Quotidiano Sanità ha dato tempestiva notizia delle risultanze della seduta del Consiglio dei ministri del 21 aprile 2022, che, affrontando due questioni importanti, mi pare abbia voluto evitare lo stallo in materia di Sanità e Salute, aprendo, pur con alcune incognite, la fase più avanzata di attuazione del PNRR relativamente alla Missione 6.
Tentando di leggere insieme le due grandi questioni affrontate (1. gli standard dell’assistenza territoriale, comprensiva della materia della Prevenzione, 2. la nascita del SNPS), cercherò di evidenziare quelle che sembrano criticità residue.
La finalità è quella di contribuire e far sì che nella parte del percorso che occorre ancora compiere, si possano definire eventuali aggiustamenti ritenuti necessari. Ovviamente occorre tener conto anche delle dichiarazioni del Ministro Speranza, ampiamente riportate su Quotidiano Sanità del 22 aprile 2022.
Standard dell’Assistenza Territoriale
Aspetti di contesto
Lo schema di DM e il relativo allegato erano stati posti all’O.d.g. della Conferenza nella seduta del 16 marzo 2022. La mancata intesa si è registrata nella seduta della Conferenza Stato Regioni del 30 marzo 2022 in riferimento a un testo che, per quanto attiene lo schema di DM, era identico a quello posto all’O.d.g. del 16 marzo, mentre per l’allegato conteneva alcune modificazioni apportate che recepivano parzialmente le proposte fatte pervenire dalle Regioni.
In questa situazione il Governo ha ritenuto che i 30 giorni previsti dalla normativa vigente per poter procedere senza intesa dovessero decorrere dal 16 marzo 2022 e, pertanto, il Consiglio dei ministri ha deciso che si proceda per l’adozione del DM. Trattandosi di un Regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 occorre sottoporre il testo al parere del Consiglio di Stato.
Resta fermo che questo provvedimento pur nell’ambito delle iniziative attivate con il PNRR viene formalmente adottato ai sensi dell’articolo 1, comma 169 della legge 311/2004 e relativa sentenza dell’Alta Corte 134/2006. La titolazione del documento allegato allo schema di DM “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”, utile per posizionare questo provvedimento rispetto al PNRR, non ne muta la natura giuridica di Regolamento adottato ai sensi e per gli effetti dell’art. 17, comma 3, della legge 400/1988, applicabile nei limiti imposti dalla intervenuta riforma del Titolo V della Costituzione. Utile ricordare che l’allegato al DM salute 70/2015 (standard dell’assistenza ospedaliera) non ha titolo.
Un ulteriore elemento, che è necessario evidenziare prima di entrare nel merito, si riallaccia a quanto si è già espresso in un precedente contributo pubblicato su QS il 18 marzo u.s. e riguarda la delicatezza del problema che si pone con la decisione di andare avanti nonostante la mancata intesa.
In quel contributo, si richiamava il fatto che quando un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato - regioni in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata (art. 3 comma 2 d.lgs 281/1997).
Questo richiamo normativo - che si allargava alla situazione che si è determinata con la pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 134/2006 - in quella fase era finalizzato ad esprimere fortissime perplessità sulla proposta delle Regioni di procedere, su questa questione del Regolamento sugli standard del Lea territoriali, con una “intesa condizionata”. Ora invece va ripreso sul versante del cosa fare dopo la mancata intesa. Il problema che si vuole evidenziare è questo. La previa intesa in genere è prevista dal legislatore per cercare nell’iter di un procedimento di assicurare il massimo coinvolgimento delle Regioni. In questo caso però la fattispecie è alquanto diversa: l’intesa è obbligatoria conseguenza di una sentenza della Corte costituzionale.
Cioè, l’intesa è stata considerata un elemento senza il cui verificarsi la norma che consente allo Stato di emanare un regolamento sugli standard dei LEA potrebbe essere non conforme alla Costituzione. Quindi l’intesa non esprime solo l’avvenuto coinvolgimento regionale ma un elemento condizionante molto più rilevante.
In altre parole occorre pensarci bene a registrare una mancata intesa perché viene lasciata molto aperta la strada ad un contenzioso di merito.
E’ in questo spirito che con questo contributo si è cercato di proporre una serie di integrazioni e arricchimenti del documento che potrebbero anche essere occasione per recuperare questa situazione di obbiettiva forte difficoltà.
Aspetti generali
Il documento, dopo una premessa (cap. 1), presenta due capitoli (cap. 2 e 3) a carattere generale che descrivono il modello e i principi generali ispirati ad alcune esperienze regionali di indubitabile interesse che hanno tenuto conto anche di esperienze in campo internazionale. L’applicazione di questi modelli è avvenuta in realtà regionali che hanno fortemente presidiato lo sviluppo del processo assistenziale, Si sottolinea quest’aspetto per sottolineare che non è solo il modello in sé che fa la differenza.
Gli standard sono sostanzialmente trattati nei seguenti capitoli: 5-Casa della comunità, 6-Infermiere di famiglia 7-Unità di continuità assistenziale, 8- Centrale operativa territoriale, 9-Centrale Operativa 116-117, 10-Assistenza domiciliare, 11-Ospedale di Comunità, 12-rete cure palliative, 13-servizi per la salute de minori, donne, coppie, famiglie, 15-Telemedicina
In questi capitoli, si opera una sintesi della normativa vigente e si indicano elementi e parametri che definiscono standard qualitativi e quantitativi, rispetto ai quali dovrà intervenire la programmazione regionale.
Le figure professionali cardine sono quelle dell’infermiere e del medico: la programmazione regionale dovrà tener conto della effettiva possibilità di arruolare medici e infermieri, stante l’attuale carenza di entrambe le figure professionali.
Aspetti specifici
Alcune considerazioni vanno fatte in materia di Distretto e Prevenzione
Distretto
Nel testo approvato (capitolo 4) convivono cose diverse.
Prevenzione
In senso lato l’inserimento della materia della Prevenzione in questo regolamento (cap. 14) è stato opportuno in modo da coprire, per la definizione degli standard, tutto l’arco dei livelli di assistenza:
Gli standard dell’Assistenza territoriale comprendono i punti 1 e 2.
Il problema è che la redazione del capitolo 14 che avrebbe dovuto essere dedicata agli standard della Prevenzione collettiva e sanità pubblica è stata invece prevalentemente dedicata alla presentazione di principi e all’impostazione generale e culturale delle attività di Prevenzione e dei relativi strumenti (adozione della strategia del One Health, Health Impact Assessment, Risk Assessment, Health Equity Audi). Tutto ciò va benissimo.
Va meno bene il fatto che se (per esemplificare con una simulazione a caso) si è interessati a proporre per la AUSSL 6 Euganea in Veneto un adeguamento agli standard nazionali delle attività garantite dal Servizio di Igiene degli allevamenti e produzioni zootecniche (per tutelare la salubrità delle produzioni zootecniche) e vado a consultare l’allegato al nuovo DM sugli standard non ospedalieri non trovo sostanzialmente nulla.
Eppure, poteva essere l’occasione per consolidare, aggiornare, integrare tutta una serie di spunti, formulazioni, soluzioni, indicazioni sui servizi erogati dai Dipartimenti di Prevenzione, qua e là sparse tra le varie edizioni dei Piani Nazionali di Prevenzione e facilmente rielaborabili come standard pronti per essere inseriti in un contenitore più adeguato. cioè in questo Regolamento.
Tutto questo poteva essere fatto e, francamente, penso non sia stato fatto per la fretta nel recuperare una iniziale incertezza nel collocare anche la Prevenzione in questo provvedimento sugli standard.
Anche sugli standard del personale e in generale sulle dotazioni tecnologiche e strutturali non sembra recepita la preoccupazione di quanti (penso in particolare alla grande mobilitazione che si è sviluppata in Lombardia intorno all’appassionato impegno di Vittorio Carreri) vedono una incoerenza tra la necessità di una maggiore resilienza del servizio sanitario e del sistema Paese e l’insufficiente allocazione di risorse a proprio nel settore dei Dipartimenti di Prevenzione.
Proposte e conclusioni
Sarebbe opportuno, negli ulteriori passaggi che il documento dovrà fare, trovare il modo di differenziare i contenuti dell’allegato in tre tipologie:
- la prima (la principale che dà senso all’adozione stessa del provvedimento) considerabile come quella relativa alla fissazione, in senso proprio, degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui ai vigenti livelli essenziali di assistenza territoriale. Al riguardo si potrebbe predisporre una tabella di raccordo tra le specifiche indicazioni del documento e le specifiche linee prestazionali o attività contenute nel DPCM 12 gennaio 2017, di cui tali indicazioni costituiscono standard qualitativo o quantitativo;
- la seconda considerabile quale indirizzo per l’adozione di modelli organizzativi la cui applicazione nelle singole regioni resta subordinata alla adozione di specifiche norme o disposizioni regionali;
- la terza relativa a quei punti in cui si prospettano modifiche di grande rilievo. concernenti, ad esempio, la medicina generale o la previsione di medici dipendenti denominati medici di comunità (vedasi il riferimento contenuto nella Tabella 1 a pagina 8), ritenute necessarie per riqualificare l’assistenza sanitaria territoriale, ma la cui definizione e regolazione va condotta nei modi previsti dalle norme vigenti e non può basarsi solo su questo Regolamento.
Ulteriori aspetti che potrebbero essere migliorati:
- facendo riferimento a quelli che in un precedente contributo avevo definito “standard di confine” cioè a quei segmenti di assistenza sanitaria che sono al confine tra assistenza ospedaliera e assistenza distrettuale, nel definire lo standard, occorre utilizzare formulazioni che poi non facciano nascere problemi di applicabilità operativa e/o amministrativa ma che anzi li risolvano a monte in modo da facilitarne l’erogazione;
- va accolta la sollecitazione fatta su questo quotidiano da Ettore Iorio ad affrontare il tema dell’accreditamento nella erogazione delle prestazioni sanitarie nelle aree più innovative;
- va posto riparo a una problematicità forte relativa all’assenza di indicazioni sugli standard per la tutela della salute mentale, che per la rilevanza dei problemi assistenziali affidati ai Dipartimenti di salute mentale e la grande esperienza da essi maturata attraversando trasversalmente i tre macrolivelli assistenziali- potrebbero agevolmente essere formalizzati in un apposito spazio ad essi dedicato.
Mi fermo qui, rinviando a una successiva nota il contributo che sarà dedicato all’altro grande tema affrontato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 21 aprile, cioè il Sistema Nazionale Prevenzione Salute dai rischi ambientali e climatici.
Filippo Palumbo
Già Direttore Generale e Capo Dipartimento della Programmazione sanitaria del Ministero della Salute