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Cancro e caregiver. La sofferenza del malato può far ammalare anche chi gli sta vicino  


L’impatto del tumore in stadio terminale sembra non essere forte solo sul paziente, ma anche sui familiari o gli amici  che se ne occupano. Tanto che questi sono a rischio di sviluppare patologie sia psicologiche che fisiche. Uno studio delluniversità di Bologna e dell'Ant Onlus.

23 FEB - Chiunque abbia fatto l’esperienza di accudire un paziente – partner, parente o amico – malato oncologico terminale e in terapia del dolore, sa bene che tra le cose più penose c’è quella che il pensiero della malattia diventa un chiodo fisso, difficile da scacciare anche nei momenti più felici. Secondo un recente studio dell’Università di Bologna e della Fondazione ANT Italia Onlus, la più ampia esperienza al mondo di assistenza socio-sanitaria domiciliare gratuita ai sofferenti di tumore, quello stesso ‘rimuginìo’ funzionerebbe da potenziale attivatore di patologie proprio nei cosiddetti caregiver, i familiari che si prendono cura dei sofferenti oncologici assistiti a domicilio. 
I risultati sono stati resi pubblici tramite il Centro Raccolta Dati (CRD) di ANT, che nel mese di febbraio ha dato vita a un nuovo servizio di approfondimento – di cui il primo tema è proprio quello descritto dallo studio – con l’obiettivo di divulgare con cadenza mensile contenuti inediti di carattere socio-sanitario, socio-economico e prettamente medico.Il servizio nasce dalla lavorazione dell’enorme mole di dati relativi agliassistitidella Fondazione Antraccolti in oltre trent’anni di attivitàdal CDR. 
 
L’impatto del tumore, come prevedibile, incide non solo sulla vita del malato: chi si prende cura di lui viene messo a dura prova dal punto di vista psicologico. L’assistenza ai pazienti oncologici comporta infatti nei familiari lo sviluppo di elevati livelli di stress, che concorrono all’insorgenza e al mantenimento di disturbi che possono mettere a repentaglio la salute.
La Fondazione ANT e del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Bologna hanno pensato di verificare il valore predittivo del pensiero ricorrente e prolungato a quanto di negativo potrà accadere sull’insorgenza di sintomatologia psicofisica nel familiare che accudisce il malato. Nello specifico i ricercatori volevano valutare se il rimuginìo, in quanto fattore in grado di determinare un rischio maggiore di ammalarsi, possa essere considerato un fattore critico per stabilire una priorità di assistenza.
Per farlo, gli scienziati hanno osservato un campione sperimentale costituito da 107 familiari (77 femmine e 30 maschi) che si occupano di pazienti oncologici in assistenza domiciliare. Ciascun caregiver è stato valutato due volte: all’inizio dell’assistenza domiciliare ANT e circa 3 settimane dopo. A tutti i partecipanti sono stati somministrati una breve scheda socio-anagrafica e alcuni questionari di autovalutazione, sia nella prima che nella seconda parte dello studio.
 
Il livello di pensieri negativi risulta, secondo la ricerca, essere molto elevato nei caregiver. Ma soprattutto l’indagine ha evidenziato risultati significativi in merito alla relazione tra il disagio psicologico e i sintomi somatici dei familiari. Il grado di rimuginìo risulta infatti un predittore potente e solido di sintomatologia fisica, ma anche di depressione. La tendenza a rimuginare risulta dunque una variabile determinante rispetto alla salute delle persone che si trovano ad affrontare il difficile compito di assistere un familiare malato di tumore. Secondo i ricercatori, influendo negativamente sulle condizioni psicofisiche del caregiver, la mole di pensieri negativi può rendere ancora più difficile il già arduo compito di assistenza.
Ma secondo i ricercatori e gli operatori della Fondazione ANT, uno studio di questo tipo potrebbe offrire delle informazioni importanti, che devono essere tenute in considerazione dalle istituzioni e dai medici. “Questi risultati hanno un grande valore pratico e operativo”, hanno spiegato. "Non va dimenticato, infatti, che se il familiare caregiver si ammala, invece di risultare una risorsa potrebbe finire col rappresentare un’ulteriore aggravante, ostacolando il percorso di riabilitazione oncologica. In quest’ottica sarebbe auspicabile proporre interventi di sostegno dedicati per tale categoria di familiari a rischio”.

23 febbraio 2012
© Riproduzione riservata

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