Coronavirus. Fials a Governo e Regioni: “Migliaia di soldati in camice al fronte senza armi”
Il sindacato denuncia la carenza dispositivi di protezione individuali e il fatto che “sono negati riposi e congedi, non vi sono spazi idonei per la vestizione e svestizione per chi in contatto con contagiati o con sintomi di coronavirus con il rischio di diffondersi il contagio negli ospedali, non vi sono docce interne per disinfettarsi, tanta voglia di arrivare presto alla fine del turno ed iniziano ad avere PAURA di contagiarsi e di tornare a casa e contagiare i propri familiari e i propri figli”.
16 MAR - “Lo stanno già facendo e continueranno a farlo. Restano in corsia ben oltre l’orario contrattuale di lavoro subendo il peso dello stress continuo, riciclando la mascherina chirurgica e i guanti di giorno in giorno, mentre i dispositivi di protezione individuali sono terminati o mai arrivati o sono finiti o quelli pervenuti sono in tessuto sintetico e non possiedono i requisiti necessari per garantire l’adeguata protezione a chi opera nelle strutture direttamente dedicate alla cura del Covid-19, mentre sono negati riposi e congedi, non vi sono spazi idonei per la vestizione e svestizione per chi in contatto con contagiati o con sintomi di coronavirus con il rischio di diffondersi il contagio negli ospedali, non vi sono docce interne per disinfettarsi, tanta voglia di arrivare presto alla fine del turno ed iniziano ad avere PAURA di contagiarsi e di tornare a casa e contagiare i propri familiari e i propri figli”.
Così
Giuseppe Carbone, Segretario Generale della FIALS al Presidente del Consiglio dei Ministri,
Giuseppe Conte e alle Regioni in cui denuncia come “l’emergenza italiana provocata dal “Coronavirus” sta mandando quotidianamente migliaia di soldati in camice bianco al fronte, in corsia e senza armi di difesa a combattere il nuovo virus chiedendo di fare i miracoli”.
“Con forza d’animo – si legge - , ci appelliamo a Lei Presidente Conte, al suo Governo, alle Regioni, alla Protezione Civile affinché anche per la piena attuazione del “Protocollo d’intesa tra le parti sociali”, per limitare il contagio nei luoghi di lavoro, mettiate in atto tutti gli strumenti per distribuire subito i dispositivi adeguati, si provveda ai tamponi per tutti gli operatori che vengano a contatto con casi sospetti da coronavirus, si incentivino, da subito, forme differenti, rispetto alle attuali, per le nuove assunzioni di personale, si assicuri un ristoro almeno economico a tutti questi professionisti con l’istituzione di un’indennità “da coronavirus” mensile stipendiale per le loro condizioni massacranti di lavoro, oltre alla convocazione del tavolo previsto dall’articolo 13 del d.l. n. 14 del 2020 al fine di giungere ad una rapida definizione dell’accordo quadro ivi previsto”.
“Con il viso segnato e scavato da una mascherina che pressa in 12 ore di lavoro continuo ed estenuante – denuncia Carbone - in molti si sentono in burnout, abbandonati da un sistema che fino ad oggi li ha sfruttati oltre i limiti, facendoli lavorare costantemente in carenza di organico, un sistema che sta negando persino la possibilità di un tampone di controllo a chi asintomatico lavora ed è stato a contatto con pazienti contagiati o potenzialmente contagiati. Sono tanti i messaggi struggenti degli operatori della sanità pubblica e privata che denunciano la carenza o la totale assenza di DPI che possano permettere la loro protezione ed evitare situazioni di contagio tra loro e garantire la sicurezza ai pazienti che altrimenti troverebbero proprio in chi li cura e li assiste una fonte probabile di contagio”.
“Tanta la rabbia originata nei professionisti per nel recente decreto che prevede la sospensione dal lavoro solo in caso di sintomaticità manifesta o di positività acclarata – rimarca - . E’ cosa che reputiamo sbagliata e che deve essere corretta, perché rischia di alimentare la diffusione del virus e diminuire a breve termine il contingente di personale. Sono grida allarmanti, non bastano più i ringraziamenti ma rispetto verso tutti gli operatori della sanita. Senza questo rispetto, i rappresentati istituzionali abbiano il senso del dovere di stare in silenzio e di non proferire più la parola grazie perché risulterebbe solo un’offesa alla dignità di ciascun professionista”.
“Rispetto – incalza il sindacalista - è fornire adeguati DPI a tutto il personale sanitario e a tutti quei lavoratori e prestatori d'opera che non possono rispettare le distanze previste dalle disposizioni. Rispetto è fare il tampone agli operatori che hanno avuto contatto occasionali anche se asintomatici. Il numero dei professionisti della salute contagiati sta diventando significativo, circa 2mila, il 10% dei cittadini contagiati, e tale grave situazione non può che compromettere l’efficacia dell’assistenza sanitaria in tutte le regioni. Rispetto è riconoscere la “quarantena” come “infortunio sul lavoro” e non come semplice malattia. Rispetto è nuove assunzioni di personale per affrontare l’emergenza coronavirus, diversamente l’effetto nella sanità sarà devastante. Necessitano che i rapporti di lavoro siano almeno di un anno, prorogabili e con agevolazioni prioritarie per assunzioni a tempo indeterminato o la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato con la determinazione del nuovo fabbisogno del personale come previsto dall’art. 3 del d.l. n. 14/2020”.
E ancora: “Rispetto è prorogare tutti i rapporti di lavoro in scadenza degli operatori, per il personale del comparto della sanità pubblica, anche ulteriormente ai 12 mesi successivi ai primi 36 mesi ed anche la possibilità di “una norma legislativa speciale” per il passaggio a tempo indeterminato. Rispetto è prevedere incentivi economici per il personale della sanità con l’istituzione dell’indennità da Coronavirus mensile e stabile e NON, invece, incentivare il lavoro straordinario perché renderebbe ancora più disumano lo sforzo e l’abnegazione dei professionisti portandoli al massacro”.
“Infine - conclude Carbone - chiediamo una norma che superi i provvedimenti restrittivi circa la chiusura dei confiniper garantire agli operatori della sanità residenti in Slovenia e Croazia, che lavorano negli Enti ed Aziende Sanitarie del Friuli Venezia Giulia, di potersi recare a lavoro per dare il loro contributo essenziale alla sanità, oggi in ginocchio contro un nemico invisibile”.
16 marzo 2020
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