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Vaccino Hpv: potrebbero bastare due dosi


Uno studio del National Cancer Institute americano mostra che sono sufficienti una o due dosi di vaccino per prevenire le infezioni da Papillomavirus. E già ci si chiede: “Screening da ridisegnare?”

12 SET - Mentre le autorità sanitarie italiane ancora si chiedono come aumentare i tassi di copertura della vaccinazione anti-Hpv (che, per la terza dose superano di poco il 50 per cento), dagli Usa arriva uno studio che potrebbe imporre una svolta nelle strategie vaccinali: la terza dose di vaccino, infatti, potrebbe non essere necessaria.
La ricerca è stata pubblicata Journal of the National Cancer Institute e riguarda soltanto uno dei vaccini disponibili (Cervarix).
Il team del National Cancer Institute americano ha analizzato i dati del Costa Rica Vaccine Trial che ha arruolato quasi 7.500 donne, delle quali, circa il 20 per cento ha ricevuto meno di tre dosi di vaccino per circostanze contingenti.
A quattro anni dalla vaccinazione i ricercatori hanno verificato i tassi di infezioni persistenti da Hpv (i soli ceppi 16 e 18) riscontrando livelli simili di protezione qualunque fosse il numero di dosi ricevute. I ricercatori non si sono detti sorpresi dai risultati, anche se - hanno ammesso - il follow up a quattro anni potrebbe essere troppo breve per quantificare la durata della protezione di un numero inferiori di dosi.
In ogni caso, “i nostri dati sull’efficacia clinica del vaccino suggeriscono che programmi che forniscono un numero inferiore di dosi a un numero più ampio di donne possono essere più efficaci nel ridurre l’incidenza del cancro del collo dell’utero rispetto a programmi che offrono il numero standard di tre dosi a un numero più basso di donne”, hanno commentato, sottolineando tuttavia la necessità di ulteriori studi. “Se altri trial randomizzati e analisi di costo-efficacia confermeranno i benefici della somministrazione di un numero inferiore di dosi (e anche una durata sufficiente della protezione), allora [sarà più semplice] rendere una realtà la prevenzione primaria del cancro della cervice uterina”.
Insomma, sul fronte della sperimentazione, potrebbe essere tutto da rifare.
Tuttavia, ha sottolineato in un editoriale che ha accompagnato lo studio Cosette Marie Wheeler, dell’University of New Mexico, i trial costano e quindi potrebbe essere molto più utile una sperimentazione di fase IV che estragga i dati direttamente dalla sorveglianza dei programmi vaccinali già in atto. Di certo, ha concluso Wheeler, “il vecchio adagio che dice che «meno è meglio», può essere applicato alla vaccinazione contro l’Hpv e da questo punto di vista questo studio rappresenta un passo importante verso programmi di prevenzione del cancro del collo dell’utero più efficaci e sostenibili”. 

12 settembre 2011
© Riproduzione riservata

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