Calciatori professionisti più a rischio demenza e mortalità per patologie neurodegenerative. Colpa dei tanti “colpi di testa”
di Maria Rita Montebelli
E’ una notizia ‘bomba’ che ha provocato anche la rottura dell’embargo di uno studio che avrebbe dovuto essere pubblicato sul New England solo tra qualche giorno. Da un’analisi retrospettiva condotta su oltre settemila ex-giocatori professionisti di calcio scozzesi, emerge un netto aumento di mortalità per patologie neurodegerative e del rischio di demenza. La colpa sarebbe dei tanti ‘colpi di testa’ che i giocatori accumulano nel corso della carriera. Gli esperti invitano tuttavia ad evitare inutili allarmismi (almeno per il momento) e a lasciare che i ragazzini e i dilettanti continuino tranquillamente a giocare a calcio
21 OTT - L’attività fisica e lo sport hanno positive ricadute sulla salute cardio-metabolica, sulla prevenzione della demenza e sul rallentamento del declino cognitivo.
Negli ultimi anni tuttavia, sono andate aumentando le evidenze di un aumentato rischio sul versante cognitivo e neuropsichiatrico per gli atleti degli sport di contatto; perché i ripetuti traumi cerebrali ai quali sono esposti, aumenterebbero il rischio di patologie neurodegenerative e di encefalopatia traumatica cronica (CTE). Ad aumentare il rischio neurologico non sarebbero tuttavia di colpi forti, quelli responsabili di concussioni sintomatiche, ma il ‘conto’ totale dei ripetuti impatti ricevuti alla testa, compresi quelli ‘subconcussivi’ e asintomatici. Questi appaiono infatti correlati alla presenza di marcatori di neuro-degenerazione in vivo e, più avanti nel corso della vita, alla comparsa di disturbi neuropsichiatrici e cognitivi.
Uno
studio epidemiologico retrospettivo di
Daniel F. Mackay e colleghi, appena pubblicato sul NEJM e condotto su un gruppo di 7.676 ex-calciatori professionisti scozzesi, getta nuova luce sulle conseguenze a lungo termine del giocare a calcio a livello professionistico. La coorte di sportivi è stata confrontata con controlli della popolazione generale in termini di cause di mortalità e utilizzo di farmaci anti-demenza. La mortalità da cause non neurologiche è risultata inferiore tra gli ex-giocatori professionisti, fatto questo che conferma la validità dello sport nella prevenzione cardiometabolica; tuttavia la mortalità da malattie neurodegerative è risultata superiore nel gruppo degli ex-sportivi professionisti, come anche l’uso di farmaci anti-demenza.
Risultati simili erano emersi anche da un’indagine condotta dai
Centers for Diseases Control and Prevention (CDC) americani, tra gli ex giocatori della
National Football League (NFL). Un altro studio che ha messo a confronto giocatori della NFL con un gruppo di ex-giocatori della
Major League Baseball ha rilevato che la mortalità totale, quella da cause cardiovascolari e da cause neurodegenerative era superiore negli ex giocatori della NFL, rispetto ai giocatori di baseball.
A spiegare queste differenze potrebbe essere l’esposizione a ripetuti colpi in testa, che accomuna tanto i giocatori di
football americani che i calciatori scozzesi. Un giocatore colpisce la palla con la testa in media 6-12 volte a partita (ma in fase di allenamento naturalmente molto di più), il che significa migliaia di volte nell’arco della carriera.
Già in passato, piccoli studi su giocatori di calcio professionisti,senza storia di concussioni, avevano segnalato la presenza di alterazioni a carico dei neuromediatori cerebrali, della sostanza bianca e un assottigliamento della corteccia cerebrale.
Robert A. Stern, autore di un
editoriale pubblicato sullo stesso numero del NEJM, getta acqua sul fuoco invitando tutti a non farsi prendere dal panico rispetto ai presunti rischi del calcio sulla demenza e la mortalità per patologie neurodegenerative. Meno che mai dovrebbero entrare in allarme rosso i genitori di figli appassionati della partitella di calcio con gli amici, né i giocatori dilettanti perché non è possibile estrapolare a loro i risultati osservati nei giocatori professionisti.
Tutti insomma possono e devono continuare a praticare il calcio a livello amatoriale, ma allo stesso tempo sarebbe auspicabile approfondire il discorso delle conseguenze neurologiche dei ‘colpi di testa’ nel calcio, attraverso analisi ad hoc, che magari includano anche ex-calciatori e calciatrici professionisti e giocatori amatoriali. Quello che si può dire senza tema di smentita - prosegue però Stern – già da ora è che le ripetute concussioni cerebrali causate dai colpi di testa, dovrebbero essere considerate un rischio occupazionale, che merita la massima attenzione.
Maria Rita Montebelli
21 ottobre 2019
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