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Il Pnrr, quale equilibrio tra gli indirizzi nazionali e l’ampia autonomia di Regioni e Asl

di F.Longo, A.Zazzera, F.Guerra

Il PNRR impone milestones e target precisi per quanto riguarda la costruzione e l’ammodernamento delle infrastrutture, mentre lascia ampia autonomia a Regioni e aziende sanitarie in merito all’innovazione dei servizi, delle competenze e dei processi produttivi. Pensiamo che questa possa essere una stagione interessante e generativa per il top e middle management delle regioni e delle aziende sanitarie, nella misura in cui possono popolare di imprenditorialità e responsabilità questi rilevanti spazi decisionali

07 OTT -

Il DM77 rappresenta un importante piano di riforma dell’assistenza territoriale e costituisce il punto di partenza per ridefinire obiettivi, funzioni e servizi delle strutture territoriali, oltre a un ripensamento di ruoli e responsabilità dei professionisti. Tuttavia, mentre su alcuni aspetti (ad esempio gli standard di popolazione per le infrastrutture di servizio territoriale e gli obiettivi di massima), il documento indica chiaramente gli elementi da ritenere obbligatori e che le Regioni sono tenute ad implementare, su molte altre aree di programmazione il decisore nazionale lascia spazio di azione alle autonomie locali.

Si profila quindi uno scenario in cui, a fronte di alcune specifiche indicazioni ministeriali, molte sono le questioni la cui definizione viene demandata alle Regioni o alle ASL, sulle quali si richiede ai policy maker locali una riflessione puntuale e contestualizzata. In questo contesto gli spazi di autonomia diventano un’occasione per il decisore regionale o aziendale di innovare e riformare strategicamente l’intero sistema di assistenza territoriale regionale, coerentemente con la propria cultura e le proprie strategie per il futuro.

In questo articolo vengono presentati quattro spazi di autonomia, selezionati fra gli altri perché ritenuti strategici e poco esplorati, da sottoporre al policy maker regionale e aziendale: (i) modalità di gestione della sanità di iniziativa, (ii) le forme di accesso e CRM, (iii) l’assetto organizzativo del territorio, (iv) i modelli di presa in carico della cronicità. Per ciascuna area tematica vengono illustrati alcuni trade off, che impongono di essere popolati di riflessioni e decisioni.

Contrapponendosi alla medicina di attesa, basata su logiche “on demand”, la sanità d’iniziativa interviene sulla popolazione stratificandola e studiandone i dati aggregati in modo da individuare i target di cittadini da coinvolgere in modo proattivo. Il DM77 definisce quali sono i setting privilegiati per le iniziative (CdC), quali attori sono responsabili delle strategie (le Aggregazioni Funzionali Territoriali dei MMG, i PLS, le UCCP in collaborazione con gli IFoC) e quali strumenti attivare (ad es. la presa in carico proattiva, l’educazione ai corretti stili di vita e la programmazione delle attività di assistenza,) ma lascia sul tavolo alcune aree di indeterminatezza, fra cui sono state individuati quattro trade off di policy.

Il primo concerne la decisione di chi si occuperà di stratificare i pazienti cronici utilizzando i big data. Se ad occuparsene sarà la Regione, le logiche e le metriche di costruzione dell’algoritmo di stratificazione saranno uniformi per tutte le aziende del SSR, ma le competenze di analisi e valorizzazione dei dati si svilupperanno soprattutto a livello centrale, rendendo più debole il loro utilizzo a livello locale.

La seconda decisione programmatoria riguarda invece la responsabilità sulla definizione dei target da reclutare prioritariamente dagli elenchi dei pazienti stratificati. Una possibile rosa di opzioni potrebbe essere fra la Direzione Strategica, il Direttore di Distretto o il Direttore delle Cure Primarie, sollecitando la partecipazione di stakeholder diversi. Altre questioni, più organizzative, riguardano l’individuazione dei responsabili della conduzione del processo di reclutamento. La scelta potrebbe ricadere sull’IFoC, oppure potrebbe essere ritenuto più efficace fare leva sul sollecito da parte del MMG.

Le iniziative possono anche essere organizzate in occasione di giornate di screening o venire allargate a setting di cura come il Pronto Soccorso e l’Ospedale, soprattutto tra i codici bianchi e verdi. Un’ultima riflessione riguarda l’identificazione dei canali comunicativi da privilegiare per riuscire ad ingaggiare i cittadini, differenziati per i diversi cluster di utenti. Si potrebbe decidere di utilizzare lettere spedite al domicilio, chiamate telefoniche, email, messaggi su whatsapp oppure privilegiare un contatto de visu in uno dei punti di accesso ai servizi.

Il secondo spazio di autonomia riguarda l’accesso ai servizi sanitari e il Customer Relation Management (CRM). Il DM77 propone diverse modalità di accesso ai servizi del territorio (116117, Fascicolo Sanitario Elettronico, Punto Unico di Accesso (PUA) fisico oppure MMG). A nostro giudizio, la diversificazione dei canali di accesso e delle finalità comporta una riflessione fisiologica sulla differenziazione di format e linguaggi con l’obiettivo di convergere con le sensibilità degli utilizzatori prevalenti dei diversi canali e sulla progettazione e gestione unitaria degli stessi, che dovranno essere coordinati in back office.

Il primo trade off riguarda gli aspetti organizzativi che interessano la decisone sull’allocazione della responsabilità del disegno dei percorsi di accesso, che potrebbe essere del Distretto Sanitario, di una funzione aziendale centrale, così come del coordinatore della Casa della Comunità. Alla definizione dei percorsi si accompagna la definizione delle figure incaricate a raccogliere e analizzare i dati di accesso per svolgere attività CRM.

Le questioni operative riguardano invece la scelta della combinazione tra categoria di utente e tipologia di canale. Infatti, i cittadini, pur nella piena autonomia di scelta rispetto al canale che preferiscono, sono prioritariamente attratti dal canale che percepiscono meglio rispondente alle proprie esigenze, linguaggi, cultura. Una possibile combinazione potrebbe prevedere, ad esempio, che ai pazienti fragilità sia dedicato in via prioritaria il (PUA) fisico all’interno di una Casa della Comunità, riservare invece il numero 116117 alle informazioni di primo orientamento dell’utente generale, dirottando invece tutte le questioni amministrative a un canale digitale.

Un’ulteriore scelta riguarda l’identificazione del personale di contatto allocato ai diversi canali: alcuni punti di accesso avranno bisogno di persone fisiche che potranno essere scelte fra il personale infermieristico o amministrativo, mentre per i canali digitali si dovrà decidere quanto personale allocare e quanta parte del servizio delegare alla gestione automatizzata tramite algoritmi e intelligenza artificiale. Infine, un elemento centrale è quello relativo alla costruzione unitaria di un filtro ai canali, sia per valutare l’eleggibilità delle richieste, sia per definire le priorità tra le domande (triage territoriale). A fronte della diversificazione dei canali, occorre infatti decidere come dovrà funzionare lo smistamento delle richieste che provengono dall’utenza, se attraverso un unico filtro centralizzato, più equo ma allo stesso tempo più facilmente saturabile, oppure più filtri differenziati per ogni canale, che rischierebbero di parcellizzare l’accesso e aumentare l’iniquità di ingresso ma potrebbero essere più facili da governare.

Una terza area di indeterminatezza riguarda l’assetto organizzativo del territorio. I “mattoni organizzativi” sono individuabili nel Distretto sociosanitario, nei Dipartimenti Specialistici Territoriali (prevenzione, cure primarie, psichiatria, ecc.) e nei setting erogativi di cure intermedie (CdC e OdC) e sono investite di numerose funzioni: a) governo clinico, b) il governo delle risorse, c) il service design.

Il trade off di policy primo riguarda l’associazione fra funzioni e mattoni organizzativi: si tratta di decidere a chi affidare l’allocazione e il controllo della saturazione delle risorse, quale fra gli attori citati è dotato delle competenze necessarie per occuparsi del governo clinico e individuare a chi spetta il compito di gestione del patient journey. Le configurazioni possibili non sono univoche e a seconda di ciascun contesto, le funzioni possono essere distribuite in modo differente ai mattoni organizzativi del territorio.

Ad esempio il distretto potrebbe occuparsi di governo delle risorse, i dipartimenti di governo clinico e CdC/OdC di service design, ma molte sono le altre combinazioni possibili. Il secondo trade off riguarda la decisione di quali metriche di risultato assegnare a ogni funzione. Alcuni indicatori possibili per misurare e valutare il raggiungimento degli obiettivi possono essere identificati nel tasso di saturazione della capacity (governo risorse), nel raggiungimento di determinati livelli di reclutamento e di outcome intermedio per patologie (governo clinico) e infine nel tasso di soddisfazione degli utenti che fruiscono un servizio di cura (service design).

La quarta area di indeterminatezza riguarda il disegno di modelli di presa in carico (PIC) della cronicità, fase essenziale del percorso assistenziale per i pazienti affetti da una patologia cronica, cui si associa la definizione di un Progetto di Salute e di un Piano Assistenziale Individuale (PAI). L’efficacia di questo strumento richiede un processo completo di utilizzo: la sua definizione, il controllo che sia coerente ai PDTA o ai PAI ideal-tipici definiti, la verifica dell’aderenza alle terapie del paziente e la valutazione degli esiti clinici intermedi.

Il primo trade off riguarda la scelta del target prioritario da reclutare, data l’impossibilità, soprattutto nel breve periodo, di una presa in carico universalistica di tutti i cronici a fronte di una prevalenza tra il 35-40% della popolazione (Istat, 2021). Il target prioritario potrebbe essere definito utilizzando alternativamente parametri più strettamente sanitari (stadi di patologia), sociali (solitudine), assistenziali (non autosufficienza), di scarsa aderenza o una combinazione di questi. In secondo luogo, il DM77 non definisce la ripartizione delle responsabilità professionali in merito alle tre fasi della PIC (reclutamento, arruolamento clinico e case management), che a seconda dai pazienti e della loro complessità potrebbero essere assegnate alternativamente al MMG, allo specialista territoriale, allo specialista ospedaliero, all’IFoC, o al personale amministrativo.

Un ulteriore punto aperto riguarda la responsabilità della redazione del PAI: l’individuazione di un singolo professionista come responsabile del PAI implica che il resto della filiera venga utilizzata come consultant, garantendo però un’interfaccia stabile nei confronti del paziente. La definizione della responsabilità della redazione del PAI potrebbe dipendere dalle caratteristiche del paziente, in termini di complessità, stadi di patologia e multimorbilità (per paziente a stadio alto, complesso e multimorbido potrebbe redigerlo lo specialista ospedaliero, mentre paziente a bassa complessità e con solo una patologia cronica il MMG).

Inoltre, sarà compito delle Regioni o delle ASL definire le funzionalità di servizio specifiche associate dai PAI (ad esempio, la possibilità di generare automaticamente prenotazioni in back office, inviare reminder sia ai pazienti sia ai caregiver, generare alert in caso di problemi legati all’aderenza...) anche in base alle infrastrutture informatiche di ciascun contesto e alla possibilità di rendere il PAI un effettivo strumento di integrazione tra i vari pezzi della filiera assistenziale.


Per sciogliere localmente le indeterminatezze illustrate, si propongono quattro suggestioni utili a identificare la soluzione strategica da adottare nel contesto in cui opera: 1) nuove metriche per clusterizzare i pazienti; 2) il ruolo del digitale; 3) una nuova concezione di prossimità; 4) il ruolo delle professioni infermieristiche.

1. La decisione di una metrica fra gruppi di patologia, stadio di patologia, grado di aderenza alla terapia e livello di educazione sanitaria influenza trasversalmente la progettazione della PIC, della sanità d’iniziativa e del disegno dei canali di accesso. La decisione di basare le classificazioni sulla distinzione fra pazienti aderenti e non aderenti, per esempio, potrebbe permettere di rivolgersi in modo mirato ai pazienti che non rispettano la cura prevista dal responsabile clinico del PAI per poter integrare interventi educazionali personalizzati piuttosto che iniziative di comunità che possano incentivare il soggetto alla compliance e conseguentemente migliorare il suo stato di salute. Decidere di classificare i pazienti secondo l’educazione sanitaria, invece, può aiutare a definire ex ante i canali comunicativi da utilizzare, i messaggi da privilegiare e le figure professionali da ingaggiare per la loro presa in carico.

2. Se il digitale assumesse un ruolo prevalente (digital first), esso potrebbe essere la soluzione prioritaria per l’accesso e l’erogazione dei servizi e per le relazioni con gli utenti, in un’ottica di una PIC prevalentemente da remoto. In questo caso, la relazione verrebbe mantenuta attraverso lo sviluppo di algoritmi (intelligenze artificiali) che si possono interfacciare con l’utente per rispondere ad una serie di bisogni classificabili e riconoscibili dall’algoritmo stesso. Adottando, invece, una prospettiva di digitale con un ruolo complementare, la piattaforma fisica rimarrebbe luogo di cura privilegiato e il digitale diventerebbe un’opzione riservata solo a specifici utenti (ad alta educazione digitale), piuttosto che a specifiche fasi del percorso assistenziale (accesso ai servizi, prenotazione, refertazione delle prestazioni e momenti di follow up).

3. Cosa intendiamo per “prossimità” nell’epoca contemporanea? Una interpretazione moderna potrebbe essere, al posto di “struttura fisica vicina all’utente” oppure “servizio erogato a domicilio”, l’instaurazione di una relazione di servizio, personale e duratura, con un operatore di riferimento, alimentata da un mix di strumenti digitali e accessi fisici. Questa diversa interpretazione comporterebbe significative conseguenze in termini di disegno dei servizi e canali di accesso. Se la prossimità diventa sinonimo di relazione strutturata e continuativa con un operatore del SSN si potrà disegnare la PIC con una componente di digitale più forte, imperniata intorno a un professionista prevalente che possa mantenere una relazione stabile con il paziente. Questa concezione contemporanea di “prossimità” apre alla riflessione su chi debba essere l’operatore di riferimento stabile più appropriato per stadi di patologia o per literacy sanitaria: amministrativi, operatori sociosanitari, professioni sanitarie, medici convenzionati o dipendenti.

4. Mentre non cessano di esistere responsabilità prestazionali, le professioni sanitarie sono state individuate in via esclusiva per il ruolo di coordinatrici dei nuovi setting assistenziali territoriali (CdC, OdC, COT, ADI, etc) e pertanto avranno un ruolo centrale nello sviluppo del sistema sanitario. Il ruolo delle professioni sanitarie oggi può quindi continuare a propendere più verso una vocazione prestazionale, oppure a favore della gestione dei setting assistenziali oppure il case management di gruppi di pazienti. Una possibilità di distinzione potrebbe vedere lo svolgimento di ruoli prestazionali nei contesti di ADI e UCA e ruoli di case management in setting come l’ambulatorio dei MMG, nelle UOC e nelle CdC.

Le quattro prospettive di analisi sono state esposte in modo distinto per chiarezza espositiva: sul terreno operano congiuntamente, rendendo l’assetto dei servizi il frutto del combinato disposto delle scelte.

Il merito del PNRR in sanità e del DM77 è di aver generato una chiara agenda di innovazioni possibili che riguardano le infrastrutture erogative, le caratteristiche dei servizi, le competenze da sviluppare, i processi erogativi e le interdipendenze tra professionisti.

Il PNRR impone milestones e target precisi per quanto riguarda la costruzione e l’ammodernamento delle infrastrutture, mentre lascia ampia autonomia a Regioni e aziende sanitarie in merito all’innovazione dei servizi, delle competenze e dei processi produttivi.

Pensiamo che questa possa essere una stagione interessante e generativa per il top e middle management delle regioni e delle aziende sanitarie, nella misura in cui possono popolare di imprenditorialità e responsabilità questi rilevanti spazi decisionali.

Non si tratta di una veloce corsa a ostacoli, ma di una maratona di almeno cinque anni, che è un tempo congruo per cambiamenti profondi.

Francesco Longo, Angelica Zazzera, Francesca Guerra
CERGAS/SDA Università Bocconi



07 ottobre 2022
© Riproduzione riservata


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