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Il regolamento di ‘conti’ sulla medicina generale

di Ivan Cavicchi

La crisi di credibilità del MMG  inizia molti anni fa nel momento in cui le regioni  cominciano a lamentare a causa della convenzione  forti problemi e forti rischi per la governance. E in sanità quando si diventa un problema di governance non c’è corporativismo che tenga. Prima o poi arriva la tranvata. Oggi la tranvata è arrivata... con il Dm 71

06 GIU -

Coming out
Io credo  che sul  “medico dimezzato” (Dm 71) un franco coming out non ci farebbe  male. Se continuiamo a raccontarci balle, a parte prenderci per  i fondelli. non si va lontano. Meglio dirci le cose come stanno.

Una controriforma camuffata
E’ una balla che il DM 71 sia null’altro che un “potenziamento del territorio”.

In realtà  abbiamo a che fare con una  controriforma, neanche tanto camuffata,  che  sta passando sulla testa di tutti,  cittadini  e operatori, cambiando purtroppo  in peggio la nostra sanità pubblica.

Da una parte  essa:

Dall’altra, revocando ai MMG le sue storiche funzioni pubbliche, la controriforma  cede di fatto spazio alle assicurazioni creando le  condizioni favorevoli per sostituire la convenzione  con più agili  prestazioni d’opera quindi con co.co.co. Cioè precariato a basso costo e a alta flessibilità di impiego. Non è improbabile che dopo aver messo all’angolo il MMG pubblico  l’assistenza di base sarà  appaltata alle agenzie di cura che ovviamente  offriranno prestazioni fortemente standardizzate e proceduralizzate come vuole ogni logica assicurativa.

Che ne dite?  Basta questo “programmino”  per avere motivi per parlare di una contro riforma? Ma se questo è il rischio perché nessuno parla di controriforma e tutti fingono che il DM 71 sia un semplice potenziamento del territorio?

Contesto e prestazioni

E’ una balla anche  la storia della “prossimità”. Se i MMG sono i titolari della assistenza di base e se i MMG  sono obbligati a lavorare 18 ore nelle case di comunità vuol dire che quella che si chiama “assistenza di base”  verrà svolta ameno per 18 ore nelle case di comunità. Una struttura  tutt’altro che “prossima” nei confronti  dei bisogni primari della comunità.

Le case di comunità  cambiano il significato strategico da attribuire  alle cure primarie e più esattamente attribuiscono loro una natura specialistica.

Le cure primarie così  non rientrano più nell’assistenza di primo livello. Quelle che restano al primo livello sono di fatto dimezzate.

In sanità, secondo il principio del contesto, è  il tipo  di servizio che eroga le prestazioni, che, con la sua particolare organizzazione, decide i predicati delle prestazioni stesse. Detto in un modo diverso:  i caratteri  delle prestazioni erogate dai servizi dipendono dai contesti organizzati  nei quali i  servizi operano.

Questo spiega ad esempio perché  le prestazioni garantite in un ospedale sono di un tipo, in un ambulatorio sono di un altro tipo, fino al domicilio.

Una mistificazione
L’idea di prossimità è una mistificazione  perché le case di comunità che altro non sono che il repechage dei poliambulatori specialistici delle mutue (si pensi ai poliambulatori Inam) non hanno niente a che fare con la comunità ma semplicemente,  dato un distretto,  cioè un insieme di servizi, esse sono strutture  decise con un banale criterio di partizione: per ogni distretto (100.000 abitanti) 2 case  della comunità (50.000 abitanti per ciascuna). Punto.

Una partizione di un insieme “A” definito “distretto” per definizione quindi  non è altro se non una collezione di sottoinsiemi di “A”  definiti “case di comunità”. Le case di comunità sono semplicemente dei sottoinsiemi di secondo livello  del distretto  Null’altro. Tutto il resto prossimità, hab,  spoke, rete, ecc. sono solo slogan e chiacchiere.

Un regolamento… ma di conti
E’ una balla dire  che  il Dm 71 è il nuovo regolamento che definisce l’assistenza territoriale dopo la pandemia. In realtà il DM 71 è un regolamento, certo, ma di conti.

La pandemia per le Regioni, dopo anni di impotenza  e di frustrazioni,  è  stata vista  come la grande occasione per rompere le ossa ai MMG  per togliersi finalmente  dalle scatole  la grande anomalia della convenzione  e quindi  ridurre  il peso e il ruolo del  lavoro libero professionale.

Senza questa pandemia  e quindi senza 165.000 morti le regioni avrebbero dovuto mangiare rospi chissà ancora per quanti anni.

La crisi di credibilità del MMG  inizia molti anni fa nel momento in cui le regioni  cominciano a lamentare a causa della convenzione  forti problemi e forti rischi per la governance. E in sanità quando si diventa un problema di governance non c’è corporativismo che tenga. Prima o poi arriva la tranvata. Oggi la tranvata è arrivata.

Si dice  che quando si tira troppo la corda c’è il rischio che la corda si spezzi ed è quello che è accaduto ai MMG. Ma credetemi i tironi  e gli strappi sono stati davvero tanti.

Nel tempo  il disagio dell’istituzione  ha finito per assumere la forma del conflitto ideologico cioè il corporativismo per anni ha conteso alla pubblica amministrazione financo le sue più ovvie  prerogative.

Oggi siamo al  redde rationem.

Chi è causa del suo mal pianga se stesso
E’ un’altra balla quella che sostiene  che il MMG sia vittima degli eventi legati alla pandemia,  delle strumentalizzazioni  dei pregiudizi quasi come se vi fosse contro di lui una ingiusta e incomprensibile persecuzione.

Che nei confronti dei MMG esistano, più che mai oggi, preconcetti e strumentalizzazioni, atteggiamenti persecutori  è fuori discussione  ma onestà intellettuale vuole che si dica che:

Non c’è dubbio che, in questi anni, soprattutto il sindacato, attraverso la convenzione ha costruito “l’interesse perfetto” cioè ha reso massimo a vantaggio dei MMG il principio del vantaggio quello che gli inglesi chiamano  “benefit”, ma senza praticamente essere obbligati a garantire alle aziende delle particolari contropartite a parte quelle dovute di natura strettamente professionali.

Per quanto appaia un po’ folclorico rammento che i MMG sono gli unici operatori privati ai quali lo Stato ha comprato il computer.

Il principio del tornaconto
Non c’è dubbio che quando il tornaconto è alto i medici non vedono la ragione per la quale dovrebbero rinunciarvi e porsi il problema del cambiamento. E non c’è dubbio che quando le cose vanno a gonfie vele la tendenza a sottrarsi  al duro  confronto con la realtà fino a sbattersene dei problemi degli altri e  quindi a diventare di fatto indipendenti dai contesti in cui ci si trova ad operare. Oggi,  non  a caso dopo la pandemia,  i MMG pagano l’errore politico  molto  grave di essere diventati di fatto  l’autoriferimento dei propri interessi. Neanche loro possono permettersi il lusso di essere indipendenti dai contesti.

Potrei esibire  facilmente una letteratura  infinita nella quale per anni, proprio su questo giornale, mi sono rivolto ai MMG proponendo loro anche una minima  apertura verso il cambiamento. Senza avere mai in cambio un briciolo di considerazione.

Ricordo le discussioni appassionate con il mio amico Mario Falconi, erede di quel grande uomo  che è stato Mario Boni, le perplessità di Stefano Zingoni che non capiva le mie proposte (QS 13 maggio 2015) quelle senza nessuna speranza con Antonio Panti che in nome del più ottuso conservatorismo  bollava le mie proposte di cambiamento come utopiche (QS 13 giugno 2016), ricordo Giacomo Milillo che in un convegno dopo la mia analisi sui problemi del MMG propose sarcasticamente  l’uso del prozac (QS 12 maggio 2015) accusandomi di pessimismo catastrofico.

Magari per lui e per tutti i MMG fossi stato un pessimista catastrofico.

Aborti
Nel 2007 il Consiglio Nazionale FIMMG, approvò un documento all’unanimità  sulla “rifondazione della medicina generale”. Ma questa rifondazione non c’è mai stata. Cosa vuoi rifondare se non sei disponibile  a cambiare  un bel niente?

Nel 2012 incalzati prima di tutto dalle regioni sempre più insoddisfatte  i MMG provano a rifarsi il look con la legge Balduzzi (legge n° 158) che prevedeva oltre il ruolo unico  che le cure primarie si costituissero in forme organizzate sotto il nome di Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) o Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP). Un tentativo secondo me intelligente e opportuno ma considerato da centinaia di migliaia di mmg un attentato alla loro autonomia.

Oggi Giuseppe Belleri, di cui apprezzo l’ expertise ma del quale non condivido  la sua interpretazione rassegnata  del compromesso inevitabile, riferendosi al Dm 71  scrive  “proporre l'ennesima riforma quando siamo alla vigilia della messa in opera della Balduzzi a 10 anni dall'approvazione ha un retrogusto paradossale e potrebbe spingere il sistema verso un punto di rottura in una fase già abbastanza critica per i ritardi accumulati, i pensionamenti anticipati di massa e la crisi vocazionale” (QS 1 giugno 2022).

Come dargli torto ma intanto, caro maestro,  sono passati inutilmente 10 anni e nel frattempo  è arrivata la pandemia e  subito dopo il  “medico dimezzato”  e  i  sindacati  non si sono accorti che la terra sotto i loro piedi non solo cominciava a mancare ma stava addirittura franando.

Conclusione
Siamo davvero finiti in un bel casino. La toppa messa soprattutto dalle regioni per ridimensionare i MMG è peggiore del buco. Il “combinato disposto”  concordato tra governo, regioni e Fimmg è micidiale. A me non interessa distribuire, come sarebbe anche giusto fare, delle colpe e delle responsabilità.  Anche se è difficile negare  che le responsabilità politiche più grosse riguardano la Fimmg  cioè il sindacato maggioritario.

Come è altrettanto innegabile  innegabile che il compromesso che la Fimmg  ha dovuto ingoiare è  la prova più evidente  del suo insuccesso, del suo fallimento, ma anche della sua crisi.  

A me oggi interessa combattere e contrastare la “controriforma” che riguarda le cure primarie  perché in tutta onestà non ho alcuna remora a considerarla:

Ivan Cavicchi

 



06 giugno 2022
© Riproduzione riservata


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