Osteoporosi. Una piaga per 3,5 milioni di italiane. Ma solo 1 su 10 è curata correttamente
Il dato allarmante emerge da un’indagine O.N.Da che sottolinea come solo un'esigua minoranza di donne affette dalla malattia si senta seguita da un personale medico che non sottovaluta la patologia e che è capace di consigliare le terapie più innovative.
15 MAG - Sono solo il 10% delle donne italiane colpite da osteoporosi a sentirsi nelle mani giuste, seguite da un personale medico preparato ma soprattutto capace di rassicurarle. La notizia shock, arriva da un’indagine qualitativa svolta dall’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (O.N.Da) e presentata oggi a Milano. La ricerca, svolta su 3 focus group di donne colpite da osteoporosi di età compresa fra i 65-75 anni, riporta un quadro preoccupante: secondo le donne, che si sentono abbandonate nella malattia e poco seguite, l’osteoporosi è sottovalutata dal corpo medico. Per questo, nonostante esistano cure sempre migliori, sono frequenti i casi in cui le donne scelgono di interrompere o abbandonare la terapia, con pericolose ripercussioni sulla salute femminile.
Una situazione pericolosa considerando che la problematicariguarda il 25% delle donne di età superiore ai 40 anni, il 33% tra le over 60 ed il 66% sopra gli 80 anni, per un totale di circa 3 milioni e mezzo, e ha come principale conseguenza il rischio di frattura dagli elevati costi fisici, psicologici e sociali. Una condizione aggravata anche dal fatto che le donne si trovano senza un vero medico di riferimento: di famiglia, ginecologo, reumatologo, internista, geriatra, finiscono con l’intervenire solo in ‘seconda battuta’, dopo la diagnosi di altre condizioni legate all’età. Una malattia a due facce, inoltre, prima latente e asintomatica, poi traumatica. Una situazione da modificare, anche perché quando la gravità della patologia viene percepita troppo tardi, magari a seguito appunto di una frattura, nelle donne alla sensazione di debolezza fisica si affianca una fragilità psicologica, causata dalla sensazione di non poter essere più il punto di riferimento familiare, di non essere indipendenti e non ultimo dalle ripercussioni psicologiche del dolore.
Ecco perché, spiegano i medici, l’obiettivo dovrebbe essere identificare un percorso diagnostico più chiaro e univoco e garantire rimborsabilità ed accesso anche ai farmaci innovativi che vanno incontro alle reali necessità della paziente. Ma non solo. L’indagine esprime anche un altro disagio, collegato alla generale disattenzione da parte del medico di medicina generale a questa patologia. “Una informazione esaustiva e chiara. È questo il forte invito, emerso dalla ricerca, rivolto dalla donna alla classe medica al fine di una migliore conoscenza e approccio all’osteoporosi, malattia silenziosa che può progredire per diversi anni fino a quando viene confermata la diagnosi o finché non avviene una frattura”, ha spiegato
Maria Luisa Brandi, docente di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all'Università di Firenze. “Anche perché i numeri delle sole fratture di femore sono in salita: dalle stime infatti, emerge che entro il 2050 dagli attuali 1,6 milioni annui i casi saliranno a 5-6 milioni, con un raddoppio, solo in Italia, da 86 mila fratture di femore (2000) a circa 150 mila entro il 2020, a causa dell’alto indice di invecchiamento”.
Un dato chiaramente allarmante, anche in considerazione dell’‘effetto domino’ dell’osteoporosi che causa, a un anno dalla frattura di femore, la mortalità nel 20% dei pazienti, disabilità motoria nel 40% dei casi e un rischio di permanenza in strutture di lungo-degenza 6 volte maggiore. “Fondamentali sono dunque da un lato l’attenzione per la malattia nella prevenzione e nella prescrizione delle cure, che devono ridurre il rischio di frattura e di rifrattura, e dall’altro la motivazione del paziente al proseguimento delle cure, spesso interrotte o non adeguatamente seguite con un grave spreco economico”, ha continuato l’esperta. “Ecco perché la Società Italiana di Ortopedia e Medicina, sta svolgendo una importante azione ‘educazionale alla cura’ rivolta sia al paziente con frattura di fragilità, più sensibile e motivato al trattamento, sia al paziente in profilassi, meno percettivo all’importanza di un trattamento. Tuttavia, per ottenere una migliore adesione terapeutica occorrerebbe un più deciso supporto da parte del medico di medicina generale, unito all’applicazione della nota 79, estesa anche ai farmaci innovativi e a una fetta di popolazione più ampia, e alla rimborsabilità dei farmaci, per la maggior parte ancora a carico del paziente”.
Anche perché, come già detto, le donne non si sentono correttamente curate.“La percezione di insicurezza, emersa in maniera evidente dalla ricerca, è giustificata dal fatto che, per la diagnosi e il trattamento dell’osteoporosi, la donna non riesce a identificare con chiarezza lo specialista cui rivolgersi fin dalle iniziali manifestazioni della patologia”, ha spiegato
Sergio Ortolani, Presidente LIOS (Lega Italiana Osteoporosi). “La prima figura a cui si rivolgono è di norma l’ortopedico, che approccia la malattia più da un punto di vista chirurgico, come è nelle sue competenze, piuttosto che metabolico, come invece richiede la natura dell’osteoporosi. Dunque oggi il problema più importante non è rappresentato dalla diagnosi, disponiamo infatti di raffinate strumentazioni e test per l’identificazione del rischio e della sua entità, o dalla terapia che consente un’ampia scelta di farmaci ad azioni diverse ed alta tollerabilità, ma dalla continuità della cure a lungo termine da parte della donna”.
Il problema, dunque, è più strutturale. “Si tratta, questo, di un problema fortemente correlato alla figura dello specialista che ha il compito di fornire informazioni corrette con spiegazioni adeguate, infondendo nella paziente fiducia e rassicurazione, garanzia di una maggior costanza nella terapia secondo necessità”, ha continuato Ortolani. “Una stretta collaborazione tra medico di medicina generale, che per primo deve dedicare alla donna il tempo utile a farle comprendere le manifestazioni della malattia (ad esempio che i dolori sono correlati alle forme di artrosi più che all’osteoporosi e che non scompaiono con il trattamento, tanto meno se viene interrotto) e l’importanza della terapia per evitarne la precoce interruzione, e lo specialista costituisce la migliore sinergia per ottenere buoni risultati nel tempo e sul controllo della malattia”.
Da qui l’impegno, sottolineato dagli espertiin occasione della presentazione dei dati della ricerca, oltre che nell’identificazione di un percorso diagnostico, ma anche – a maggior ragione – a una maggiore attenzione da parte del medico di medicina generale alla patologia. “I dati emersi dalla ricerca invitano ad un più attento approccio all’osteoporosi, particolarmente mirato a quelle donne che per familiarità, per condizioni di eccessiva magrezza o perché in menopausa precoce possono essere maggiormente esposte allo sviluppo della malattia” ha dichiarato
Raffaella Michieli, Segretario Nazionale SIMG (Società Italiana di medicina Generale). “I problemi principali sono due: uno è l’identificazione delle donne a rischio da avviare agli accertamenti appropriati, tenendo conto che la tipologia genetica dell’osso incide per il 60% sulla probabilità di frattura stessa. Questo probabilmente eviterebbe casi di donne che lamentano l’insorgenza inaspettata di fratture. L’altro è l’appropriatezza della terapia: attualmente ci si sta sempre più orientando verso trattamenti ciclici, che grazie all’alternanza di più farmaci, assicurano alla donna non solo una azione terapeutica su più fronti, ma anche una maggiore prolungabilità nel tempo della terapia. Restano valide in tutti i casi l’attenzione ad uno stile di vita sano, con un adeguato apporto di vitamina D attraverso la dieta e l’esposizione al sole, all’attività fisica e a una riduzione dei lavori pesanti con l’avanzare dell’età”.
15 maggio 2012
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