideologica di pochi che condiziona il lavoro di tanti. La contenzione meccanica deve essere assolutamente monitorata, ma dobbiamo trovare delle modalità, anche a salvaguardia degli operatori, perché tale pratica possa essere notevolmente ridotta o addirittura superata e questo significa investire potentemente sugli operatori ma anche ammettere che vi è una popolazione gli utenti che vengono ricoverati oggi presso i reparti di psichiatria che presenta anche un abuso di sostanze o comportamenti antisociali, e che le gran parte delle contenzioni meccaniche avviene a salvaguardia di queste persone, degli altri pazienti e degli stessi operatori, non essendoci altra soluzione per gestire il discontrollo causato dalle sostanze.
Investire sugli operatori significa superare gli slogan e stabilire lo standard minimo di personale di cui ogni servizio di psichiatria dovrebbe essere dotato, ammettere che la violenza nel nostro ambito è aumentata e che dobbiamo essere grati e supportivi nei confronti dei sanitari che lavorano in trincea.
La prima priorità in salute mentale è il ripristino delle risorse necessarie che permettano di operare in sicurezza e efficienza. Il resto, senza questa premessa è fuffa!!!
Ancora oggi assistiamo alla emanazione gli standard assistenziali che però non hanno alcun finanziamento e che quindi rimarranno lettera morta.
Un'altra iniziativa non supportata dall'altra alcuna ricerca scientifica è immaginare di poter ridurre la pericolosità sociale attraverso interventi sanitari. La riforma per il superamento OPG ha messo ancora di più in crisi i dipartimenti che sono diventati a tutti gli effetti le istituzioni deputate al controllo della violenza e non alla gestione della salute mentale. Le attività quotidiane di un centro di salute mentale o di un dipartimento non sono più le discussioni cliniche ma la redazione di risposte e riscontri all'autorità giudiziaria. Proprio in tal senso si veda la riforma dell'art. 123 cpp che ha affidato ai medici REMS la gestione delle notifiche giudiziarie.
In questo periodo post pandemico, però, i dipartimenti di salute mentale hanno dimostrato una grande tenuta malgrado tutto: il modello di prossimità DSM ha funzionato, nonostante la pandemia tutti i servizi offerti, in tutta italia, sono stati garantiti: visite, visite online, domiciliari, tso, ricoveri ecc. La sofferenza psicologica e i disturbi mentali hanno, infatti, ricevuto sostegno e risposte appropriate dal sistema DSM, il merito di tale tenuta è attribuibile alla integrazione professionale non alla singola figura professionale. Il PNRR propone un modello di prossimità identico alla struttura dei DSM, ma i DSM non sono neanche menzionati nel PNRR.
Le iniziative per l'emergenza salute mentale sono condensate nel cosiddetto bonus psicologico, per cui vengono stanziati 25 milioni di euro, a cui si accede con dichiarazione autocertificata di aver necessità della psicoterapia. Unica disciplina in sanità in cui il paziente autocertifica la necessità del suo trattamento.
Con questa cifra i dipartimenti avrebbero potuto assumere circa 438 dirigenti psicologi a tempo pieno per un anno che avrebbero potuto erogare un minimo di 640.000 prestazioni psicoterapiche in un anno. Questo finanziamento non è però rivolto ai dipartimenti di salute mentale.
In questo modo i DSM rischiano di sparire, schiacciati da obiettivi e compiti irrealisti e dalla mancanza di un consenso sulle priorità da perseguire.
Molti colleghi insistono sul tema dei finanziamenti, ma di fatto i soldi per la sanità nei prossimi anni saranno sempre di meno, e quindi ancora meno per la salute mentale.
Dobbiamo ridurre gli sprechi e i finanziamenti non appropriati e concentrare le poche risorse su obiettivi che abbiano solidità scientifica e che siano condivisi.
Possiamo sperare in una nostra coesione nel fissare obiettivi di priorità quali personale, sistema informativo nazionale unico che includa rems, dca, minori, dipendenze patologiche, trattamenti evidence based rigorosamente integrati per i disturbi gravi inclusi i disturbi di personalità. Il nostro futuro si gioca comunque anche sulla capacità di includere nei percorsi di cura anche le persone con disturbi emotivi comuni con programmi di trattamento a termine e di provata efficacia.
Senza tale trasformazione temo la nostra estinzione, e forse qualcuno dirà che in fondo non è il male peggiore.
Giuseppe Nicolò