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Legge 194. Tre i maggiori problemi ancora aperti: potenziamento consultori, arretratezza nei metodi di anestesia e scarso ricorso all’aborto farmacologico. Un bilancio di 40 anni

Un'analisi dettagliata delle problematiche e delle evidenze risultanti da 40 anni di applicazione della legge che ha legalizzato il ricorso all'IVG. Un primo elemento emerso fin dai primi anni è che il ricorso all’aborto non è una scelta di elezione ma un’ultima ratio e che si pone l’esigenza di una sistematica attività di counselling sulla procreazione responsabile da attuare con l’offerta attiva di corsi di educazione sessuale nelle scuole, nell’ambito del percorso nascita e in occasione dell’offerta attiva del pap test per le donne in età feconda

23 GEN - Il legislatore ha indicato perentoriamente l’obbligo del ministro della sanità a presentare al Parlamento, annualmente, una relazione sullo stato di applicazione della legge 194/78, peraltro, con irrealistici tempi molto ristretti.
 
C’è da domandarsi quali siano state le motivazioni, non necessariamente omogenee.
Il varo della legge avvenne dopo un conflitto aperto e fu indubbia manifestazione di saggezza politica accogliere le istanze del movimento delle donne che ponevano, oltre la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, il rispetto della volontà della donna.
 
A tale proposito si vide subito, nel predisporre lo strumento di rilevazione, il modello D12 ISTAT, come la saggezza del legislatore fosse travisata profondamento chiamando “certificato” quello che nel testo della legge è detto chiaramente “documento”, attestante la volontà della donna a interrompere la gravidanza, dopo l’avvenuto colloquio con il medico consultoriale o di fiducia, necessario per verificare con la donna l’eventuale esistenza di alternative.
 
Nella legge si parla di certificato quando il medico, riconoscendo l’esistenza di condizioni di urgenza ne certificava l’esistenza, autorizzando la donna a non attendere i sette giorni previsti dalla legge per un eventuale ripensamento. Chiamare certificato quello che era documento voleva lasciare intendere che non fosse la donna ad avere diritto all’ultima parola, nonostante il dettato della legge.
 
Perché un sistema di sorveglianza
Il timore dei legislatori che avevano ostacolato il varo della legge era che la legalizzazione rendesse più facile il ricorso all’aborto e, quindi, la rilevazione routinaria avrebbe permesso di verificare la fondatezza di tale timore.
 
I legislatori che avevano sostenuto il varo della legge avevano necessità di valutarne l’effettiva applicazione della stessa su tutto il territorio nazionale e le modalità di applicazione.
Comunque, il modello D12 rappresenta uno strumento valido per un sistema di sorveglianza. Ed è stato aggiornato nel tempo per inserire la data di rilascio del documento/certificazione, la cittadinanza e l’uso dell’aborto medico.
 
Va riconosciuto a Simonetta Tosi, prematuramente scomparsa nel 1984, il grande merito di aver progettato e implementato il sistema di sorveglianza epidemiologica, presso l’Istituto Superiore di Sanità, cui aveva chiesto l’ospitalità.
 
Il sistema di sorveglianza attiva è stato decisivo per il raggiungimento in pochi anni della completezza e dell’accuratezza delle informazioni.
 
A chi serve un sistema di sorveglianza
Alla domanda chi sia un destinatario dell’informazione, la legge è chiara. In effetti, quelle poche volte che si è sviluppata una seria discussione in Parlamento (usualmente la Commissione Affari Sociali della Camera) sono scaturite risoluzioni e atti legislativi di tutto rilievo, riguardo il potenziamento dei consultori familiari pubblici.
 
Ormai, da lungo tempo sono consolidate le procedure raccomandate per l’esecuzione dell’IVG, come la preferenza assoluta per l’anestesia locale, piuttosto che quella generale e l’impiego dell’isterosuzione piuttosto che il raschiamento, per i maggiori rischi associati. Il modello D12 rileva solo le eventuali complicazioni immediate.
 
Documentata una significativa distanza dalle procedure raccomandate si dovrebbe provvedere a predisporre programmi di aggiornamento professionale e, per quanto necessario, modificare l’organizzazione operativa dei servizi direttamente o indirettamente coinvolti nell’applicazione della legge.
 
Chi ha responsabilità a livello territoriale di mettere in rete integrata i servizi è interessato a valutare quali servizi vengono coinvolti nelle procedure del rilascio del documento e della certificazione, nell’esecuzione dell’IVG, nelle visite post-IVG, i tempi di attesa; il tutto tenendo conto della presenza di obiezione di coscienza e della diffusione e dislocazione dei servizi consultoriali.
 
Chi ha responsabilità manageriali generali è interessato al flusso informativo in ultima istanza perché la legge 194/78 è straordinariamente chiara al riguardo: è responsabilità della Regione l’applicazione della legge. In caso di sofferenze attuative è la Regione che deve farsi carico dei provvedimenti amministrativi e gestionali per superare le difficoltà.
 
La disponibilità del flusso informativo rende possibile la valutazione di efficacia dei provvedimenti tecnici e amministrativi messi in atto per risolvere i problemi che di volta in volta emergono. La conoscenza delle caratteristiche sociodemografiche delle donne che ricorrono all’IVG è fondamentale per controllare che non ci siano disparità di disponibilità dei servizi per condizione sociale e per generare ipotesi di ricerca sui fattori di rischio del ricorso all’IVG e sulle strategie operative di prevenzione.
 
A cosa è servito il sistema di sorveglianza e quali ricerche e studi ha stimolato
I quesiti ai quali il sistema di sorveglianza doveva fornire risposte erano e sono:
- la legge è riuscita a far emergere nella legalità il ricorso all’aborto, ovunque?
- la legge ha favorito il ricorso all’aborto o ha messo in moto programmi che hanno operato in termini di promozione della procreazione consapevole anche per la riduzione del rischio di gravidanze indesiderate? E tale attività è stata omogenea per composizione sociodemografica della popolazione?
 
- le procedure adottate per l’esecuzione dell’IVG sono coerenti con quanto raccomandato al livello internazionale sulla base delle prove scientifiche?
 
- l’eventuale introduzione di procedure alternative all’aborto chirurgico (la cui possibilità era stata molto saggiamente prevista dalla legge) quale dimensione applicativa ha e potrebbe avere, viste le caratteristiche del fenomeno al momento della loro introduzione?
 
Ma il sistema di sorveglianza ha anche lo scopo primario di stimolare ricerche di approfondimento che permettono di comprendere meglio i processi evolutivi del fenomeno.
La legge indica chiaramente che la sua applicazione non deve configurarsi come forma di controllo delle nascite. Tale affermazione ha senso compiuto se si esce dalla tautologia che ogni aborto è una nascita evitata. L’aborto non deve essere una scelta di elezione ma un’ultima ratio. Chi, quindi, ricorre all’interruzione di gravidanza e perché?
 
Epidemiologia
Dai primi risultati disponibili risultava che ad abortire erano donne con uno o più figli, a indicare che l’aborto non era richiesto per non avere figli, ma per non averne di più. L’indagine epidemiologica riguardante donne che interrompevano la gravidanza, coordinata da Simonetta Tosi nel 1982, mise in evidenza:
a) la scarsa conoscenza della fisiologia della riproduzione,
b) il prevalente uso di qualche metodo per evitare la gravidanza (oltre il 70%) usato evidentemente in modo non corretto o avendo fatto ricorso a metodi a bassa efficacia.
 
Si confermava così come il ricorso all’aborto non fosse una scelta di elezione ma un’ultima ratio e che si poneva l’esigenza, peraltro già ampiamente prevista dalla legge istitutiva dei consultori familiari (legge 405/75),  di una sistematica attività di counselling sulla procreazione responsabile da attuare con l’offerta attiva di corsi di educazione sessuale nelle scuole, nell’ambito del percorso nascita e in occasione dell’offerta attiva del pap test per le donne in età feconda  (da notare che meno del 30% erano gli aborti ottenuti da donne di età inferiore ai 25 anni). 
 
Il sistema di sorveglianza epidemiologica registrò nei primi anni una crescita del ricorso all’IVG, in seguito ai ritardi nell’organizzazione dei servizi, fino al 1982 (234801 IVG). Dal 1983 iniziò il costante decremento del fenomeno, che dura tuttora (2016: 84926 IVG, 59423 con cittadinanza italiana), a conferma che la legalizzazione andava favorendo le iniziative tendenti a diffondere la cultura della procreazione responsabile, soprattutto in termini di capacità concreta di utilizzare al meglio i metodi adottati.
 
Riguardo alla verifica dell’emersione dalla clandestinità fu condotto uno studio per valutare l’andamento dell’abortività spontanea che risultò dimezzarsi con il varo della legge.
 
Inoltre, furono adottati tre modelli matematici per stimare gli aborti clandestini residui e dove maggiormente fossero ancora presenti: nel 1983, 100mila (il 70% al Sud) a fronte di 230mila legali. Anche gli aborti clandestini sono in costante diminuzione e le ultime stime indicano 15mila, il 90% sempre al Sud.
 
L’aumento negli ultimi anni dell’abortività spontanea non maschera aborti clandestini ma è dovuto allo spostamento in avanti dell’età al parto: il rischio di abortività spontanea aumenta con l’età ed è confermato dall’andamento dei tassi specifici per età, crescenti nelle ultime tre classi quinquennali di età feconda, costanti nelle classi precedenti (elaborazione dati ISTAT).
 
Tali studi permisero di riconoscere nell’assenza dei servizi per l’esecuzione dell’IVG la causa fondamentale del non ricorso alla legge, soprattutto al Sud, con l’eccezione della Puglia, dove l’allora governo regionale impose l’applicazione della legge in ogni singola USL (di dimensioni allora degli attuali distretti) e ciò permise in quella regione la sostanziale emersione dalla clandestinità del ricorso all’aborto.
 
Si e venuta così a delineare la centralità della promozione della salute come promozione delle competenze e delle consapevolezze per un controllo autonomo del proprio stato. Una verifica che questa fosse la corretta chiave di lettura fu effettuata osservando la riduzione dei tassi di abortività per istruzione, per occupazione, per stato civile e per numero di figli, si confermò che le per le donne più istruite, le occupate, le coniugate e con figli i relativi tassi di abortività decrescevano con maggiore rapidità rispetto a quelli riguardanti le meno istruite, le non occupate, le nubili e senza figli.
 
Ulteriore conferma della diminuzione del rischio di abortire si è ottenuta confrontando il trend della percentuale di IVG ottenute da donne con precedente esperienza abortiva con quello ottenuto, mediante modello matematico, sotto l’ipotesi di costanza del rischio nei trenta anni successivi alla legalizzazione.
 
L’andamento della percentuale osservata di aborti ripetuti si è sistematicamente collocata ben al di sotto della curva attesa: i valori osservati risultano meno della metà di quelli attesi.
Era prevedibile che della maggiore disponibilità di servizi e informazioni avrebbero fatto tesoro più rapidamente le donne con maggiore istruzione, occupate (maggiore socializzazione), coniugate (maggiore stabilità di rapporti sessuali).
 
I differenziali di decrescita del ricorso all’aborto per condizione sociale stavano anche testimoniando una carenza di offerta attiva del counselling sulla procreazione responsabile sia a causa della non sufficiente presenza di consultori familiari con organici adeguati, sia per la scarsa cultura dell’offerta attiva. Indagini sulla salute riproduttiva nell’età adolescenziale mostrò che solo il 40% aveva avuto l’opportunità di partecipare a corsi di educazione sessuale a scuola, a fronte di una loro esplicita richiesta che si svolgessero nella sede scolastica (oltre il 95%).
 
Indagini sul percorso nascita negli ultimi 20 anni hanno evidenziato che meno del 50% delle donne che affrontano il percorso nascita sono esposte a un counselling sulla procreazione responsabile, paradossalmente meno proprio le donne meno istruite che ne avrebbero più bisogno, nonostante tale raccomandazione sia presente nelle relazioni ministeriali e nei rapporti tecnici dell’ISS dalla metà degli anni ottanta del secolo scorso.
 
Dalle indagini citate risulta che l’informazione aumenta significativamente la prevalenza d’uso di metodi alla ripresa dei rapporti sessuali dopo il parto, annullando la differenza associata a livello d’istruzione, dal 70% all’80% per le più istruite, dal 60% all’80% per le meno istruite.
 
Prevenzione del ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza
L’applicazione della legge 194/1978 può - e quindi deve - essere ulteriormente migliorata.
Rispetto alla prevenzione del ricorso all’aborto, il ruolo dei consultori risulta primario. Alla luce dell’evidenza, ormai acquisita negli anni, che nel 70-80% dei casi il ricorso all’aborto segue al fallimento/uso scorretto dei metodi per la procreazione cosciente e responsabile e quindi l’aborto rappresenta, nella gran parte dei casi, l’estrema ratio e non la scelta d’elezione, la prevenzione del ricorso all’aborto può essere esplicata in tre diverse modalità.
 
Il più importante contributo è dato dai programmi di promozione della procreazione responsabile nell’ambito del percorso nascita e della prevenzione dei tumori femminili (per la quota in età feconda della popolazione bersaglio) e con i programmi di informazione ed educazione sessuale tra gli/le adolescenti nelle scuole e nei conseguenti “spazi giovani” presso le sedi consultoriali, indicati come progetti strategici nel Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI, varato nel 2000).

Una seconda possibilità di prevenzione riguarda la riduzione del rischio di aborto ripetuto, attraverso un approfondito colloquio con le donne che hanno deciso di ricorrere  all’interruzione volontaria di gravidanza, mediante il quale si analizzano le condizioni del fallimento del metodo impiegato per evitare la gravidanza e si promuove una migliore competenza. Tale colloquio dovrebbe essere molto opportunamente svolto in consultorio a cui la donna, ed eventualmente la coppia, dovrebbe essere indirizzata in un contesto di continuità di presa in carico, anche per una verifica di eventuali complicanze post-aborto.
 
L’OMS ribadisce che occorre promuovere consapevolezza e competenza riguardo la tutela della salute sessuale e riproduttiva anche al fine di un benefico effetto di riduzione dei fallimenti dei metodi per la procreazione cosciente e responsabile.
 
I Consultori Familiari hanno un ruolo strategico centrale in queste azioni, attivando la possibilità di integrare le attività per la tutela della salute sessuale e riproduttiva nel contesto dei programmi strategici previsti dal Piano Sanitario Nazionale e dal POMI riguardanti il percorso nascita, la prevenzione dei tumori femminili e la promozione della salute tra gli/le adolescenti.
 
Da quanto esposto si comprende come sia fondamentale potenziare il ruolo dei consultori sia nelle attività di prevenzione dell’interruzione volontaria di gravidanza che nella presa in carico delle donne che la richiedono. Perché ciò avvenga è necessario rendere “conveniente” l’uso di questo servizio assegnandogli il compito di centro di prenotazione. E’ stato dimostrato che agendo in tal modo le donne ritornano al Consultorio per la visita di controllo post interruzione volontaria di gravidanza e per l’informazione sulla contraccezione.
 
È legittimo ritenere che il collocamento del nostro paese sui valori più bassi del tasso di abortività e la maggiore velocità della sua riduzione siano dovuti alla presenza dei consultori familiari, servizi innovativi rispetto allo scenario tradizionale, per la multidisciplinarietà, la visione di genere e un approccio non paternalistico.   

Quindi, è necessario:
a) effettuare un costante monitoraggio delle modalità operative dei servizi attraverso indicatori della disponibilità e qualità dei medesimi, oltre che del loro livello di integrazione (in particolare: la percentuale di interventi effettuati a 11-12 settimane, i tempi di attesa documento/certificazione-intervento oltre 3 settimane), le procedure adottate e la loro appropriatezza, per favorire l’applicazione dell’articolo 9 della Legge n.194/78, che affida alle Regioni il compito di garantire l’attuazione degli interventi su tutto il proprio territorio;
 
b) garantire, in numero appropriato e con personale adeguato, la presenza dei Consultori Familiari sul territorio, con riferimento a quanto espresso nel POMI (in particolare per quanto attiene all’integrazione e messa in rete dei servizi consultoriali con i servizi specialistici e di cura di II e III livello e con i servizi sociali; alla multidisciplinarietà delle équipe professionali; all’offerta attiva; alla valutazione degli obiettivi individuati) e a quanto indicato nella legge n. 34/1996 (un consultorio ogni 20mila abitanti);
 
c) favorire il ruolo del Consultorio Familiare come riferimento privilegiato per la prenotazione delle analisi pre- IVG e per l’intervento, nonché per la visita di controllo post-IVG e per il counselling  sulla procreazione responsabile;
 
d) pubblicizzare da parte delle ASL le sedi e gli orari dei servizi consultoriali e dei Centri IVG ove si effettuano le interruzioni volontarie di gravidanza;
 
e) garantire un congruo orario di apertura del Servizio Consultoriale, anche prevedendo l’accoglienza senza appuntamento, con carattere di precedenza, per alcune richieste come: contraccezione d’emergenza, inserimento di IUD, richiesta di certificazione urgente per interruzione volontaria di gravidanza;
 
f) promuovere, in relazione alla prevenzione dell’interruzione volontaria di gravidanza, attività di aggiornamento e formazione professionale comune tra MMG, operatori consultoriali e personale ambulatoriale e ospedaliero.
 
Conclusioni e problemi aperti
L’evoluzione del ricorso all’IVG è la più consistente dimostrazione della possibilità di investire sulla promozione delle competenze delle persone per il miglioramento degli indicatori di salute. Riconoscere alla donna il diritto all’ultima parola, come manifestazione di un modello comunicativo non paternalistico e non direttivo è stata la chiave di volta.
 
Far emergere, valorizzare, promuovere, sostenere e proteggere le competenze delle persone e, prioritariamente, delle donne (pilastri delle famiglie e, quindi, della società) con l’arte socratica della maieutica, agendo con rispetto, gentilezza, empatia, compassione e umiltà, rappresenta l’orizzonte ideale dei servizi consultoriali nel rispetto della Carta di Ottawa e in applicazione del POMI.
 
Approcci paternalistici nel proporre metodi contraccettivi, preferendo quelli ormonali, non favoriscono scelte consapevoli e, quindi, comportamenti efficaci nella pratica per ridurre il rischio di gravidanze indesiderate. Basterebbe al riguardo il confronto con la Francia, con tassi di abortività maggiori. Il confronto con la Francia è utile anche per comprendere che abortività e fecondità realizzata sono fenomeni disgiunti e la seconda si promuove esclusivamente agendo con provvedimenti sociali che favoriscono la realizzazione di tutta la fecondità desiderata.
 
Dal 1995 il contributo delle donne immigrate è stato via via crescente fino ad attestarsi oltre il 30%, con forti disomogeneità per area geografica, in relazione alla sempre più crescente presenza femminile nel fenomeno migratorio. Pur essendoci radicali differenze tra le varie nazionalità le indagini permettono di affermare che anche tra le donne immigrate il ricorso all’aborto non è una scelta d’elezione. Il loro più frequente utilizzo del consultorio familiare, sia per il documento/certificazione sia per essere assistite nel percorso nascita, le ha efficacemente esposte alla promozione della procreazione consapevole con conseguente riduzione del rischio di gravidanze indesiderate.
 
Quelle poche volte che il Parlamento ha ampiamente discusso le relazioni presentate sono emerse indicazioni, con conseguenze legislative e normative di grande rilievo riguardo il potenziamento e la riqualificazione dei consultori familiari, con stanziamenti importanti per il loro potenziamento, i più significativi: la legge 34/96 che indicava finalmente per legge la necessità di avere un consultorio per 20mila abitanti e il POMI.
 
Tutto ciò per dire che la sorveglianza epidemiologica del ricorso all’IVG non è servita soltanto per testimoniare che la legalizzazione non avesse favorito il ricorso all’aborto, ma ha permesso di studiare l’evoluzione al fine di comprendere la dinamica del fenomeno e delineare di conseguenza strategie di promozione della salute, anche attraverso studi e ricerche di approfondimento.
 
Paradossalmente, nonostante le ripetute sollecitazioni al loro potenziamento i consultori familiari hanno sopportato sempre maggiori livelli di emarginazione nonostante il loro evidente contributo alla diffusione della cultura della procreazione responsabile e nonostante il maggiore livello di gradimento dell’azione consultoriale nell’impegno, purtroppo irragionevolmente modesto, nel percorso nascita e i migliori esiti di salute associati alla loro azione. 
 
Infine, è molto opportuno evidenziare la sistematica non volontà da parte degli operatori che eseguono le IVG di aggiornare le metodiche anestesiologiche secondo le raccomandazioni internazionali, nonostante il costante richiamo a tale necessità costantemente presente nelle relazioni ministeriali a partire dal 1983.
 
Si è in presenza di un comportamento francamente incomprensibile (se si esclude il desiderio di assegnare l’importanza del ruolo alla complessità delle procedure e dei servizi impegnati) e pregiudizievole della salute della donna, come ricerche dell’ISS hanno dimostrato, per non parlare dell’aumento dei costi, per la maggiore numerosità di analisi pre-IVG e per il maggiore impegno di servizi e personale specializzato, peraltro non esclusivo per tale attività e anch’esso titolare del diritto di opporre obiezione di coscienza.
 
Una possibile realistica articolazione dei servizi
Si è detto che è responsabilità della regione o provincia autonoma l’applicazione della legge e non si tratta di un impegno difficile da assolvere.
 
In una ASL di 250mila abitanti, circa 63mila donne in età feconda, con i tassi di abortività attuali, non più di 8 per mille, sono attese circa 500 IVG all’anno, circa 20 IVG in due settimane. Di queste il 20% (4) potrebbero essere trattate medicalmente in sede ambulatoriale o, meglio, consultoriale. Il 65% (circa 13) in anestesia locale in sede ambulatoriale o day hospital e il restante 15% in anestesia generale (circa 3) in ospedale. 
 
Sull’aborto medico le assurde decisioni, in contrasto con le consolidate evidenze scientifiche (a cui sono obbligate ad attenersi sia l’AIFA che il Consiglio Superiore di Sanità) , di imporre il limite di 7 settimane e non 9 (come si pratica nel resto del mondo da oltre 20 anni) e il ricovero in ospedale per 3 giorni (indicazione scellerata per l’esposizione al rischio di infezioni nosocomiali e per inutile incremento di costi diretti e indiretti, per impropria utilizzazione delle risorse) devono essere cambiate. Tenendo conto dell’attuale distribuzione delle IVG per settimana di gestazione le percentuali (e i numeri assoluti), prima considerati, potrebbero essere, tenendo conto che circa il 70% delle IVG viene effettuato entro la nona settimana gestazionale, 50% (10), 35% (7), 15% (3).
 
Va assegnato ai consultori (eventualmente non tutti, ma adeguatamente distribuiti sul territorio, almeno uno per distretto) il compito di prenotare gli interventi nelle sedi identificate a seconda delle modalità di esecuzione dell’IVG. Questa scelta abbiamo dimostrato favorisce nettamente il consultorio per la richiesta del documento/certificazione, creando le condizioni per l’offerta attiva del counselling sulla procreazione responsabile, anche da parte dell’ostetrica, soprattutto in occasione del ritorno al consultorio per una visita post IVG).
 
Riguardo l’aborto medico la sede ideale è il consultorio familiare, almeno uno per distretto, con una seduta settimanale. Gli interventi in anestesia locale potrebbero essere effettuati in due o più sedi, ambulatoriali o day hospital, sempre opportunamente distribuite, per effettuare gli interventi in sedute settimanali, i restanti interventi in anestesia generale e quelli oltre i novanta giorni potrebbero essere concentrati in un solo ospedale.  Non sembrano questi impegni particolarmente complessi da organizzare e garantire per l’applicazione della legge. 
 
Riducendo gli interventi in anestesia generale al 15% il risparmio ottenuto potrebbe essere destinato al potenziamento della rete consultoriale secondo le raccomandazioni del POMI e della legge 34/96.
 
Michele Grandolfo
Epidemiologo, già dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, direttore del reparto Salute della donna e dell’età evolutiva del CNESPS, responsabile del sistema di sorveglianza epidemiologica dell’IVG.
 
RIFERIMENTI
1) Rapporto ISTISAN 91/25. Epidemiologia dell’interruzione volontaria di gravidanza e possibilità di prevenzione. http://www.epicentro.iss.it/temi/materno/pdf/Epidemiologia%20IVG%20possibilit%C3%A0%20prevenzione.pdf
2) WHO. Safe Abortion: technical and policy  guidance for health systems. http://www.who.int/reproductivehealth/publications/unsafe_abortion/9789241548434/en/
 
3) Rapporto ISTISAN 6/17. L’interruzione volontaria di gravidanza tra le donne straniere in Italia : www.iss.it/binary/publ/cont/06-17.1153815368.pdf
 
4) Rapporto ISTISAN 12/39: Percorso Nascita: Promozione e valutazione della qualità di modelli operativi. Le indagini del 2008-2009 e del 2010-2011. www.iss.it/binary/publ/cont/12_39_web.pdf
 
5) Rapporto ISTISAN 11/12. Percorso nascita e immigrazione in Italia: le indagini del 2009. www.iss.it/binary/publ/cont/11_12_web.pdf
 
6) POMI.  http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_1548_allegato.pdf
 
7) Relazioni sull’applicazione della legge 194/78 al Parlamento: 
           Rel. 2017 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2686_allegato.pdf
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2686_ulterioriallegati_ulterioreallegato_0_alleg.pdf
 
8) Rel. 2008: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_804_allegato.pdf
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_804_ulterioriallegati_ulteriorealle     gato_0_alleg.pdf
 
9) Salute riproduttiva tra gli adolescenti. Rapporto Istisan 00/7. http://www.iss.it/binary/publ/cont/00_7.pdf
 
10) Loghi, D’Enrico, Spinelli. Il declino dell’aborto volontario. In: Sessualità e riproduzione nell’Italia contemporanea. A cura di De Rose e Dalla Zuanna. Il Mulino Ed. 2013
 
11) Grandolfo M, et al. INDAGINE CONOSCITIVA SUL PERCORSO NASCITA, 2002
ASPETTI METODOLOGICI E RISULTATI NAZIONALI.
http://www.epicentro.iss.it/problemi/percorso-nascita/ind-pdf/nascita-1.pdf
 
12) Lauria L, et al. The effect of contraceptive counselling in the pre and post-natal period on contraceptive use at three months after delivery among Italian and immigrant women. Ann Ist Super Sanita. 2014;50(1):54-61.DOI: 10.4415/ANN_14_01_09
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24695254


23 gennaio 2019
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