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Assemblea Farmindustria. A rischio altri 10mila posti di lavoro. Troppi tagli, serve svolta


Negli ultimi anni tagli per 11 miliardi a fronte di un ricavo industriale di 12 miliardi. Se continua così si perderanno altri 10 mila posti di lavoro. E stavolta saranno toccati ricerca e produzione. I problemi? Prezzi troppo bassi, pochi investimenti, lentezza nell'innovazione e nei pagamenti e poca protezione intellettuale.

04 LUG - L’analisi drammatica della situazione ha tenuto banco all’Assemblea pubblica della associazione delle imprese farmaceutiche operanti in Italia. Un’analisi che parte però da un dato apparentemente insignificante: 80 centesimi al giorno per cittadino, il costo di una tazzina di caffè.

E’ infatti questo il costo a carico dello Stato per l’assistenza farmaceutica pubblica procapite che in Italia equivale a circa 271 euro all'anno per cittadino, per un totale di 16,5 miliardi all’anno, nettamente al di sotto (-26%) della media dei grandi Paesi Ue, dove la spesa pro capite raggiunge mediamente i 390 euro l'anno. Una spesa inferiore – sottolinea Farmindustria - che dipende in primo luogo da livelli dei prezzi che in Italia sono tra i più bassi nei grandi Paesi europei.
 
E, secondo l’associazione sta proprio qui il nodo di una crisi del settore che non si è mai veramente risolta. Per Farmindustria, esiste, infatti, un “caso Italia” nel farmaceutico. “Se il Governo vuole crescita e occupazione - sottolineano gli industriali - deve puntare anche sul settore con politiche adeguate”.
 
“Basti pensare - aggiungono - che negli ultimi cinque anni le imprese hanno subito tagli per 11 miliardi complessivi a fronte di un ricavo industriale di 12 miliardi all’anno”. “Un trend che, se confermato - dicono allarmati - porterà nei prossimi 5 anni a una perdita di circa 10 mila posti di lavoro che si aggiungono ai 10 mila degli ultimi 5 (-13%)”. E se prima i tagli riguardavano per l’80% l’informazione scientifica adesso toccano i centri di ricerca e gli investimenti.
“Il settore è ormai ad un bivio - affermano gli industriali - e gli investitori esteri ne sono consapevoli. E parlano di delocalizzazione e di un’Italia dichiaratamente “no innovation”.
 
Per questo, dicono, “bisogna invertire la rotta con tempi certi di accesso ai farmaci innovativi che oggi raggiungono anche 500 giorni, penalizzando così i cittadini in attesa di cure – magari già disponibili in altre regioni – e gli investimenti delle stesse aziende farmaceutiche”.
Senza dimenticare la piaga dei pagamenti al rallentatore, con una media di oltre 250 giorni e punte di 700 e che si sono allungati ulteriormente negli ultimi due anni (+20%). Un fattore che certamente non aiuta a crescere e a restare sul mercato in modo competitivo.
 
E infine, ricordano in Farmindustria, in questa Assemblea ancora una volta coincidente con una manovra che sembra porterà altri tagli al settore, servono “regole stabili che garantiscano la programmazione e realizzazione dei piani industriali”.
Ma anche, questa la richiesta un po’ a sorpresa e in controtendenza rispetto all’attenzione crescente verso i generici, “un’effettiva tutela della proprietà intellettuale, senza la quale non può esserci innovazione, insieme al riconoscimento del valore del marchio anche dopo la scadenza del brevetto”.

04 luglio 2012
© Riproduzione riservata

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