Malattie rare. “Milasen”: negli Usa il primo farmaco creato apposta per un solo paziente
di Maria Rita Montebelli
Un farmaco disegnato su misura per una bambina di 8 anni, affetta da una rara e fatale forma di malattia neurodegenerativa. Una corsa contro il tempo, appena 12 mesi dalla diagnosi alla cura. Un farmaco sperimentale, dal nome (‘Milasen’) ispirato all’unica persona alla quale è destinato, la piccola Mila. Imparentato con il nusinersen, il farmaco-speranza per la SMA, il Milasen rappresenta forse l’ultima spiaggia per Mila. E inaugura la nuova era della medicina ultra-personalizzata, che porterà a riscrivere tutte le regole, dalla sperimentazione, all’approvazione dei farmaci.
12 OTT - Le malattie rare, sono spesso anche orfane di trattamenti. Il sequenziamento di prossima generazione del genoma può consentire di fare la diagnosi. Ma trovare una cura per queste malattie è un’altra cosa. Anche se a volte il miracolo accade. E il New England Journal of Medicine di questa settimana lo dimostra, attraverso un articolo che descrive la cronistoria, lunga appena un anno, dall’individuazione del difetto genetico di cui è affetta Mila, la bimba di 9 anni protagonista di questa storia, alla realizzazione di una cura fatta su misura per lei, un oligonucleotide antisenso modulatore dello splicing, chiamato Milasen in suo onore. Un miracolo, se non altro per i tempi, realizzato da Junkik Kim e gli altri ricercatori del Boston Children’s Hospital.
La malattia di Mila
Mila è affetta da una condizione neurodegerativa rara e fatale, la lipofuscinosi ceroide neuronale 7 (o CLN7), una forma di malattia di Batten, causata da una mutazione finora sconosciuta.
Mila cresce normalmente fino ai 3 anni; è una bimba vivace, sorridente, chiacchierona, canterina, piena di energia. “Ma all’età di tre anni – raccontano i genitori - abbiamo cominciato a notare che si bloccava sulle parole e teneva un piedino un po’ girato in dentro. Verso i 5 anni, ha cominciato a cadere all’indietro e a muovere i piedi con uno strano scalpiccio”.
Nel frattempo Mila viene visitata da neurologi, oftalmologi, optometristi, ortopedici, logopedisti, ognuno dei quali propone un trattamento, che però non porta ad alcun miglioramento. Nessuno riesce a capire cosa abbia. Finché all’età di 6 anni le cose precipitano. Nell’arco di appena qualche settimana la bambina non vede più, presenta atassia, convulsioni e regressione dello sviluppo.
La prima fase della diagnosi
Mila viene ricoverata al Children’s Hospital del Colorado, dove viene sottoposta ad una RMN cerebrale che rivela la presenza di lieve atrofia cerebrale e cerebellare; l’EEG delle 24 ore registra vari episodi comiziali generalizzati subclinici. Uno studio approfondito, alla ricerca di patologie del metabolismo o mitocondriali dà inizialmente esito negativo. Poi la bambina viene sottoposta ad una biopsia cutanea che evidenza la presenza di inclusioni lisosomiali anomale con un pattern a ‘impronta digitale’. Il segno patognomonico della malattia di Batten, una patologia neurodegenerativa autosomica recessiva che colpisce la retina e il sistema nervoso centrale. Il test genetico conferma la diagnosi, rilevando una mutazione puntiforme a carico del gene MFSD8 (o CLN7).
I genitori vengono subito a conoscenza del fatto che la Batten è una patologia neurodegenerativa che provoca nel bambino cecità, alterazioni cognitive e lo paralizza in modo progressivo fino a costringerlo a letto. La morte sopravviene presto, intorno agli 11 anni. Nessuna cura disponibile. Ma i genitori di Mila sanno che per alcune patologie le terapie geniche possono fare miracoli e allora perché non tentare il tutto per tutto? Decidono di creano una fondazione per cercare una cura per Mila. Con la speranza di gettare le basi per trovare una cura anche per tante altre malattie rare. Ma servono tanti soldi.
La scoperta della nuova mutazione
Nel frattempo Mila con la sua famiglia approdano al Children’s Hospital di Boston dove viene proposto loro di entrare in uno studio per approfondire la diagnosi. Altri prelievi di sangue e campioni di cute per permettere ai medici di effettuare una caratterizzazione molecolare e genomica del ‘difetto’ di Mila. Perché tutti erano convinti che la bambina avesse anche una seconda mutazione. Ed eccola lì infatti, nascosta nelle profondità dell’introne 6 del MFSD8, presente sia nelle cellule di Mila, che in quelle della madre. Una mutazione che causa l’inserzione di un retrotransposone SVA, un ‘bastone tra le ruote’, un pezzetto di DNA finito per un ‘copia–e-incolla’ nel posto sbagliato, che va a disturbare lo splicing, il ‘montaggio’ dell’RNA messaggero, la ‘matrice’ sulla quale vengono fabbricate le proteine.
Alla ricerca di una terapia ‘su misura’
Una volta individuato il difetto, i ricercatori americani cercano di capire come correggerlo. Un oligonucleotide antisenso forse potrebbe correggere la mutazione di Mila. Esattamente come il nusinersen, un altro oligonucleotide antisenso, è in grado di correggere il difetto di splicing alla base dell’atrofia muscolare spinale (SMA). Il gruppo di Kim comincia dunque a ‘disegnare’ oligonucleotidi antisenso mirati contro il sito difettoso. Poi la prova del nove, il test sui fibroblasti di Mila. Tre di questi sembrano funzionare, uno in modo particolare, il TY777. E’ il candidato. La possibile cura per Mila. Il ‘Milasen’.
La cura per Mila
Il Milasen è un oligonucleotide antisenso (ASO) modulatore dello splicing, composto di una catenella di 22 nucleotidi; sui fibroblasti di Mila riesce a triplicare la quantità di splicing normale e a correggere una serie di tratti tipici della disfunzione lisosomiale; corregge insomma sia il difetto, che la funzione, come si richiede ad una cura efficace.
Ma intanto Mila continua a peggiorare. Ha 7 anni e non riesce più a pronunciare parole comprensibili, non inghiotte (viene nutrita attraverso tubo infilato nello stomaco), presenta dalle 15 alle 30 crisi convulsive al giorno. Ma è vigile, reagisce agli stimoli dei suoi familiari. E’ felice quando le mettono la sua musica preferita.
Non c’è tempo da perdere. I ricercatori di Boston chiedono all’FDA il permesso di somministrare a Mila il trattamento sperimentale, mentre testavano sui ratti i potenziali rischi di questo farmaco. Appena un mese dopo il Milasen viene somministrato alla bambina, prendendo a modello il protocollo di somministrazione del nusinersen. Il farmaco viene somministrato per iniezione intra-tecale; 3,5 mg all’inizio, poi si aumenta il dosaggio ogni 2 settimane fino ad arrivare ai 42 mg. Poi altre due dosi carico. Infine il mantenimento, con una somministrazione ogni 3 mesi.
La progressione dei sintomi della malattia va rallentando, ma la RMN rivela una continua perdita di volume cerebrale, almeno per i primi 7 mesi dall’inizio del trattamento. Le crisi convulsive però si vanno riducendo sia di numero che di durata, ormai sotto il minuto. Un buon segno.
Le implicazioni del ‘caso Mila’
Le malattie rare, lo abbiamo scritto tante volte, sono tali in quanto ognuna colpisce un numero limitato di pazienti. Ma le persone con malattie rare, prese tutte insieme sono un vero esercito: 30 milioni nei soli Stati Uniti, 400 milioni in tutto il mondo. Sono oltre 7.000 le malattie rare, tutte elencate nella RARE list, ospitata sul sito globalgene.org. Otto su 10 sono causate da un gene ‘difettoso’. Per ricevere la diagnosi il paziente attende in media 8 anni. Ma non tutti hanno la possibilità di aspettare così a lungo. Un paziente su 2 di quelli ai quali viene diagnosticata una malattia rara è un bambino dei quali tre su 10 non arriveranno a festeggiare il quinto compleanno. Mila è stata fortunata, perché aveva alle spalle una fondazione (Mila’s Miracle Foundation) che in men che non si dica ha raccolto i vari milioni di dollari necessari per la sperimentazione della sua cura. Ma non tutti hanno questa fortuna.
Non è possibile in questo momento prevedere l’evoluzione della malattia di Mila. Ma di certo, gli oligonucleotidi antisenso escono da questa storia come farmaci ‘di salvataggio’, di rapida realizzazione, personalizzabili sul problema del singolo paziente.
Una rivoluzione concettuale e terapeutica, per pochi pazienti. Forse anche per un solo paziente, come nel caso di Mila. Una rivoluzione che inevitabilmente apre una voragine di interrogativi etici, sociali, di sostenibilità, regolatori.
Ma insomma, il dado è tratto. E nei prossimi mesi spetterà a schiere di ricercatori, accademici, associazioni pazienti, enti regolatori, rappresentanti dell’industria del farmaco trovare la quadratura del cerchio.
Perché la strada imboccata è troppo promettente per ostacolarla con le barriere regolatorie prefabbricate. Ma non è neanche accettabile far compiere un salto nel vuoto a queste persone, nell’incoscienza di una fuga in avanti. Le leggi della sperimentazione andranno riscritte, almeno nel campo delle malattie rare. Ma cortocircuitare le tappe delle sperimentazioni, arrivando direttamente all’obiettivo della cura è un esercizio pericoloso. Nessun ricercatore, neppure il più entusiasta, dovrebbe mai dimenticare che il paziente è sacro.
Maria Rita Montebelli
Foto e filmato sono tratti dal sito della Mila's Miracle Foundation