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Vaccini. Consulta: “Sì a indennizzo per danneggiati da quello contro Epatite A”


La Corte costituzionale ha giudicato illegittima la legge 210/92 laddove non prevede l’indennizzo per chi è rimasto danneggiato. Il caso di una persona che in conseguenza del vaccino era risultata affetta da «lupus eritematoso sistemico». Il Ministero aveva fatto ricorso in quanto per legge il risarcimento spetta solo in caso di vaccinazione obbligatoria mentre quello per l’epatite A era raccomandato. Una tesi però smontata dalla Corte. LA SENTENZA

23 GIU - È illegittimo “l’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, da cui sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione contro il contagio dal virus dell’epatite A”. È quanto ha stabilito la Corte costituzionale.
 
Il caso è stato sollevato dalla Corte di cassazione che era stata chiamata a valutare il ricorso proposto dal Ministero della salute contro una sentenza della Corte d’appello di Lecce, che aveva disposto il versamento dell’indennità in questione a favore di A. O. a suo tempo sottoposta alla vaccinazione contro il virus dell’epatite A, e che, in conseguenza di ciò, è risultata affetta da «lupus eritematoso sistemico».
 
Il giudice di merito aveva considerato provata la sussistenza di un nesso causale tra somministrazione del vaccino e patologia successiva. Inoltre, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale che aveva esteso il diritto all’indennizzo in caso di conseguenze dannose derivanti da specifiche vaccinazioni non obbligatorie, ma incentivate dall’autorità sanitaria, ha ritenuto che tale diritto sussista anche con riferimento al vaccino somministrato nel caso di specie.
 
Nella sentenza impugnata si specificava come l’interessata avesse aderito ad una campagna di vaccinazione avviata nel 1997 ed estesa contro il contagio da epatite A, e fosse stata sottoposta a vaccinazione, nel 2003 e nel 2004, a seguito di una sua personale convocazione presso la sede dell’azienda sanitaria locale (ASL) territorialmente competente. Dunque, secondo l’impugnata sentenza della Corte di appello di Lecce, una interpretazione costituzionalmente orientata del comma 1 dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992 legittimerebbe, nel caso di specie, il riconoscimento del diritto all’indennizzo.
 
Il ricorso per cassazione del Ministero della salute si fondava sul vizio di violazione di legge, essendo l’indennizzo previsto per le sole vaccinazioni obbligatorie.
 
Una tesi però smontata dalla Corte costituzionale che ha evidenziato come “benché la tecnica della raccomandazione esprima maggiore attenzione all’autodeterminazione individuale (o, nel caso di minori, alla responsabilità dei genitori) e, quindi, al profilo soggettivo del diritto fondamentale alla salute, tutelato dal primo comma dell’art. 32 Cost., essa è pur sempre indirizzata allo scopo di ottenere la migliore salvaguardia della salute come interesse (anche) collettivo”.
 
Per questa ragione “ferma la differente impostazione delle due tecniche, quel che rileva è l’obiettivo essenziale che entrambe perseguono nella profilassi delle malattie infettive: ossia il comune scopo di garantire e tutelare la salute (anche) collettiva, attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale. In questa prospettiva, incentrata sulla salute quale interesse (anche) obiettivo della collettività, non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione: l’obbligatorietà del trattamento vaccinale è semplicemente uno degli strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione”.
 
E così “la ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede quindi nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale”.

23 giugno 2020
© Riproduzione riservata

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