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Aborto. La 194, una legge tradita

Mentre gli aborti drasticamente diminuiscono (ed è questo il risultato più straordinario della legge), gli attacchi continuano. Oggi l’obiezione di coscienza è il vero grimaldello per sabotare la legge. Solo 390 su 654 strutture dotate di reparti di ostetricia e ginecologia effettuano interruzioni di gravidanza. L'interruzione volontaria di gravidanza è sempre più un percorso a ostacoli. Senza il riconoscimento della libertà e dei diritti delle donne, non c’è cambiamento

25 MAG - La legge 194 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”) ha compiuto il 22 maggio quarant’anni e sono quarant’anni che continuano gli attacchi del fronte pro-life. Non hanno mai smesso. Sono gruppi organizzati e finanziati, strettamente collegati tra loro e con solidi legami internazionali. In Europa sostengono il progetto “Agenda Europa”, il cui prioritario obiettivo è ripristinare l’“ordine morale naturale” con la cancellazione di ogni legislazione favorevole all’aborto.
 
Anche gli ultimi vergognosi episodi dei megacartelloni affissi per le strade di Roma hanno la firma del marchio CitizenGO che è una fondazione spagnola ma attivissima in Italia contro l’educazione sessuale nelle scuole e che in realtà nasconde il sostegno di una società segreta paramilitare messicana, ultracattolica, di stampo fascista i cui leader provengono da centri di formazione e movimenti ecclesiali conservatori come i Legionari di Cristo o Comunione e Liberazione.
 
Mentre gli aborti drasticamente diminuiscono (ed è questo il risultato più straordinario della legge), gli attacchi continuano. Apertamente, con i blitz dei militanti delle associazioni antiabortiste nei reparti ma anche in modo più subdolo, cercando di svuotare dall’interno la legge. E’ il tema ormai palesemente politico dell’obiezione di coscienza, che negli anni continua a crescere raggiungendo percentuali addirittura del 90% soprattutto nelle regioni del Sud. Sono ginecologi, anestesisti, ma anche infermieri, ostetriche e tutte le figure sanitarie, fino all’operatore che deve accompagnare la donna in camera operatoria.
 
La legge 194 ha salvato le donne dalle morti per aborto clandestino e le ha salvate dalle condanne per il reato “contro l’integrità e la sanità della stirpe” del codice Rocco (che, nel rispetto coerente della concezione patriarcale dei ruoli tra uomini e donne all’interno della famiglia, diminuiva le stesse condanne dalla metà ai due terzi se l’aborto, su donna consenziente o no, veniva procurato per “causa di onore”). Ma tutto questo evidentemente non parla alle coscienze di quelli che obiettano.
 
Oggi l’obiezione di coscienza è il vero grimaldello per sabotare la legge. E nonostante Il comma 3 dell’art. 9 della legge limita l’obiezione di coscienza alle procedure e alle attività “specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”, escludendo quindi tutto quello che è assistenza antecedente e conseguente all’intervento, continuano ad obiettare quelli che non lo potrebbero e non lo dovrebbero assolutamente fare.
 
Obiettano i cardiologi, che si rifiutano di eseguire un ECG alla donna; obiettano le ferriste che si rifiutano di preparare il campo operatorio; obiettano i ginecologi che non aiutano l’espulsione del feto nel corso di un aborto terapeutico, quando il feto si sa che nascerà morto ma che ha ancora il battito cardiaco. Obiettano i ginecologi dei consultori che non rilasciano alla donna il certificato per l’IVG; obiettano i farmacisti che si rifiutano di prescrivere la cosiddetta “pillola del giorno dopo” (che è un anticoncezionale di emergenza e non è un aborto). È un’obiezione virale.
 
A difendere le donne è intervenuta la Corte di Cassazione nel 2013, che ha confermato la sanzione a un anno di carcere con interdizione dall'esercizio della professione per un medico di guardia in un ospedale di Pordenone, che si è rifiutato di soccorrere una paziente che aveva abortito e rischiava un'emorragia. Una sentenza molto importante che rimette ordine nella gerarchia dei diritti, affermando che “il diritto dell'obiettore affievolisce, fino a scomparire, di fronte al diritto della donna in imminente pericolo a ricevere le cure per tutelare la propria vita e la propria salute”.
 
Ma la realtà resta pesante: solo 390 su 654 strutture dotate di reparti di ostetricia e ginecologia effettuano interruzioni di gravidanza; tra queste, solo una minima parte garantiscono entrambi i tipi di aborto, quello prima del 90° giorno (volontario) e quello dopo il 90° giorno (terapeutico); non solo aumentano gli obiettori ma diminuiscono i non obiettori, per cui diminuiscono gli aborti fatti in ospedale, cioè in applicazione della 194 e in sicurezza. Infatti c’è un livello di guardia sotto il quale si creano condizioni critiche che mettono a rischio la salute di tante donne: i tempi di attesa si allungano, i giorni dedicati all’aborto diminuiscono costringendo le donne a cercare sempre altrove, aumentando i rischi per la loro salute. Inoltre l’aborto farmacologico (con la RU486) è somministrato da pochi ospedali e in modo limitato, mentre la 194 prevede esplicitamente “l’uso delle tecniche più aggiornate a tutela della salute delle donne”. L'interruzione volontaria di gravidanza è sempre più un percorso a ostacoli.
 
Contro questa strategia di sabotaggio della 194 serve alzare il tiro, per imporre controlli veri e sanzioni efficaci affinché gli ospedali - secondo quanto sancito nell’articolo 9 della legge - garantiscano obbligatoriamente il servizio, prevedendo che le strutture che non lo garantiscono siano considerate responsabili civilmente e penalmente. Serve alzare il tiro perché i Direttori Generali siano valutati rispetto alla reale applicazione della legge, per consentire di fare bandi dedicati per assumere nei servizi personale non obiettore, perché i contraccettivi siano gratuiti, per l’aborto farmacologico senza ospedalizzazione, anche in regime ambulatoriale e in consultori adeguatamente attrezzati.
 
Serve alzare il tiro, smascherando l’ipocrisia e l’opportunismo degli obiettori, proponendo che vadano ad operare nei consultori, sfidandoli a dimostrare la coerenza della loro scelta, per fare quello che resta il pilastro più importante per evitare le gravidanze indesiderate e quindi gli aborti, e cioè informazione ed educazione alla contraccezione. Occorre contrastare apertamente l’obiezione in quanto tale, oggi non più giustificabile perché oggi - a differenza che nel passato - i medici ben sanno che l’interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge e che rientra quindi nelle responsabilità professionali. Chi ha problemi di coscienza deve ormai capire che si può scegliere altro, che fare il medico non è un obbligo e tanto meno il ginecologo.
 
Non bisogna prestare alcuna sponda a chi si attarda a difendere il principio dell’obiezione, magari paragonandola alla ben più nobile obiezione di coscienza dei soldati, quando la leva era obbligatoria, che si rifiutavano di “servire la Patria” e per questo ne pagavano pesantemente il prezzo. L’obiezione alla 194 non ha nulla di quell’orizzonte etico, perché nessuno qui paga un prezzo, anzi semmai lucra un guadagno in termini di carriera. E poi non c’è nessun obbligo all’azione individuale (come quello di usare le armi), nessun “obbligo ad abortire” perché si tratta del rifiuto di “far abortire”.
 
Questa obiezione non solo non è nobile, ma è pericolosa. L’obiezione contro l’aborto si fonda infatti sul riconoscimento di valori etico- religiosi, “non negoziabili”, che costituiscono un prius che trascina la richiesta di legislazioni confessionali. L’attacco alla legge 194 diventa così la madre di tutte le battaglie fondamentaliste, che chiedono alla politica di legiferare rispettando non più i principi costituzionali ma appunto i principi non negoziabili.
 
Mentre la storica sentenza della Corte Costituzionale del 197 - anticipando e aprendo la strada alla legalizzazione dell’aborto - aveva affermato che l’interesse della salute della madre deve prevalere su quello della salute del feto (poiché lei è già persona mentre il feto è solo persona potenziale) e aveva riconosciuto che quel diritto alla salute non può essere disatteso, nel 2004 la legge 40 sulla procreazione assistita introduce all’articolo 1 per la prima volta - in nome di quei valori etico confessionali - la sacralità dell’embrione, considerato “uno di noi”, soggetto di diritti equiparati a quelli della madre.
 
E’ questo un passaggio pericolosissimo che rappresenta un vero vulnus costituzionale, che mette in discussione la laicità dello Stato e con essa lo stesso articolo 3 della Costituzione. Se infatti esiste un prius ordinatore etico confessionale, si distorce il principio di eguaglianza, non siamo più tutti uguali. Domina la gerarchia dei valori confessionali, che trascina un ordine sociale autoritario, discriminatorio, che indirizza le finalità delle politiche pubbliche verso modelli sociali di inclusione e di esclusione, verso un'idea persino di cittadinanza ristretta, fondata su identità ed appartenenze confessionali.
 
Dietro la legge confessionale c'è un ordine sociale fondato su principi di tipo confessionale: il bene e il male, il giusto e l'errato. Ma chi stabilisce dove arriva la normalità, il bene e il male? Quando ci sono leggi confessionali si aprono nuove e modernissime diseguaglianze. E a pagarne il prezzo per prime saranno certamente le donne, la loro libertà. Torna infatti la cultura della colpa, la criminalizzazione e lo stigma contro le donne che abortiscono, la paura verso la loro libertà. Ritorna il vento del patriarcato, che cancella conquiste, cultura, esperienze, memoria.
 
Questo vento sta soffiando purtroppo sempre più forte. Se da una parte il senatore Pillon, eletto con la Lega, può tranquillamente rivendicare che “il vero diritto della donna è quello di crescere il figlio che porta in grembo non quello di abortirlo”, dall’altra la consigliera 5 Stelle Guerrini liquida con una mozione in Aula Giulio Cesare in Campidoglio l’esperienza politica della Casa Internazionale delle donne, rimuovendo il pensiero, i principi, i valori, le pratiche del femminismo.
 
Ma la storia continua: in tutto il mondo le donne si mobilitano, dall’Argentina alla Polonia, dagli Stati Uniti all’Irlanda e naturalmente anche in Italia, per chiedere la legalizzazione dell’aborto ma anche molto di più, sapendo che ognuno nasce da un corpo di donna, se lei lo vuole. Senza il riconoscimento della libertà e dei diritti delle donne, non c’è cambiamento, c’è solo modernismo restauratore. Il 1978 è davvero lontano, troppo lontano. E per la 194, questo non è davvero un bell’anniversario.
 
Maura Cossutta 

25 maggio 2018
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