La storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha ritenuto che l’aborto non sia un diritto costituzionale ha avuto una enorme eco in tutto il mondo.
In Italia, dopo i primi giorni di dibattito e polemica la notizia è presto passato in secondo piano anche se le tematiche trattate dalla sentenza americana sollevano molte questioni che meriterebbero ulteriori valutazioni e approfondimenti.
Per questo in accordo con il presidente della Consulta di Bioetica Maurizio Mori abbiamo pensato a dare vita a un apposito Forum di Quotidiano Sanità dedicato all'approfondimento delle problematiche al centro della sentenza dei giudici Usa.
Iniziamo il nostro confronto con un primo articolo del professor Mori. (C.F.)
Premessa generale: considerazioni circa la storia
Se è vero che c’è una storia maggiore scandita (o anche determinata) da eventi grossi e facilmente individuabili come le guerre, le pandemie, i terremoti e altre sciagure simili, che cambiano le condizioni di vita al punto da marcare un’epoca, è altrettanto vero che c’è anche una storia minore meno eclatante che dipende da eventi che sono meno facilmente individuabili ma altrettanto incisivi in quanto plasmano la “forma di vita” della vita quotidiana di un periodo storico.
La difficoltà nel fissare questi gli eventi salienti della storia minore dipende dal fatto che sono simili a altri che ricorrono con frequenza, per cui non è facile coglierne subito la differenza e la maggiore importanza. Per esempio, ogni giorno si fanno atti politici o giudiziari, scoperte scientifiche o nuove imprese, etc. ma solo dopo qualche tempo si capisce che scoperte come quella della penicillina, del transistor, della fecondazione in vitro o la fondazione dell’Unione Europea sono eventi che hanno un impatto nettamente maggiore rispetto a altri: sono quelli che scandiscono il passo della storia minore.
Il significato storico-culturale della Sentenza Roe v Wade (22 gennaio 1973)
Prima di Roe l’aborto era una sorta di tabù di cui neanche si poteva parlare in pubblico e la sua innominabilità era alla base di un ordine sociale. La Roe ha infranto il tabù, e ha fatto sì che l’aborto diventasse tema di dibattito, di scontro e anche di “guerra culturale”. Nel rompere schemi consolidati, la Roe è stata sorprendente e forse anche imprevista. Di fatto ha sollecitato la replica della Chiesa cattolica, che solo l’anno seguente ha fatto uscire la Dichiarazione sull’aborto procurato (18 novembre 1974): primo documento vaticano dedicato a una articolata disamina specifica del problema.
L’aspetto innovativo della Roe sta nell’aver giustificato la liceità dell’aborto a livello costituzionale. Infatti, nella Roe si legge che nella Costituzione americana:
- «la parola “persona” non include il non-nato» (Roe v Wade);
- il 14° Emendamento (circa il diritto alla “privacy”) riguarda tutte le decisioni che «possono essere giudicate “fondamentali” o “implicite nel concetto di ordinata libertà” […per cui] è chiaro che tale diritto [di privacy] si estende anche alle attività relative al matrimonio»: «il diritto alla privacy [...] è sufficientemente ampio da includere anche la decisione di una donna di interrompere o no una gravidanza» (pur a certe condizioni).
Avendo il diritto d’aborto un fondamento nella Costituzione (il 14° Emendamento), tutte le leggi statali che nei diversi Stati degli Stati Uniti vietavano l’aborto sono state subito abolite perché in contrasto con il libero esercizio dell’autonomia della donna. La forza della Roe sta nell’aver affermato che la Costituzione garantisce alla donna la libera scelta sul proprio corpo: questo è un dato intrinseco e costitutivo della cittadinanza.
Dal 1973 qualsiasi donna americana, per Costituzione, ha diritto al controllo sul proprio corpo e sulle proprie facoltà riproduttive: questo è il tratto originale di Roe, quello che ha prodotto conseguenze enormi non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. L’aver “costituzionalizzato” il diritto all’autonomia sul proprio corpo ha dato origine a una nuova prospettiva culturale che ha profondamente modificato gli atteggiamenti verso la vita biologica e ha cambiato la pratica medica.
Prima di Roe il compito precipuo del medico era assecondare e aiutare i dinamismi propri dei processi vitali (in primis quelli riproduttivi): per questo il medico agiva sulla scorta di un binario proprio che poteva prescindere dalla norma giuridica. In questa linea ancora a fine 1965, in una lezione tenuta proprio in America, il grande chirurgo Achille Mario Dogliotti (“Moral Dramas and Dilemmas in the Practice of Surgery”, Bulletin of the New York Academy of Medicine, vol. 41, no. 11, November 1965, p. 1109) scriveva: “Noi crediamo che il chirurgo, per via della sua nobile missione, debba avere completa indipendenza scientifica e morale, specialmente nei confronti del diritto. [L’arte medico-chirurgica …] non deve essere democratizzata. Al contrario, crediamo che sia nel pubblico interesse, in ogni nazione, renderla aristocratica”. Dopo Roe, l’impegno medico è diventato quello di rispettare il diritto all’autonomia della donna, la medicina si è democratizzata, e il diritto è entrato con prepotenza nella pratica medica.
Piaccia o no, affermando l’aborto come diritto costituzionale la Sentenza Roe ha affossato una prospettiva della medicina. Non solo la Roe ha garantito la pratica dell’aborto in tutti gli Stati Uniti (sottraendola al dibattito politico-pratico interno ai singoli Stati), ma sul piano dei principî la Roe è diventata l’apripista di un movimento culturale più ampio che negli ultimi 50 anni ha trasformato l’intera medicina e la pratica medica, e con essa anche il modo di vedere e di sentire della gente (almeno in Occidente) nei confronti della vita e della riproduzione.
Grazie alla Roe la (mera) “naturalità del processo fisiologico” ha cessato di essere il criterio normativo di riferimento per la pratica clinica. Ciò ha favorito l’elaborazione di nuove prospettive etico-sociali che sono tematizzate dalla bioetica (sul punto cfr. M. Mori, “Scienza ed etica: riflessioni sulla bioetica per capire come la scienza interagisca con l’etica”, in B. Liberali e L. Dal Corona, Diritto e valutazioni scientifiche, Giappichelli, Torino, 2022, pp. 55 -69). In questo quadro merita di essere ricordata l’elaborazione del concetto di “salute riproduttiva” e dei corrispondenti “diritti riproduttivi”, che costituisce uno dei maggiori risultati della riflessione culturale recente.
Ciò ha comportato da una parte un allargamento dei diritti dell’uomo, così che oggi in ambito Onu l’aborto viene considerato uno specifico diritto umano delle donne, parte integrante appunto dei “diritti riproduttivi” (per una disamina di questi aspetti, cfr. le Appendici B e C. del mio volume M. Mori, Consulta di Bioetica Onlus. Trent’anni di impegno per un’etica laica innovativa della cultura italiana, Vicolo del Pavone Editore, Tortona (Al), 2021 dedicate rispettivamente a “Bioetica e diritti umani” (pp. 157 – 180) e “Perché l’aborto diventerà presto un diritto umano. Per una storia del dibattito all’Onu” (pp. 181 – 205).
Dall’altra parte, il fondamento costituzionale all’aborto asserito dalla Roe ha spianato la strada allo sviluppo della fecondazione in vitro e delle tante pratiche di riproduzione assistita connesse, come per esempio la gravidanza per altri. Infine, l’abbandono della naturalità fisiologica come criterio ha sollecitato i discorsi sull’eguaglianza di genere, sul matrimonio paritario e sulle altre libertà che paiono caratterizzare nuove forme di vita che sono al centro della riflessione, almeno in Occidente. In breve, la Roe ha impresso la direzione alla storia minore di un periodo storico.
Della Sentenza Dobbs v Jackson (24 giugno 2022): alcuni effetti pratici e il suo valore simbolico
Quanto detto basta e avanza per dire che la caduta della Roe è un tonfo: un disastro che elimina un diritto costituzionale importante e mette a rischio l’impianto concettuale della corrispondente forma di vita. La Corte Suprema americana oggi non crede più che il diritto di “privacy” sia sufficientemente ampio da giustificare anche l’aborto. Nella Costituzione americana il punto non è esplicitamente scritto, e i giudici di oggi credono che l’interpretazione estensiva data nel 1973 sia stata eccessiva e impropria: l’aborto non è più costituzionalmente garantito, ma ciascuno Stato può e deve decidere al riguardo.
Trump ha scritto che la nuova Sentenza Dobbs v Jackson del 24 giugno 2022 è “la più grande VITTORIA per LA VITA di una generazione” (“the biggest WIN for LIFE in a generation”), e i pro-life esultano, come minimo perché essa restringe di fatto e in pratica le opportunità di aborto. Circa la metà degli Stati ha già predisposto serie limitazioni al riguardo o è orientata a farlo.
L’esultanza aumenta quando si passa sul piano simbolico, dove la caduta della Roe assume un valore enorme, straordinario. Tale atto sembra infatti smentire l’idea che la storia abbia un’irreversibile unidirezionalità e che sia dominata dall’inevitabilismo: la dottrina per cui ciò che è stato acquisito è ormai inevitabile e è anche di per sé buono. La caduta della Roe dà ossigeno a chi per decenni l’ha contrastata, e simbolicamente mostra che non è più vero che il processo iniziato nel 1973 sia imbattibile né che sia di per sé buono.
Non è più vero che i tradizionali valori del passato siano di per sé “superati” o “obsoleti”: al contrario potrebbero tornare a essere validi e essere “riabilitati”. Non si può più dare per scontato che il nuovo sia di per sé “buono e luminoso” e il tradizionale invece “oscuro e tetro”: giudizi come “ritorno al passato” o “passo indietro” sottendono aprioristiche valutazioni negative frutto dell’erroneo inevitabilismo. Dopo la Dobbs è possibile “tornare indietro” e può anche essere buono! Come nel 1989 il crollo del Muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica hanno scalzato la presunta unidirezionalità della storia, così oggi il ribaltamento della Roe può far tornare a far sì che l’aborto sia pratica socialmente marginalizzata.
Alla base della Dobbs sta l’originalismo, la dottrina costituzionalistica per la quale il giudice della Corte suprema deve rimanere fedele all’originale lettera del testo costituzionale, senza procedere a interpretazioni estensive come quelle fatte dalla Roe, che ha allargato la privacy all’ambito riproduttivo. Poiché l’originale testo del 14° Emendamento non menziona esplicitamente l’aborto, che al tempo era pratica innominabile, il presunto diritto al riguardo risulta infondato. Ecco perché la Dobbs si pone come un primo passo verso un possibile ripristino di uno stile di vita pre-1968, cioè precedente alla Rivoluzione sessuale che ha profondamente modificato gli atteggiamenti e i comportamenti sessuali e familiari legittimati sul piano giuridico dalla Roe. Già il giudice Thomas ha suggerito una revisione delle decisioni sul matrimonio paritario, l’omosessualità e la contraccezione.
Proprio perché propone un ritorno al testo originario, la Dobbs sembra sostenere una sorta di neo-Restaurazione etico-normativa che richiama alla mente la Restaurazione del Congresso di Vienna (1815), in cui appunto si decise di rimettere al loro posto gli originari regnanti spodestati da Napoleone e di riabilitare l’ideale aristocratico criticato dalla Rivoluzione francese. Come sul piano culturale la Restaurazione ha combattuto la tesi «che i Re tengano dai popoli la loro autorità […così che i popoli abbiano] la facoltà […] di sceglierli e di rivocarli ogni qualvolta il giudicassero bene nella sapienza loro, o nella loro follía. No, non è vero che il popolo sia sovrano, né che i Re siano suoi mandatarj; non più di quello che i padri siano i mandatarj de’ loro figli, o i tutori de’ loro pupilli» (Stefano de Boulange vescovo di Troyes, Sull’amore e sulla fedeltà che i francesi devono al re (1816), in Memorie di religione, di morale e di letteratura, Tomo VIII, Soliani, Modena, 1825); così oggi la neo-Restaurazione proposta dalla Dobbs combatte la tesi che la Costituzione garantisce alla donna la sovranità sul proprio processo riproduttivo fino a giustificare la libera scelta circa l’aborto.
Dico subito che l’analogia tracciata tra la Dobbs (2022) e il Congresso di Vienna (1815) non presuppone affatto che neo-Restaurazione fallirà, come già ha fallito la Restaurazione. La proposta si basa sulla mera osservazione che, come la Restaurazione rifiutava il principio “il popolo è sovrano” applicato alla sfera politica, così la neo-Restaurazione (originalista) oggi rifiuta che il principio “la donna è sovrana” sia estensivamente applicato alla sfera del controllo riproduttivo fino a permettere la scelta circa l’aborto.
Assodato la corrispondenza, non escludo affatto che la Dobbs possa avere successo e riesca davvero a bloccare l’estensione alla sfera riproduttiva del principio in questione. L’eventualità mi rattristerebbe molto, questo sì! Ma siamo nel mezzo della mischia e sono ben consapevole che la neo-Restaurazione è ha delle concrete chances, che potrebbe affermarsi. Anzi, nella attuale crisi strutturale neanche saprei più dire con sicurezza che il principio “il popolo è sovrano” continuerà a valere nella forma a noi nota. L’analogia non è fuorviante, ma anzi è istruttiva in quanto ci consente di rilevare gli aspetti della questione che sono in movimento e quelli che invece sono rimasti stabili. In questa linea, voglio ora chiarire meglio ciò che, sul piano teorico-concettuale, la Dobbs ha cambiato e ciò che, invece, ha lasciato come prima e confermato.
L’impianto concettuale del dibattito sull’aborto: un confronto tra la Roe e la Dobbs. Come abbiamo visto, l’impianto concettuale della Roe prevede due assunti:
- nella Costituzione «la parola “persona” non include il non-nato»;
- il diritto alla privacy garantito dal 14° Emendamento si estende fino a giustificare l’aborto.
La nuova Sentenza Dobbs ha rifiutato l’assunto b., affermando che il testo della Costituzione non prevede l’estensione del diritto di “privacy” affermata dalla Roe. Fa questo perché, come scrive il giudice Kavanaugh sostenitore della tesi di maggioranza, la Corte non tratta in generale della «moralità dell’aborto […. ma di] ciò che la Costituzione dice sull’aborto […] La Costituzione è neutrale e lascia che la questione sia risolta dalla gente e dai suoi rappresentanti eletti attraverso il processo democratico […] La Costituzione né pone fuori legge né legalizza l’aborto».
Non entro qui nel dibattito sull’interpretazione del 14° Emendamento, ma prendo atto che la Dobbs si è impegnata molto nel chiarimento di «ciò che la Costituzione dice sull’aborto», e rilevo che dopo aver prestato tanta attenzione al tema non ha affatto messo in discussione l’assunto a., che viene così accettato o riconosciuto. Neanche una Corte come l’attuale, così attenta alla lettera del testo costituzionale, nega più che nella Costituzione americana «la parola “persona” non include il non-nato»: punto che diventa un dato acquisito e assodato.
Ciò ha un’importanza enorme, immensa, stratosferica: almeno per chi considera il piano argomentativo riguardante la giustificazione della liceità/illiceità dell’aborto. È vero che la Dobbs assesta un colpo durissimo al diritto d’aborto sul piano pratico-operativo e che per questo i pro-life esultano.
Ma va rilevato che sul piano teorico-concettuale la nuova Sentenza non cambia affatto il quadro logico di fondo dell’argomento proposto dalla Roe, che può essere così schematizzato:
- Nella Costituzione il non-nato non è persona (come noi).
- Poiché il non-nato non è persona e il diritto di privacy previsto dal 14° Emendamento può essere esteso all’ambito riproduttivo, l’aborto è costituzionalmente garantito perché la scelta autonoma della donna ha la precedenza rispetto all’interesse che la società ha per la vita del non-nato (che persona non è).
Proprio perché la Dobbs ha accolto la prima premessa, questo schema di ragionamento è rimasto intatto e non è mutato. Ciò che la Dobbs ha cambiato è la seconda premessa, dal momento che il testo originario del 14° Emendamento non prevede l’allargamento della privacy all’ambito riproduttivo: per questo la regolazione dell’aborto va lasciata alla giurisdizione di ciascun singolo Stato. In questo senso, il ragionamento della Dobbs può essere così schematizzato:
- Nella Costituzione il non-nato non è persona (come noi).
- Anche se il non-nato non è persona, il diritto di privacy previsto dal 14° Emendamento non può essere esteso all’ambito riproduttivo, per cui il diritto di aborto non è costituzionalmente garantito e tocca ai singoli Stati stabilire se, quando e in che termini, consentire la pratica dell’aborto.
È sulla scorta della premessa che la Corte suprema ha dichiarato legittima la legislazione del Mississippi che vieta l’aborto alla 15a settimana, e lo stesso vale per il Texas che lo vieta alla 6a e tanti altri Stati che stanno apprestando restrizioni anche più drastiche. D’altro canto, ci sono altri Stati come New York, New Jersey e altri in cui non ci sono limiti gestazionali, e altri ancora come California, Oregon e Washington che si sono pubblicamente impegnati a sostenere e favorire la libertà riproduttiva (cfr. “Multi-State Commitment to Reproductive Freedom”, 24 giugno 2022).
È difficile prevedere come si svilupperanno le diverse legislazioni in materia, ma va rilevato che, per giustificare le restrizioni all’aborto, alcuni Stati si prendono la briga di affermare che dalla 6a o dalla 15a settimana, o anche dalla fecondazione, il non-nato è “uno di noi”, cioè già una persona come noi. Merita di essere precisato che queste asserzioni sono solo battute retoriche a scopi propagandistici, e che esse non scalfiscono la tesi di fondo per cui nella Costituzione americana il non-nato non è persona: punto che oggi è riconosciuto anche dalla Dobbs.
Quest’aspetto merita una pausa di riflessione. Prima della Roe, quando l’aborto era un tabù di cui neanche si poteva parlare, il divieto al riguardo era tanto ovvio e scontato che non c’era neanche bisogno di sapere per quali ragioni lo fosse: era abominevole e basta! Quando poi ci si è chiesti se e perché l’aborto andasse vietato, la ragione più immediata è stata che era una forma di omicidio – forse perché questo crimine suscita forte e immediata ripulsa analoga a quella del tabù violato. Così si è detto e scritto, che le Costituzioni, compresa quella americana, racchiuderebbero la tesi del “non-nato come uno di noi”, cioè del non-nato come “persona”: tesi che giustificherebbe il divieto di aborto sulla scorta dell’idea che l’aborto sia una forma di omicidio. Questo è di fatto il più diffuso argomento addotto dai pro-life contro l’aborto.
Ebbene, ora la Dobbs ci conferma che, almeno per quanto riguarda la Costituzione americana, questa tesi non è corretta: in tale Carta il non-nato non è persona. Questo affermano i giudici conservatori che a detta di Trump hanno realizzato “la più grande VITTORIA per LA VITA di una generazione”! Il punto è decisivo perché, pur limitando la Dobbs il diritto di aborto negli Stati Uniti, essa viene a svuotare il principale argomento pro-life addotto contro l’aborto. Se il non-nato non è persona, allora l’aborto non è e non può essere una forma di omicidio (in senso proprio). Comunque si giri o si rigiri l’argomento, le eventuali limitazioni al diritto di aborto (o anche il suo divieto) dipendono non dal fatto che il non-nato avrebbe un presunto intrinseco “diritto alla vita” (che non ha), ma dalla priorità assegnata dallo Stato agli interessi sociali per la vita del non-nato rispetto alla scelta autonoma della donna (qualcosa di simile a ciò che nel codice Rocco era rubricato come “integrità della stirpe”).
Non so se e quanto questa tesi “statalista” sia o no rispettosa della Costituzione americana, ma almeno a prima vista essa sembra essere poco in sintonia con l’orientamento liberale tipico dello stile di vita americano. Per questo nella loro opinione di dissenso alla Dobbs, i tre giudici Breyer, Sotomayor e Kagan hanno ribadito che lo Stato ha senz’altro un legittimo interesse a proteggere la vita del non-nato, ma quest’interesse va bilanciato con il diritto di privacy della donna, mentre con la Dobbs «oggi la Corte butta via (discards) quel bilanciamento. Essa dice che dal momento stesso della fertilizzazione la donna non ha più alcun diritto cui appellarsi (has no rights to speak of). Uno Stato può costringerla a continuare una gravidanza fino alla fine, anche ai più alti (steepest) costi personali e famigliari». Infatti, in assenza di una tutela costituzionale della sua scelta sul punto, uno Stato potrebbe anche stabilire che l’interesse sociale alla vita del non-nato sia tanto prevalente da rendere irrilevante la scelta della donna, che sarebbe così costretta a continuare la gravidanza anche contro la sua volontà e contro le sue più profonde esigenze personali.
Questa critica mossa alla Dobbs è importante, ma a me pare ancor più rilevante il fatto che, pur limitando nella pratica in diritto di aborto, sul piano teorico-concettuale la Dobbs viene a mettere fuori gioco il principale argomento pro-life contro l’aborto. Invece di esultare, forse, i pro-life dovrebbero stare preoccupati: il loro impianto teorico è sconfessato ai massimi livelli proprio dai giudici conservatori.
Conclusione: quale futuro per il diritto di aborto dopo la Dobbs?
È vero che la storia è aperta e che non sappiamo quel che accadrà nel futuro circa il diritto di aborto dopo la Dobbs. Per ora questa Sentenza sembra segnare una battuta d’arresto per la prospettiva dell’allargamento dei diritti di libertà riproduttiva e in generale per l’abbandono della “normatività naturale”. Può darsi anche che, sulla scia aperta dalla Dobbs, non manchino le proposte tese a introdurre altre restrizioni circa il matrimonio paritario, la riproduzione assistita, etc., e che dopo una fase di apertura il pendolo inclini per un tempo di sobrietà.
Né va sottovalutato che, quasi sicuramente, il nuovo vento culturale non mancherà di far sentire qualche spiffero anche da noi Italia. Già qualcuno ha osservato che con la Dobbs “in America è iniziata la Riscossa della Vita” e, con invidiabile capacità imprenditoriale in stile americano, a tambur battente chiede soldi per portare quella Riscossa anche da noi. Come abbiamo visto, questa Riscossa iniziata dalla Dobbs consiste nel rimandare la decisione sull’aborto ai Parlamenti dei singoli Stati: cosa che noi in Italia già abbiamo fatto nel maggio 1978, quando il nostro Parlamento approvò la Legge 194/78, confermata poi a larga maggioranza da un Referendum popolare nel 1981. Quella Riscossa della Vita noi, in Italia, già l’abbiamo avuta, per cui possiamo sperare che il rimbalzo culturale dell’onda lunga conservatrice potrà farsi sentire solo di striscio e marginalmente.
C’è un ultimo aspetto da considerare: è indubbio che in generale la Dobbs sollecita una neo-Restaurazione etico-normativa, ma non va dimenticato che essa, sulla scia della Roe e in linea con essa, riconosce che per la Costituzione americana il non-nato non è persona. Questa è la realtà da cui si deve partire quando si considera il problema, per cui si deve prendere atto che negli Stati Uniti il ragionamento costituzional-giuridico sull’aborto esclude i discorsi continuamente ripetuti dai pro-life circa il presunto “diritto alla vita” del non-nato, ma mette al centro i legittimi interessi dello Stato per la tutela e il rispetto della vita prenatale.
L’approfondimento di questa linea di pensiero può darsi che porti a una più solida riaffermazione del diritto di aborto, e anche a un suo allargamento. In Italia, per esempio, va modificata la normativa circa l’obiezione di coscienza dei sanitari, che in troppe realtà rende eccessivamente difficoltoso l’accesso al servizio. Inoltre, c’è bisogno di precisare meglio ciò che è consentito fare in alcune situazioni critiche che a volte si presentano: queste sono poche, ma incidono molto sulla salute riproduttiva della donna e non sono affatto da sottovalutare.
Se è vero che la Dobbs sembra segnare una battuta d’arresto per l’affermazione dei diritti riproduttivi, è altrettanto vero che essa ci insegna che i diritti acquisiti non sono eterni e non permangono da soli: essi vanno coltivati e continuamente riproposti. La Roe ha aperto la strada all’allargamento della libertà riproduttiva: ora tocca a noi per far sì che nei vari Stati il messaggio di libertà lanciato nel 1973 si sviluppi e continui a scandire la forma di vita che sta alla base della nostra storia minore.
Maurizio Mori
Presidente della Consulta di Bioetica Onlus e Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica