Lettere al Direttore
L’intramoenia e le esigenze di uniformare il trattamento sull’intero territorio nazionale
di Fernanda FraioliGentile direttore,
la (parziale) dichiarazione di illegittimità di una norma della Regione Liguria da parte della Corte costituzionale con la recentissima sentenza n. 153 del 29 luglio scorso ha comportato l’affermazione del principio secondo il quale i medici in regime di rapporto esclusivo con il SSN non possono svolgere attività libero-professionale in intramoenia presso strutture sanitarie private accreditate.
La norma cassata – l’art. 47, co. 1 della L.R. Liguria 28 dicembre 2023, n. 20 – prevedeva, in via transitoria fino al prossimo anno 2025, la possibilità per dette strutture di avvalersi dell’operato di dirigenti sanitari dipendenti dal SSN che avessero optato per il regime di attività libero professionale intramuraria (ALPI).
Ha precisato la Corte che trattasi di un divieto non nuovo, ma esistente già ad opera della legge n. 120 del 2007 che all’art. 1, co. 4, in estrema sintesi prevedeva che “le regioni …….. adottano provvedimenti tesi a garantire che le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, ……… ad una ricognizione straordinaria degli spazi disponibili …….. per l'esercizio dell'attività libero professionale, comprensiva di una valutazione dettagliata dei volumi delle prestazioni rese nell'ultimo biennio, in tale tipo di attività presso le strutture interne, le strutture esterne e gli studi professionali. Sulla base della ricognizione, le regioni ………….. possono autorizzare l'azienda sanitaria, ove ne sia adeguatamente dimostrata la necessità e nel limite delle risorse disponibili, ad acquisire, tramite l'acquisto o la locazione presso strutture sanitarie autorizzate non accreditate, nonché tramite la stipula di convenzioni con altri soggetti pubblici, spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, per l'esercizio di attività sia istituzionali sia in regime di libera professione intramuraria ordinaria, i quali corrispondano ai criteri di congruità e idoneità per l'esercizio delle attività medesime…………..”.
Divieto, vieppiù ribadito anche da successive norme, atteso che la ratio legis è sempre stata quella di garantire la massima efficienza e funzionalità operativa del servizio sanitario pubblico, scongiurando il pericolo di effetti negativi derivanti dal contemporaneo esercizio da parte del dipendente medico di attività professionale presso strutture accreditate al preciso fine di evitare “il pericolo di incrinamento della funzione ausiliaria” dell’intera rete sanitaria che le stesse svolgono.
Differente sorte, invece, per altra parte della medesima norma sottoposta a vaglio di costituzionalità (co. 2 del medesimo art. 47), ma riferita all’ausilio di sanitari propri per prestazioni in regime di ALPI al fine di ridurre le liste di attesa spesso causate dalla endemica carenza di personale sanitario che è stata ritenuta pienamente legittima.
La differenza è data dal contrasto esistente per il primo comma del medesimo art. 47 con il principio di esclusività del rapporto di lavoro con il SSN, di cui il divieto di svolgere attività libero-professionale presso le strutture private accreditate costituisce corollario.
A rendere maggiormente chiaro questo contrasto è proprio quella contraddittorietà – continua ancora la Corte – fra l’esigenza di ovviare alla carenza di organico delle aziende sanitarie unitamente a quella di ridurre le liste di attesa – che è alla base della previsione della possibilità di acquistare prestazioni aggiuntive in regime libero-professionale dai propri dirigenti sanitari oltre l’orario di servizio, in vista dell’obiettivo ultimo di garantire l’erogazione delle prestazioni istituzionali da parte dell’azienda sanitaria – e la possibilità, accordata ai medesimi dirigenti, di operare, non presso l’azienda sanitaria stessa, ma presso le strutture private accreditate.
Le motivazioni si sostanziano, quindi, nel rispetto di un principio fondamentale vigente in materia di tutela della salute che vieta ai medici che hanno scelto il rapporto di lavoro esclusivo con il SSN di svolgerlo anche altrove (strutture accreditate), essendo consentito loro di svolgere attività libero professionale unicamente in intramoenia.
La Corte rende tali motivazioni ribadendo che trattasi di una propria posizione ormai consolidata, atteso che spesso già in passato ha ripetutamente affermato che la disciplina ALPI dei dirigenti sanitari, pur incidendo su una pluralità di ambiti, deve essere ascritta, in via prevalente alla materia della tutela della salute, in ciò richiamando appositamente precedenti pronunce.
E non solo, perché anche la posizione del legislatore è sempre andata, nel tempo, nel medesimo senso, dalla riforma di cui al d.lgs. n. 502 del 1992 in avanti.
Tutti i provvedimenti che si sono susseguiti hanno confermato il principio di esclusività del rapporto di lavoro con il SSN e l’incompatibilità fra attività libero-professionale extramuraria e intramuraria, insieme al riconoscimento e all’incentivo di quest’ultima, sia nell’interesse del medico, abilitato a svolgere, a certe condizioni, la libera professione, sia per consentire al paziente la scelta del medico di fiducia.
Ricorda ancora la Corte costituzionale che “è proprio al fine di rendere possibile l’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici, con un rapporto di lavoro esclusivo con il SSN, che è stata introdotta, in via transitoria, in considerazione della carenza degli spazi disponibili, la possibilità di un’ALPI “allargata”, e si è consentito al direttore generale, «fino alla realizzazione di proprie idonee strutture e spazi distinti per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria in regime di ricovero ed ambulatoriale», di «assumere le specifiche iniziative per reperire fuori dall’azienda spazi sostitutivi», includendovi anche gli studi professionali privati, ma con l’espressa esclusione delle strutture sanitarie private accreditate, che l’art. 1, comma 5, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 ha equiparato alle strutture sanitarie private convenzionate”.
A fronte, quindi, non soltanto della posizione granitica dei giudici della legittimità, ma soprattutto del legislatore, la norma della Regione Liguria che consentiva, sia pure soltanto in via transitoria perché fino all’anno 2025, ai dirigenti sanitari in rapporto esclusivo con il SSR, in regime di attività libero-professionale intramuraria, di operare nelle strutture sanitarie private accreditate, anche solo parzialmente, con il SSR, si è mostrata violativa del divieto di cui al citato art. 1, co. 4, della legge n. 120 del 2007, ma anche del connesso principio di esclusività del rapporto di lavoro del dirigente sanitario con il servizio sanitario pubblico per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
E, come riconosciuto sempre dalla stessa Corte costituzionale, ciò è avvenuto in modo assolutamente consapevole, atteso che dalla lettura degli atti preparatori, ovvero dalla relazione illustrativa dell’emendamento poi trasfuso nell’articolo cassato, si evince che tale decisione è stata dichiaratamente volta a trovare una delle “soluzioni straordinarie, ancorché temporanee”, imposte dall’”attuale situazione di arretrato nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, che si è venuta a creare a seguito dell’emergenza Covid-19”, adottate “in parziale deroga al vigente quadro normativo nazionale”.
Transitorietà, quindi, ma pur sempre violativa di un preciso divieto chiaro e preciso imposto dal legislatore.
La parziale censura di illegittimità costituzionale del suddetto comma 2 contagia anche quanto statuito nel comma 3 del medesimo art. 47 della legge Regione Liguria n. 20 del 2023 che attribuiva alla Giunta regionale il compito di stabilire, “con propria deliberazione, i criteri e le modalità di svolgimento dell’attività libero-professionale di cui al comma 2, nonché la valorizzazione economica dell’attività libero professionale da corrispondere, a prestazione, ai professionisti”, ma non cassandolo interamente, bensì riservandogli un suo, sebbene più limitato, ambito di applicazione, compatibile con la facoltà, accordata alla Regione, di autorizzare, al ricorrere delle condizioni indicate dal legislatore statale, l’acquisto da parte delle aziende sanitarie delle prestazioni aggiuntive dai propri dirigenti sanitari e di disciplinare, nel rispetto dei principi fissati dal legislatore statale, criteri e modalità di svolgimento di tale attività.
Tanto perché, ha rilevato la Corte, la censura rivolta all’intero art. 47 della legge Regione Liguria n. 20 del 2023 in riferimento all’art. 3 Cost. (che ricordiamo sancisce uguaglianza e pari dignità sociale di tutti i cittadini), non si configura come una questione di legittimità costituzionale autonoma, ma mera specificazione delle questioni promosse in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost. (che si occupa della ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli europei ed internazionali).
Per questo la denunciata illegittima disparità di trattamento – fra i dirigenti sanitari della Regione Liguria e i dirigenti sanitari delle altre regioni – che a rigore scaturirebbe dalle disposizioni impugnate, è stata ritenuta dai giudici di legittimità una mera conseguenza della pretesa violazione, da parte delle medesime disposizioni, dei principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di tutela della salute e/o delle norme statali in materia di ordinamento civile, che, nel disegno costituzionale, sono precisamente volte a garantire le esigenze di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale, e che, in questo caso, sarebbero sottese alla disciplina della libera professione intramuraria.
A conclusione, quindi, l’illegittimità costituzionale in toto del comma 1; illegittimità parziale del comma 2, per essere limitata alle parole “anche con le modalità di cui al comma 1”; non fondatezza della questione con riferimento al comma 3, dell’art. 47 della legge Regione Liguria n. 20 del 2023, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, della Costituzione.
Fernanda Fraioli
Consigliere della Corte dei Conti