02 OTT - Due persone che stimo e sulla cui vocazione progressista non ho dubbio alcuno (Nerina Dirindin e Luigi Manconi) hanno presentato un ddl “Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all'attuazione e allo sviluppo dei princìpi di cui alla legge 13 maggio 1978, n. 180”. (D’ora in avanti 180 bis). Dietro di loro un mucchio di gente che per competenza passione e storia rappresentano in questo campo il meglio che c’è.
Siamo di fronte, a quello che Locke chiama “argomento ad auctoritatem”, (l’autorità che sostiene una tesi è costituita da un grande numero di persone), da intimidire l’analista, ponendolo di fronte praticamente alla “verità in terra” cioè all’indiscutibile.
Ma cosa vuol dire oggi ri-presentare una legge per attuarla sviluppando i suoi principi, tale e quale, di 40 anni fa, 40 anni dopo?
Attuazione e applicazione
Prima di provare a rispondere vorrei chiarire i concetti in gioco: attuazione, applicazione:
· l’attuazione di una legge è una questione di realizzazione e di concretizzazione di una norma quindi un lavoro di traduzione e trasformazione della norma in realtà,
· l’applicazione di una legge è la messa in opera della sua attuazione quindi ha a che fare con l’impegno, con i mezzi che servono, con le volontà, con le condizioni di contesto.
L’ideale da cui parte una norma, in genere, è la “magia” cioè la sua auto-esplicazione vale a dire la sua attuazione automatica (basta scrivere dipartimento per fare il dipartimento). Ma nella maggior parte dei casi l’attuazione è negata dalle invarianze che nella realtà impediscono alla norma di esplicarsi impedendo quei cambiamenti, senza i quali, essa resterebbe, nei casi migliori, una petizione di principio.
Il dipartimento è una idea di lavoro integrato quindi una concezione del lavoro anti tayloristica ma esso in genere è attuato a taylorismo invariante quindi attuato in modo difforme dai suoi principi e di conseguenza attuato in modo contraddittorio.
Prima di tutto quindi vi è un problema di attuazione non di applicazione.
La 180 bis dice di voler “attuare” la 180 per “svilupparne i principi”, ma per fare questo dovrebbe non essere una 180 bis ma una 180 altra, cioè risolvere tutto quanto ha ostacolato la sua attuazione quindi riformare ciò che ancora non è stato riformato. Inoltre a me pare che la 180 bis non ponga problemi di attuazione ma solo di applicazione ma riducendoli sostanzialmente al condizionale finanziario (art. 17 sulla riserva finanziaria del 5%).
Paradossalmente per la 180 bis la legge 180 è attuata ma siccome non è finanziata come meriterebbe non è applicata.
Siamo sicuri che è proprio così?
Disconferma edisapplicazione
Ancora un paio di concetti da chiarire: disconferma e disapplicazione:
· con la prima intendo qualcosa di molto simile ad una negazione che ha l’effetto di annullare un progetto,
· con la seconda intendo l’incompiutezza di un progetto che tuttavia sopravvive in qualche modo ma non è formalmente disconfermato.
Una legge non è attuata, o è attuata in parte, o attuata male non in ragione delle sue disapplicazioni ma in prima misura in ragione delle sue disconferme le quali in genere sono tutte riconducibili a mancati cambiamenti o innovazioni quindi alle invarianze con le quali la legge finisce con lo scontrarsi.
Per esempio la legge sui consultori per me prima di essere inapplicata è inattuata perché i suoi principi non hanno dato luogo a quell’evoluzione organizzativa di cui avevano bisogno per esplicarsi.
La disconferma sta alla attuazione come la disapplicazione sta alla sua applicazione.
Ho il sospetto che per la 180 vi siano tanto problemi di disconferma quanto problemi di disapplicazione. La formazione degli operatori, le ambiguità tayloristiche del dipartimento, il persistere della logica ambulatoriale, l’idea del servizio come struttura, vecchie forme di gerarchia, la non ridefinizione delle professioni, fraintesi concetti di territorio, di integrazione ecc. sono tutti problemi di dis-conferma.
Distinguere disapplicazioni da dis-conferme ha un effetto doloroso quasi insopportabile: mentre le prime sono addebitabili alle nostre controparti le seconde ci riguardano cioè chiamano in causa istituzioni(naturalmente) ma anche società scientifiche, sindacati, operatori, università vale a dire quel sistema per definizione invariante che si chiama “senso comune”.
Credo che per risolvere i gravi problemi, tanto di attuazione che di applicazione, della legge 180, si debba trascendere il senso comune, cioè andare oltre i suoi plafond cognitivi sotto i quali in questi anni siamo andati a cercare le soluzioni.
Il rischio dell’enclave
La legge 180 come la 405 e la 194 (consultori e ivg) sono nate in forma autonoma quali espressione di grandi movimenti sociali volti a declinare la questione salute in termini di emancipazione. Queste leggi, come tutti sanno, successivamente sono state incorporate nella grande riforma del 1978 e quindi nelle riforme successive.
La stessa cosa è avvenuta con la riforma ospedaliera del 1968 e questo spiega l’incredibile irriformabilità dell’ospedale. E’ l’ospedale che ha imposto le sue condizioni alla riforma non il contrario.
La riforma del ‘78 è stata un gigantesco processo di incorporazione e sui suoi significati il discorso sarebbe lungo e complesso, resta il fatto che la 180 da sistema concettuale autonomo diventa un sottosistema concettuale dentro un sistema più grande.
La 180, nel momento in cui, diventa servizio tra i servizi è sottoposta a due vincoli:
· finisce per essere regolata da quel meccanismo che i sistemici chiamano “retroazione” (feedback ) e che serve a regolare i rapporti interni tra sottosistemi. Per esempio la ripartizione delle risorse ha finito per penalizzare i sottosistemi più deboli e quello della salute mentale, ma non solo, è uno di questi,
· perde la sua specificità vale a dire viene omologata ad una meta-normativa giuridica contrattuale organizzativa gestionale, che, per ovvie ragioni vale a scala di meta-sistema.
Ciò detto, a me pare, che il senso politico, non dichiarato, della 180 bis, quindi implicito, alla fine sia quello di ridare autonomia normativa e finanziaria alla salute mentale, con lo scopo di sottrarla prima di tutto alle retroazioni finanziarie del grande sistema e risolvere così tutti i problemi di inapplicazione.
La scelta dello scorporo normativo e finanziario, che di fatto ci propone la 180 bis, non è criticabile in quanto tale, perché in una situazione di sfascio generale non si può condannare chi cerca di salvare la pelle. Tuttavia pone grossi problemi strategici sui quali propongo che si rifletta di più.
Per esempio esso significa che la strategia sottointesa nella 180 bis, diventa il “si salvi chi può” e che rispetto ai gravi problemi sulla sostenibilità si accetta il conflitto tra settori e servizi. Ma a parte ciò lo scorporo implica che si accetti la logica della distinzione, della separazione, delle specificità cioè del settore speciale, fino a considerare la salute mentale un enclave da proteggere.
La 180 nasce come una legge contro l’idea di enclave quindi per abbattere certe distinzioni sociali, per annullare le separazioni e per de-stigmatizzare le specificità. Fare un enclave per combattere l’enclave merita un supplemento di riflessione.
La sfida della sostenibilità
La misura di garantire una percentuale di spesa ad un qualsiasi settore a partire dalla salute mentale, non è mai stata rispettata e in alcuni casi, come la prevenzione primaria, clamorosamente disattesa. In regime di de-finanziamento per le aziende sanitarie è quasi impossibile rispettarla.
Ma a parte la dubbia plausibilità della soluzione proposta la sua debolezza è che in questo modo si pensa di risolvere la questione della sostenibilità con la classica scorciatoia. Con la sostenibilità, secondo me, anche la salute mentale deve fare i conti ma non eludendo le sue sfide con soluzioni tutto sommato protettive come la riserva del 5% ma riformando ciò che ancora non è stato riformato con lo scopo di rendere a un tempo il sistema meno diseconomico sia sul piano sociale che finanziario e più produttivo di salute mentale.
Al concetto distruttivo di sostenibilità del governo, tutto dentro l’idea di compatibilità (la salute mentale deve adattarsi al limite economico) dovrebbe subentrare un’altra idea di sostenibilità ispirata da una nuova logica che da tempo chiamo della compossibilità (la salute mentale è possibile se non ha contraddizioni con i limiti economici, con la domanda sociale, con le sue organizzazioni, con i suoi modi organizzativi, ecc.).
Propongo due cose:
· occuparci per quello che è possibile delle diseconomie che si accompagnano alle contraddizioni che esistono tra quello che è la salute mentale e quello che dovrebbe essere (le disconferme sono antieconomiche),
· produrre salute mentale come ricchezza sociale, quindi non solo salute come dice la 180 bis, ma anche sicurezza, anche convivenza, anche benessere sociale, ovviamente mantenendo la nostra contrarietà storica al custodialismo, alla riduzione del disagio mentale a pericolosità sociale, ecc.
Vorrei fare due esempi:
· secondo me il dipartimento di salute mentale, per come è stato mediamente declinato nella realtà, (quindi salvo eccezioni) oggi costa x cioè ha tutte le diseconomie delle contraddizioni tipiche tra ideale dell’integrazione e realtà della divisione del lavoro, tra struttura e funzione, se tali contraddizioni si riuscisse a rimuoverle quindi risolvendo il problema della disconferme, esso potrebbe costare y e quindi essere finanziato in modo adeguato sia perché costa meno sia perché produce più ricchezza sociale,
· abbiamo il problema del femminicidio dietro il quale vi è molta della patologia di cui si occupa ordinariamente la salute mentale, mi chiedo perché non ci proponiamo come servizio anche per la prevenzione del femminicidio e quindi per la sicurezza sociale? Cioè se tra società e economia abbiamo bisogno di soldi e per avere i soldi di ri-leggittimarci, perché non allarghiamo il campo del nostro intervento diventando ancora più necessari di quello che siamo?
Riforma altra
Di recente ho pubblicato un e book gratuito con questo giornale che si chiama “La quarta riforma”.
Dopo aver esaminato l’esito delle tre riforme che abbiamo fino ad ora, sono arrivato alla conclusione che, oggi, nelle condizioni avverse date, se volessimo davvero salvare la baracca dovremmo fare una “quarta riforma”.
Dalla mia analisi emergono tre questioni importanti:
· molto più dei problemi, pur pesantissimi, di applicazione dovuti non solo ai condizionamenti finanziari, pesano in larga misura, soprattutto nel lungo periodo, quelli di attuazione e di disconferma dovuti a mutamenti sociali e economici importanti, che non siamo riusciti a fronteggiare con opportuni cambiamenti quindi dovuti a ingombranti invarianze culturali,
· i problemi di attuazione e di disconferma facilitano la disapplicazione (non il contrario) dal momento che il persistere delle invarianze crea insoddisfazione sociale e l’insoddisfazione sociale delegittimazione politica,
· molti problemi di attuazione e di disconferma nascono anche da scelte riformatrici sbagliate (aziende, titolo V, accorpamenti, riordini, piani di rientro, ecc.) e comunque da un pensiero riformatore debole che prigioniero della teoria della manutenzione, continua a rimbiancare la casa ma solo per appigionarla meglio. Non si fa mai il discorso sui nostri errori.
Ho l’impressione che il ragionamento, che mi ha portato alla “quarta riforma” valga, tale e quale, per la salute mentale.
Questo vuol dire che se oggi, per finta, immaginassimo di applicare alla lettera la 180 bis compreso la riserva del 5%, ma senza fare i conti con i problemi di attuazione e di disconferma della 180, malgrado le nostre buone intenzioni, non cambieremmo di molto la situazione. Perché?
La questione della regressività
La risposta secondo me sta tutta dentro una parola: regressività.
Questo termine, da me, è usato in senso epistemologico quindi rispetto allo stato delle nostre teorie, le quali leggendo la 180 bis, non tanto tornano indietro ma, mentre tutto cambia, restano ferme. Sono bis.
La 180 bis ha una natura regressiva non perché torna al manicomio (ci mancherebbe altro e lo dimostra il superamento dell’opg) ma perché le sue teorie restano invarianti limitandosi a difendere con ipotesi protettive quello che, con Lakatos, potremmo chiamare il nucleo teoretico della 180.
Siccome è del tutto ragionevole proteggere, in qualche modo, le proprie teorie, si ha regressività quando al moltiplicarsi di ipotesi protettive non si hanno fatti nuovi cioè non c’è evoluzione quindi si continua a pestare sempre la solita acqua nel solito mortaio. Oggi alle generazioni post basagliane questa situazione va molto stretta.
La regressività anche per la salute mentale non riguarda gli ideali, i principi, i valori, ma principalmente i modelli dei servizi, le prassi, le metodologie. Essa, non è altro che la “nostra” difficoltà a rispondere con l‘auto-cambiamento a tutte le sfide del nostro tempo (economia compresa). Oltre la regressività c’è il de-finanziamento.
Mi sono persuaso che la regressività della sanità in generale sia la base principale per la sua delegittimazione finanziaria. Affossare una sanità progressiva per qualsiasi governo sarebbe rischioso e difficile perché essa godrebbe di una forte legittimazione sociale.
Oggi la sanità è de-finanziabile non solo perché ha politiche economiche avverse ma perché essa è tendenzialmente un sistema regrediente che alla fine non ha accettato fino in fondo la sfida riformatrice. Se non fosse regrediente non sarebbe privatizzabile.
Le domande che pongo sono: rispetto ai problemi di attuazione, di non applicazione, di regressività, la 180 bis è un atto neo-riformatore o neo conservatore? Di cosa abbiamo bisogno oggi di una 180 bis o di una riforma altra?
Una contraddizione grande come una casa
Prima di scrivere questo articolo mi sono andato a leggere alcune cose tra le quali:
· la lettera manifesto della Siep (Società italiana di epidemiologia psichiatrica),
· lo studio fatto da F.Starace, F.Baccari, F.Mungai (La salute mentale in Italia, analisi delle strutture e delle attività dei dipartimenti di salute mentale 2017).
Con la prima mi è esplosa in faccia una contraddizione mostruosa: il malessere mentale ormai in questa società ha la natura di una epidemia, ma lo Stato (che impone vaccini obbligatori giustificandoli con epidemie inesistenti) si comporta come un untore cioè abbassa le difese, smantella servizi, taglia sugli operatori, i quali, rispetto all’epidemia di malessere mentale, restano i soli veri ed unici “vaccini” possibili.
La seconda è in realtà una disamina della grave carenze e incongruenze dell’offerta pubblica di salute mentale. Certo le diseguaglianze, certo gli squilibri, ma soprattutto i servizi di salute mentale sono in liquidazione o comunque ridotti allo stremo senza una contro-prospettiva di ripresa.
Penso che:
· su questa mostruosa contraddizione si debba riprendere un lavoro di denuncia sociale in modo che il governo si assuma le sue responsabilità (rammento che siamo in una campagna elettorale),
· la 180 bis pur denunciando puntualmente i problemi di non applicazione non colga né la contraddizione né la sua drammaticità (oggi secondo me siamo oltre la semplice disapplicazione della 180), ma soprattutto offre un alibi al governo (è vero, le cose vanno male ma abbiamo presentato un ddl).
Personalmente penso che alla prospettiva di declino che ci impone il governo si debba rispondere con una contro-prospettiva di rinascita che lo metta alle strette e che ne misuri la reale volontà politica dicendo a chiare lettere che:
· la situazione è grave,
· si è chiuso un ciclo e se ne riapre un altro,
· i maitre a pensér non ci sono.
Tutto ciò non sarebbe necessariamente un problema se investissimo sulle nuove generazioni, sul pensare insieme, sullo studiare insieme, sul rinnovamento del pensiero..
Secondo me nella pancia della 180 c’è un tale potenziale riformatore che aspetta solo di essere estratto e che si può tirare fuori alleandoci con le nuove generazioni ma impegnandole in una nuova impresa riformatrice.
Costoro vivono la 180 diversamente da come la viviamo noi che l’abbiamo conquistata. A loro diciamo da anni, che tutto quello che si poteva scrivere è stato scritto e che non c’è null’altro da aggiungere e che bisogna solo attuare e applicare.
A parte che non è vero (e meno male) ma come possiamo pensare di difendere la 180 legando le menti dei giovani alle nostre regressività? Una riforma come la nostra per essere attuata ha bisogno di tempo e quindi di più generazioni e ognuna di queste deve fare la sua parte cercando di andare oltre i limiti di coloro che sono venuti prima.
La 180 bis dice ai giovani che chi l’ha scritta non ha limiti e che loro non devono pensare la 180 ma solo applicarla e che così sarà per sempre.
Molti padri della 180 hanno il timore che riaprire i giochi presti il fianco ad un pensiero contro-riformatore. Non credo che oggi questo rischio sia reale. Anni fa era diverso. Ma oggi le cose sono cambiate. La legge con tutte le sue magagne ha messo radici e all’epidemia del disagio mentale bisogna pur rispondere.
Una “riforma altra” per me significa sostanzialmente una operazione di ri-contestualizzazione. Se il significato di base del nucleo teorico della 180 dipende anche dal suo significato contestuale cioè dal significato che gli deriva, suo malgrado, dal contesto cioè dall’evoluzione del disagio mentale e se nel tempo questo cambia i suoi significati contestuali allora è necessario ricontestualizzare il nucleo teorico della 180 per evitare il problema della regressività e quelli della disconferma. Ciò non indebolisce la 180 ma la rinforza.
Ringraziamenti
A Nerina Dirindin e a Luigi Manconi vorrei rinnovare la mia stima e ringraziarli per la loro generosità e disponibilità. Essi hanno risposto ad un grido di dolore cioè ad una comunità professionale molto preoccupata per le sorti della salute mentale e facendo ciò di fatto hanno riaperto la discussione.
Voglio ringraziare anche tutti coloro che hanno aiutato i nostri senatori a scrivere il ddl i quali potrebbero non condividere le mie osservazioni ma che spero sappiano apprezzare le intenzioni che le hanno mosse.
A voi (proprio a voi) dico che se il pensiero è evolutivo è solo perché c’è un pensiero primario da cui partire. Questo pensiero non è mio ma è il vostro. A questo pensiero mi sono formato e questo pensiero ho usato. Oggi con la passione di sempre mi sono limitato a dare una mano semplicemente per farlo crescere.
Ivan Cavicchi
02 ottobre 2017
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