22 APR - Gentile Direttore,
ho letto le affermazioni che l’Associazione Luca Coscioni insieme ad altri hanno fatto sulle asserite bugie dell’Associazione Pro Vita, sui rischi e sui danni che l’aborto volontario può causare alla salute delle donne. Premetto che opero come ginecologo da quasi 40 anni e quindi ho elementi esperienziali diretti sul vissuto fisico e psicologico di donne che hanno scelto l’interruzione volontaria di gravidanza e di donne, di coppie che hanno avuto aborti spontanei ripetuti (più di 500 coppie).
Il supporto psicoterapeutico, dopo aborti spontanei, aumenta il successo con figlio in braccio nelle successive gravidanze dal 32% al 72%. (Noia et al - Restoring gestational capacity in women with recurrent spontaneous miscarriages after clinical psychotherapy treatment - International Journal of Gynecology and Obstetrics (2009).
Per quanto riguarda il primo aspetto (complicazioni fisiche) constato che Gallo, Parachini e Pompili ammettano che anche l’aborto, come qualsiasi procedura medica e chirurgica, sia gravata da possibili complicazioni. Però sarebbe opportuno che alla donna che va a chiedere di abortire, oltre a parlarle in maniera generica di complicanze, qualcuno spiegasse loro queste complicanze, cui possono andare incontro, a partire da quelle più comuni a quelle più rare (la morte), come avviene sul bugiardino di qualsiasi farmaco acquistato in farmacia. E come ProVita ha fatto nel libretto.
Inoltre, nella relazione del 2015 (relativa ai dati del 2013) il Ministro della Salute scrive: “Dal 2013 il modello D12/Istat...Tuttavia, molte Regioni non hanno ancora aggiornato i loro sistemi di raccolta dati per poter riportare l’informazione in maniera completa e non è quindi possibile analizzare i risultati. Si raccomanda le Regioni di procedere alle modifiche necessarie nel più breve tempo possibile”.
Questa stessa frase si ritrova anche nell’anno 2017 (4 anni dopo) per cui si può desumere che i numeri dei dati relativi alle complicazioni siano effettivamente sottostimati.
Tuttavia se assumiamo per l’anno 2014 la prevalenza di 7.4 per 1.000 IVG moltiplicando il numero delle complicazioni per il numero totale degli aborti volontari per quell’anno, otteniamo la cifra considerevole di 721 pazienti con complicazioni da aborto volontario. Sarebbe quindi importante, per la piena consapevolezza della donna, riportare e informarla di questi dati.
Sul piano della capacità gestazionale, la rivista Human Reproduction nel 2012, riferisce che le donne con 3 o più aborti precedenti avevano probabilità 3 volte più alta di partorire un bambino prematuro. Per quanto riguarda le complicazioni relative alla mortalità materna, il Ministero della Salute afferma anche: “Si ricorda che purtroppo l’interruzione volontaria di gravidanza, come tutti gli interventi sanitari e il parto, non è esente da rischio di complicanze, fino al possibile decesso”. (Vedi relazione Ministero Salute, dati 2016 a pag. 44). Ora, visto che anche il Ministero della Salute ammette che l’aborto può provocare il decesso della donna, sarebbe opportuno che questa informazione non sia negata alla donna che chiede di abortire. Vediamo qualche cifra della mortalità materna legata all’aborto volontario nel mondo.
Secondo i dati del World Abortion Policies del 2011, delle Nazioni Unite, nei Paesi dove la legislazione dell’aborto è più restrittiva vi sono prevalenze di mortalità materne molto basse (Mauritius 15 morti su 100.000, Cile 16 morti per 100.000 aborti) mentre nei Paesi dove la legislazione è più liberale (Sud Africa 400 morti su 100.00, Nepal 830 su 100.000) le cifre di mortalità materne legate all’aborto sono molto alte. Per l’aborto farmacologico, poi, il numero delle morti da RU486 segnalate raggiunge la cifra di 27 come hanno pubblicato diversi autori tra cui Khoo et al Journal of Obstetrics and Gynaecology (2013).
Credo che ce ne sia abbastanza per affermare l’obbligo di informazione.
Sul secondo punto (rapporto aborto/maggior prevalenza di tumore al seno) è vero che c’è una certa letteratura che nega questa correlazione ma, è anche vero che ne esiste un’altra abbondante che conferma che la gravidanza a termine protegge dall’incidenza dei tumori al seno. Un lavoro recente pubblicato su Cancer Causes and Control (2013) evidenza che l’aborto indotto è significativamente associato al rischio di cancro al seno. In particolare: un aborto indotto aumenta il rischio di cancro al seno del 44%, due aborti del 76% e tre aborti dell’89%.La popolazione cinese è particolarmente adatta a queste meta analisi sia per l’enorme prevalenza di aborto volontario, sia per la numerosità della popolazione studiata (A meta-analysis of the association between induced abortion and breast cancer risk among Chinese females. Huang Y et Al. Cancer Causes & Control, 2013).
Gli studi della Lanfranchi sulla suscettibilità delle mammelle a istotipo 3 e 4 che maturano dopo 32 settimane in forme protettive dal cancro al seno, sono dati accettati da moltissimi ricercatori e, trovano fondamento scientifico nell’evoluzione istologica e funzionale delle cellule mammarie durante la gravidanza; anzi, aver avuto gravidanze a termine, fa parte dei punteggi di protezione insieme all’allattamento e il menarca dopo 10 anni. Joel Brind, professore di biologia e endocrinologia al Baruch College di New York e co-fondatore del Breast Cancer Prevention Institute, ha evidenziato sul Journal of Epidemiol Community Health una «probabilità del 30% in più di sviluppare cancro al seno» per le donne che hanno avuto aborti indotti.
Il terzo aspetto, che riguarda l’aborto volontario e la salute mentale delle donne ha bisogno di una piccola premessa. Non c’è peggior servizio all’umanità, qualunque sia la fede di appartenenza, o il suo credo politico, o la sua visione filosofica e antropologica di quella pseudo-cultura scientifica che, per far prevalere la sua convinzione, cerca di silenziare e di sminuire l’importanza di tutto il patrimonio di conoscenza sulla verità della persona umana, sull’essere umano, unico e irripetibile che è ciascuno di noi. Ognuno di noi è stato un embrione e la scienza vera, veramente libera da influenze di lobbies e convinzioni anti umane lo ha sancito da molto tempo.
Allora bisognerebbe chiedersi: come è possibile che tutta questa dimensione simbiotica (il feto è addirittura medico della madre!), quando viene interrotta, possa non comportare conseguenze sul piano psicologico e fisico? Noi tutti soffriamo quando perdiamo una persona cara, fisicamente e psicologicamente: come è possibile che non si soffra quando si perde un figlio? Noi tutti sappiamo quanta solitudine del cuore abbiamo, quanta tristezza si verifica dopo un lutto. E perché la natura umana dovrebbe fare un distinguo in base ai centimetri e ai grammi del figlio che si perde? Infatti, la natura non fa questa distinzione: il tempo di elaborare la perdita di un embrione al 2° mese è sovrapponibile al tempo di elaborare la perdita di un uomo adulto. (Noia et al - International Journal of Gynecology and Obstetrics (2009).
Diventa, quindi, poco credibile affermare che la perdita di un figlio, qualunque siano le sue dimensioni sia irrilevante per la salute della donna, soprattutto se questo evento non avviene naturalmente ma come una precisa scelta volontaria della madre verso il figlio. Affermare che, sulla base di studi datati e controversi, non ci siano problematiche sulla salute psicologica delle donne, dopo un aborto volontario, è quanto di più anti scientifico si possa dire. A tal proposito elenco alcuni recentissime pubblicazioni (delle 50 selezionate) che riconoscono questa problematica di forte impatto sulla salute mentale della donna:
• Curley M & Johnston C (2013), The characteristics and severity of psychological distress after abortion among university students, Journal of Behavioral Health Services & Research 40(3):279-293.
• Olsson CA, Horwill E, Moore E, Eisenberg ME, Venn A et al. (2013), Social and emotional adjustment following early pregnancy in young Australian women: a comparison of those who terminate, miscarry, or complete pregnancy, J Adolesc Health 54(6):698-703.
• Sullins DP (2016), Abortion, substance abuse and mental health in early adulthood: Thirteen-year longitudinal evidence from the United States, SAGE Open Med 4:1-11.
Infine in una revisione meta analitica, il Dr Greg Pike, (Founding Director of Adelaide Centre for Bioethics and Culture, Australia, ABORTION AND WOMEN’S HEALTH An evidence-based review for medical professionals of the impact of abortion on women’s physical and mental health, April 2017) concludeva che le donne hanno diritto di essere informate di tutti i rischi associati all’aborto volontario e gli operatori sanitari hanno l’obbligo di fornire tutte le informazioni rilevanti.
In conclusione, prima di affermare che Pro Vita ha riportato dati non scientifici, bisognerebbe essere più prudenti e prima di dare del bugiardo a tantissimi gruppi nel mondo di eminenti scienziati (Pro Vita ha riportato quello che questi ricercatori hanno pubblicato), bisognerebbe essere più rispettosi e onesti intellettualmente. La scienza è veramente libera quando è vera e se vuole fare un servizio alle donne le deve informare per prevenire i danni fisici e psicologici. La salute delle donne è un bene prezioso da salvaguardare così come la capacità di procreare ma, espropriare le donne della verità di informazione equivale a rubare la loro salute, il loro corpo e il loro futuro, e soprattutto la loro dignità. Rubare beni materiali è grave ma, rubare l’anima a la dignità di una persona è un delitto contro l’umanità, tutta l’umanità.
Giuseppe Noia
Direttore Hospice Perinatale - Centro per le Cure Palliative Prenatali Policlinico Gemelli, Roma
Presidente AIGOC (Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici)
22 aprile 2018
© Riproduzione riservata