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Neuropatia ottica nutrizionale: dieta a base di patatine fritte e salsicce fa perdere la vista ad un ragazzo

di Maria Rita Montebelli

Annals of internal medicine pubblica un case report di un adolescente inglese che, a causa di un disturbo del comportamento alimentare non riconosciuto e non adeguatamente trattato è andato avanti per almeno dieci anni a nutrirsi solo di patatine fritte, Pringles e insaccati. Ne è derivata una neuropatia ottica nutrizionale, esitata in una perdita della vista irreversibile.

04 SET - Il junk food, è decisamente un nemico per la salute. Un nemico che purtroppo fa grande presa sul pubblico per un marketing aggressivo, per la disponibilità ad ogni angolo, per i prezzi bassi, anzi bassissimi. A lanciare l’allarme circa i rischi per la salute hanno provveduto da sempre gli esperti, anche se forse il messaggio al grande pubblico è arrivato più forte e potente dal documentario-inchiesta del 2004 ‘Super size me’ di Morgan Spurlock. Rischio aterosclerosi, obesità e cancro sono i pericoli principali, collegati ad un consumo costante e smodato di questi cibi. Ma non è tutto.
 
A riaccendere e ‘aggiornare’ l’allarme rischi-da-junk-food ha provveduto in questi giorni una lettera inviata a Annals of Internal Medicine da Rhys Harrison e colleghi del Brisol Eye Hospital dell’Università di Bristol (Gran Bretagna), che riporta il caso di un adolescente, arrivato ad un danno permanente della vista per una neuropatia ottica nutrizionale , causata da una dieta esclusivamente a base di cibo spazzatura.
 
La storia del ragazzo inizia all’età di 14 anni quando viene portato dal medico di famiglia per astenia. Le analisi di quel periodo rivelano un’anemia macrocitica da deficit di vitamina B12. Il medico consiglia di correggere la dieta e prescrive iniezioni di B12.
 
A 15 anni il ragazzo sviluppa un’ipoacusia neuro-sensoriale, per la quale viene valutato da un’otorino, che consiglia una risonanza magnetica, risultata normale. A breve distanza di tempo compaiono alterazioni della vista, ma l’oculista che lo sottopone all’esame della lampada a fessura non trova nulla di anormale.
 
Passano gli anni e il ragazzo, ormai diciassettenne, viene finalmente portato da un neuro-oftalmologo, per il peggioramento progressivo dell’acuità visiva. Lo specialista diagnostica una neuropatia ottica; il ragazzo a quel punto ha un’acuità visiva di 20 su 200 in entrambi gli occhi, presenta difetti della visione centrale bilaterali e perdita di fibre del nervo ottico. I potenziali evocati visivi, di ampiezza normale, presentano delle risposte P100 ritardate. La risonanza magnetica con gadolinio è normale, come è negativa la valutazione genetica per neuropatia ottica ereditaria di Leber. Gli esami del sangue rivelano la solita anemia macrocitica con livelli di ferritina, vitamina B12 e folati normali. Nella norma anche i test di funzionalità epatica e tiroidea. Ma a rivelare la presenza di un deficit funzionale di vitamina B12 sono gli elevati livelli di omocisteina e di acido metilmalonico. A quel punto i medici vanno ad indagare con maggior attenzione le abitudini alimentari del ragazzo. Nessun abuso di alcol, tabacco, né droghe. Peso e altezza nella norma con BMI di 22 Kg/m2. Tutto nella norma dunque? Non esattamente. Il ragazzo riferisce che da quando era bambino, non sopporta la consistenza di alcuni cibi e che la sua dieta da sempre è consistita in una porzione di patatine fritte (dal fish and chips di zona), qualche Pringles, pane bianco, carni rosse processate e insaccati.
 
Analisi più approfondite evidenziano presenza di bassi livelli di rame e selenio, elevati livelli di zinco, carenza di vitamina D, con densità minerale ossea ridotta. I medici prescrivono supplementi nutrizionali e inviano il ragazzo presso un centro di igiene mentale per la gestione del suo disturbo del comportamento alimentare. Gli esami del sangue migliorano, ma per la neuropatia ottica non c’è più nulla da fare; il danno alla vista è permanente.
 
E’ rarissimo nelle nazioni occidentali imbattersi in una neuropatia ottica nutrizionale, sostenuta da deficit di rame, tiamina (vitamina B1), riboflavina (vitamina B2), niacina (vitamina B3), piridossina (vitamina B6), folati (vitamina B9) e cobalamina (vitamina B12), che peraltro non sono facili da dosare. Il caso di questo paziente è emblematico perché tutti questi deficit sono rimasti ignorati dai medici per anni; anche il dosaggio della vitamina B12 è largamente inattendibile (molto più indicativi di deficit funzionale di vitamina B12 sono, come visto, i livelli di omocisteina e di acido metil-malonico). Per quanto riguarda il deficit di rame, questo dipende in genere da un malassorbimento gastrico più che da un deficit nutritivo e può comunque determinare neuropatia ottica, mielopatia e macrocitosi.
 
Cosa ancora più grave, in questo ragazzo è stata ignorata per anni la presenza di un disturbo del comportamento alimentare che lo ha portato a restringere la sua dieta a pochi alimenti, nessuno dei quali propriamente salutare. La patologia del ragazzo – fanno notare gli autori della lettera – è inquadrabile in un disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, un’entità nosologica relativamente nuova, non scatenata da dismorfofobia o da preoccupazioni di peso corporeo. Il disturbo esordisce in età infantile, si manifesta con mancanza di interesse nel cibo, con aumentata sensibilità alla consistenza del cibo e dalla paura delle conseguenze dell’alimentarsi.
 
Gli esperti dell’università di Bristol suggeriscono dunque di considerare la diagnosi di neuropatia ottica nutrizionale in tutti i soggetti con una riduzione del visus inspiegabile, che seguano una dieta sbagliata. Questa condizione è potenzialmente reversibile se intercettata precocemente. In caso contrario porta ad un danno permanente della vista.
 
Maria Rita Montebelli

04 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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