“Peggio della malattia stessa”. È così che descrivono stigma e discriminazione, di cui sono troppo spesso vittime, con conseguenze sulla qualità e sulla durata della vita, le persone con un disturbo di salute mentale provenienti da 40 Paesi del mondo, in un’indagine condotta da una Commissione della rivista The Lancet, appena pubblicata in un editoriale.
Lo stigma legato ai disturbi mentali ha molte forme che portano a una miriade di conseguenze, spesso sottovalutate. Gli effetti, infatti, si riflettono sulle opportunità di lavoro e di reddito, sull’inclusione sociale e addirittura sulle cure non solo della malattia stessa ma anche delle altre patologie non collegate a quella mentale, incidendo sull’aspettativa di vita che, tra i pazienti con disturbi psichici, è inferiore al resto della popolazione. Si tratta di una piaga mondiale, molto evidente anche in Italia, dove secondo uno studio la mortalità per tumore e infarto è 2,6 volte più alta tra i pazienti con problemi di salute mentale. Un dato, quest’ultimo, reso noto di recente da una ricerca sulla mortalità dei pazienti psichiatrici, condotta in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, e pubblicata sulla rivista Psychiatry Research.
Lo studio ha esaminato 137.351 pazienti presi in carico dai Servizi di Salute Mentale della regione Emilia Romagna tra il 2001 e il 2018. I dati sulla mortalità sono stati confrontati con quelli di un campione di popolazione generale, con caratteristiche simili di età, sesso e condizione sociale.
“Nel periodo osservato, sono stati registrati 11.236 decessi per comuni patologie cardiovascolari e oncologiche – commentano Massimo di Giannantonio ed Enrico Zanalda, co-presidenti Società Italiana di Psichiatria (SIP) – il numero di decessi dei pazienti psichiatrici è risultato due volte più alto rispetto a quello della popolazione generale, registrando ben 5.594 morti in eccesso. Questo significa – precisano gli esperti – che avere un disturbo psichiatrico comporta un rischio di morte superiore a più del doppio di quello atteso nella popolazione generale. Ma il dato più allarmante riguarda la depressione, in quanto quasi la metà delle morti in eccesso (46,2%) impatta questa patologia. I dati emersi – sottolineano gli esperti – indicano che lo stigma pesa anche sui ritardi negli accessi alle cure e sulle difficoltà di adesione a programmi di prevenzione e screening. Gli stessi operatori sanitari, infatti, non sempre sanno diagnosticare e curare al meglio le persone con problemi di salute mentale”.
È dunque fondamentale per ridurre la mortalità, eliminare lo stigma con azioni radicali e urgenti, a livello globale a partire da corsi di formazione obbligatori per tutto il personale sanitario e socio assistenziale, sui diritti e i bisogni delle persone con disturbi psichici, avvisano di Giannantonio e Zanalda, che si uniscono così all’appello lanciato dalla Commissione istituita da The Lancet.
L’analisi della Commissione denuncia anche le dimensioni dell’emergenza sulla salute mentale: “Stime recenti suggeriscono che una persona su otto, quasi un miliardo di persone a livello globale, vive con un disturbo di salute mentale. Nei giovani dai 10 ai 19 anni d’età a soffrirne è invece una persona su 7”.
La pandemia ha contribuito a far luce sull’emergenza salute mentale a livello globale. “Solo nel primo anno dell’emergenza Covid-19 – continuano gli autori dell’indagine – si è verificato un aumento del 25% della prevalenza di depressione e ansia. Tuttavia, nonostante l’elevata incidenza dei disturbi di salute mentale in tutto il mondo, sono diffusi anche lo stigma e la discriminazione legati a essi, che, nei Paesi a più basso reddito, portano all’esclusione delle vittime dalla società e alla negazione dei diritti umani fondamentali, come il diritto al voto, di sposarsi o di ricevere un’eredità”.
La Commissione ha esaminato le evidenze riguardanti eventuali interventi efficaci per ridurre lo stigma e chiede un’azione immediata da parte di governi, organizzazioni internazionali, datori di lavoro, operatori sanitari e organizzazioni dei media, insieme a contributi attivi da parte di persone con esperienza di malattie mentali, per lavorare insieme al fine di eliminare lo stigma e la discriminazione sulla salute mentale.
Occorre fare di più anche sul fronte degli investimenti nei servizi di salute mentale. La Commissione di The Lancet ha rilevato che nel mondo, in media, la spesa per la salute mentale è di solo il 2 per cento della spesa sanitaria totale; e le condizioni di salute mentale sono spesso escluse del tutto dai regimi di assicurazione sanitaria, a differenza della maggior parte delle condizioni di salute fisica. “In Italia si investe nei servizi di salute mentale il 2,9% del Fondo Sanitario Nazionale. Troppo poco – sottolineano di Giannantonio e Zanalda – per rispondere adeguatamente ai bisogni di oltre 4 milioni di italiani con un disturbo della salute mentale, un numero costantemente in crescita”.
La SIP unendosi all’appello della Commissione The Lancet, oltre a condividerne le finalità, ne approva anche gli strumenti raccomandati, frutto di un’attenta analisi delle evidenze oggi disponibili. Tra questi, oltre i corsi di formazione per il personale sanitario, anche la promozione di programmi di ritorno al lavoro per le persone con problemi di salute mentale, come stabilito nelle linee guida Oms, e di programmi scolastici per migliorare la comprensione delle condizioni di salute mentale. “Per contrastare lo stigma e la discriminazione in modo efficace – evidenziano i co-presidenti SIP – bisogna coinvolgere attivamente le persone che hanno esperienza con queste problematiche. Ed è necessario che tutti i governi, le organizzazioni internazionali, le scuole, i datori di lavoro, l’assistenza sanitaria, la società civile e i media agiscano in maniera coordinata. Solo insieme – concludono – possiamo porre fine allo stigma e alla discriminazione dei pazienti con disturbi psichiatrici, un obiettivo che abbiamo l’obbligo di raggiungere”.