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XXVII Rapporto Ismu sulle migrazioni 2021. Stranieri in calo del 2,8%. Pesante l’impatto della pandemia


L’ondata pandemica ha pesato maggiormente sulla popolazione rispetto rispetto a quella italiana a causa delle condizioni di vita e di lavoro e delle barriere di accesso all’assistenza sanitaria. iIcasi di Covid tra la popolazione straniera sono stati diagnosticati circa due settimane in ritardo rispetto a quelli casi italiani. IL RAPPORTO.

17 FEB - Sono 5.756.000 gli stranieri presenti in Italia il 1° gennaio 2021, circa il 10% della popolazione totale del nostro Paese, in calo del 2,8% (-167mila) rispetto al 2020. Una popolazione immigrata sulla quale le conseguenze dell’ondata pandemica hanno pesato maggiormente rispetto a quella italiana a causa delle condizioni di vita e di lavoro e delle barriere di accesso all’assistenza sanitaria: i casi di Covid tra la popolazione straniera sono stati diagnosticati circa due settimane in ritardo rispetto a quelli casi italiani. Dei casi confermati di Covid analizzati tra febbraio e luglio 2020, il 7,5% riguardava cittadini non italiani.
 
Anche il numero dei decessi tra gli immigrati che, se pur in termini assoluti è del tutto modesto (in totale si contano 9.323 morti), nell’anno della pandemia segna una variazione di mortalità in aumento del 23,3% rispetto al biennio 2018-2019.
 
Questi alcuni dei numeri contenuti nel XXVII Rapporto sulle migrazioni 2021 della Fondazione Ismu, Iniziative e studi sulla multietnicità, presentati nei giorni scorsi a Milano che restituiscono l’immagine di una popolazione immigrata in calo per il secondo anno consecutivo, in virtù sia della flessione degli ingressi sia del costante flusso di acquisizioni di cittadinanza.
 
L’immigrazione al 1° gennaio 2021. La Fondazione Ismu stima che al 1° gennaio 2021 gli stranieri presenti in Italia siano 5.756.000, 167.000 unità in meno rispetto alla stessa data del 2020 (-2,8%). Il calo dei presenti nel 2020 è per lo più dovuto agli stranieri regolari non residenti che scendono a 224mila unità (al 1° gennaio 2020 erano 366mila), mentre gli iscritti in anagrafe diminuiscono solo marginalmente (5.013.000 unità al 1° gennaio 2021), e il numero degli irregolari resta sostanzialmente invariato, attestandosi sui 519mila (contro i 517mila dell’anno precedente), a causa del ritardo della procedura valutativa delle istanze per emersione di lavoro (207.542[3]) della sanatoria del luglio 2020. Gli stranieri rappresentano nel complesso circa il 10% della popolazione presente in Italia al 1° gennaio 2021.
 
Il 70% proviene viene da paesi extra-UE. Per quanto riguarda le provenienze degli stranieri residenti, al 1° gennaio 2021 il gruppo nazionale più numeroso continua a essere quello dei rumeni (1 milione e 138mila residenti, il 23% del totale degli stranieri residenti in Italia), seguito dagli albanesi (410mila) e dai marocchini (408mila). I cittadini dei paesi terzi coprono circa il 70% del totale (3milioni e 543 mila unità, includendo anche il Regno Unito).
 
Il nostro paese conta un milione e mezzo di nuovi italiani. Al 1° gennaio 2020 (ultimi dati disponibili) vivono in Italia oltre 1 milione e 500mila (di cui 335mila nati in Italia) “nuovi italiani”, che nati stranieri, hanno successivamente acquisito la nostra cittadinanza. Si deve considerare che ogni 100 stranieri ci sono in media 29 “nuovi cittadini”.
 
Nuovi permessi di soggiorno: nel 2020 sono stati solo 107mila. Nel corso del 2020 sono stati rilasciati 107mila nuovi permessi di soggiorno, il numero più basso degli ultimi 10 anni (-40% rispetto al 2019). La diminuzione più consistente ha riguardato i permessi per studio (-58,1% rispetto all’anno precedente), cui seguono i permessi per asilo-umanitari (-51,1%), quelli per famiglia (-38,3%) e quelli per lavoro (-8,8%). In termini globali i cittadini non comunitari con regolare permesso di soggiorno in Italia sono diminuiti di circa il 7%, passando da 3 milioni e 616mila al 1° gennaio 2020 a 3 milioni e 374mila al 1° gennaio 2021.
 
La salute nella popolazione immigrata. In Italia la popolazione immigrata ha risentito maggiormente rispetto a quella italiana delle conseguenze dell’ondata di Covid-19. Da recenti studi (Fabiani et al., 2021) emerge come i migranti possano essere a maggior rischio di morbosità e mortalità per infezione da Covid-19 per via delle condizioni di vita e di lavoro e delle barriere di accesso all’assistenza sanitaria. Dei casi confermati di Covid analizzati tra febbraio e luglio 2020, il 7,5% atteneva a cittadini non italiani. Studi, ricorda il Rapporto, che rilevano come i casi di Covid tra la popolazione straniera siano stati diagnosticati circa due settimane in ritardo rispetto ai casi italiani, con un picco di 4 settimane per i migranti provenienti da paesi con un basso Indice di Sviluppo Umano (Hdi). Di conseguenza le infezioni tre le persone non italiane sono state diagnosticate in modo meno tempestivo, in una fase della malattia più avanzata e con sintomi più gravi.
 
Uno scenario afforzato dai dati sui ricoveri: gli stranieri, si legge nel rapporto, “hanno maggiori probabilità di essere ricoverati in ospedale e di essere ricoverati in terapia intensiva. La probabilità è più alta nel caso di persone provenienti da paesi con basso Hdi. Anche il rischio di morte tra i pazienti provenienti da questi paesi rispetto a quelli italiani risulta maggiore, sebbene tale differenza non si sia riscontrata nei casi che hanno richiesto il ricovero. In generale, quindi, minore è il valore di Hdi del paese d’origine, maggiore è il rischio di ospedalizzazione, di ricovero in terapia intensiva e di morte”.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il ritardo nelle diagnosi è attribuibile a diversi fattori, quali la difficoltà nell’accesso alla medicina territoriale (medici di base e ambulatori), le barriere linguistiche, amministrative, legali, culturali e sociali che – da sempre – ostacolano un veloce accesso ai servizi sanitari, oltre al fatto che gli stranieri potrebbero aver temuto il rischio di isolamento/quarantena e, di conseguenza, restrizione o blocco della propria attività lavorativa.
 
Nel 2020 mortalità in aumento del 23,3% tra gli stranieri (contro il +17,7% tra gli italiani). Da segnalare il numero dei decessi tra gli immigrati che, se pur in termini assoluti sia del tutto modesto (in totale si contano 9.323 morti), nell’anno della pandemia segna una variazione di mortalità in aumento del 23,3% rispetto al biennio 2018-2019. La variazione di mortalità tra i cittadini italiani, la cui struttura per età è più “matura”, è stata invece del +17,7%, sei punti percentuali in meno rispetto a quella della popolazione immigrata.
 
Aumenta la povertà. Si assiste a un ulteriore aggravamento della povertà, giunta nel 2020 a riguardare il 29,3% degli stranieri (rispetto al 7,5% degli italiani) e il 26,7% delle famiglie di soli stranieri (erano il 24,4% nel 2019), pari a ben 415mila nuclei familiari, che diventano 568mila se vi includiamo anche le famiglie miste (quelle cioè con almeno un componente straniero). Inoltre, sebbene più diffusa nel Mezzogiorno (dove arriva a interessare il 31,9% delle famiglie di soli stranieri), la povertà assoluta è cresciuta soprattutto nel Nord del Paese, passando dal 24,6% del 2019 al 28,4% del 2020. Da segnalare è l’alta incidenza di stranieri poveri ancorché occupati: 25%, cinque volte più alta di quella degli italiani (5,1%). Questo dato si spiega se si tiene conto, da un lato, della fragilità degli immigrati dal punto di vista patrimoniale e dall’altro, dei livelli delle retribuzioni: nel 2020 la retribuzione media annua dei lavoratori extracomunitari, pari a 12.902 euro, è inferiore del 38% a quella del complesso dei lavoratori.
 
A un anno di distanza (2020), i dati ripresi da varie fonti istituzionali e commentati all’interno del XXVII Rapporto ISMU, ci dicono che gli stranieri rappresentano il 10,8% della popolazione attiva e il loro peso sulle forze lavoro è sceso al 10,4% per effetto di un deciso incremento della componente inattiva, oltre cinque volte quello che ha interessato la popolazione italiana.

17 febbraio 2022
© Riproduzione riservata

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