Incidenti nelle partite di calcio amatoriale. Come prevenirli con il giusto allenamento
di Maria Rita Montebelli
Uno studio inglese, condotto avvalendosi di GPS e accelerometri, ha individuato la ricetta di allenamento ideale per le ‘primavere’ di calcio amatoriali, per limitare la massimo danni da contatto e non. Da queste osservazioni sono scaturite le prime linee guida ‘scritte’ col GPS con indicazioni ben chiare, almeno per quanto riguarda questo ambito sportivo. Necessario un giusto equilibrio tra allenamento, competizione e recupero.
03 AGO - Il GPS potrebbe essere utile non solo per trovare una strada ma anche per confezionare il giusto programma di allenamento e per prevedere gli infortuni dei giocatori di calcio. E’ quanto sostiene un articolo pubblicato su
British Journal of Sports Medicine.
Secondo i ricercatori dell’Università di Birmingham i danni che riportano i calciatori durante le competizioni e l’allenamento possono essere previsti analizzando i carichi di lavoro ai quali sono sottoposti. I rischi maggiori si corrono quando i giocatori accumulano un elevato numero di scatti veloci nel corso degli allenamenti e in un arco temporale di tre settimane.
Lo studio condotto dall’Università di Birmingham in collaborazione con il Southampton Football Club è andato ad esaminare minuziosamente le
performance di giovani giocatori allo scopo di individuare un nesso tra allenamento e danni. Da questo lavoro è scaturita una prima redazione di linee guida che dovrebbero aiutare a ridurre la comparsa di infortuni tra i giocatori delle ‘primavere’ amatoriali. Per la ricerca ci si è avvalsi della tecnologia GPS e di accelerometri. E i risultati ottenuti dimostrano che è possibile, servendosi di questi mezzi, prevedere il rischio di trami da contatto e non.
“Il nostro lavoro – commentano gli autori
Laura Bowen e
François-Xavier Li– avrà importanti ricadute sia pratiche, che speculative e va ad ampliare un recente filone di ricerche nel campo del rugby e del cricket che suggerisce come la prescrizione dei carichi di lavoro possa risultare più predittiva di un eventuale danno, che non il carico effettivo. Un eccessivo carico di lavoro in altre parole si associa al maggior rischio di danno. Tuttavia, quando i giocatori vengono sottoposti gradualmente ad un alto carico di lavoro, il rischio di riportare dei danni risulta significativamente ridotto”.
E naturalmente i giocatori che si allenano in sicurezza sono quelli che sviluppano maggior resilienza e tolleranza all’intensità e alla fatica della competizione, aumentando al contempo anche le loro capacità atletiche.
“Per aumentare le
chance di successo – sottolinea
François-Xavier Li,
University's School of Sport, Exercise and Rehabilitation Sciences – gli allenatori sottopongono i giocatori a carichi di allenamento che si spingono al limite di quello che gli atleti possono raggiungere, senza però superare i confini che il loro fisico può tollerare”.
E’ necessario insomma mantenere un adeguato equilibrio tra allenamento, competizione e recupero per ottenere una performance al top ed evitare di rimanere vittime di traumi. Purtroppo questo equilibrio non è facile da mantenere come testimonia l’elevato tasso di danni tra i giocatori di
football rispetto a quelli che si registrano in altre discipline sportive.
Dai risultati di questo studio sono state redatte delle iniziali linee guida sui carichi di lavoro ottimali per ridurre la comparsa di danni nei giocatori delle ‘primavere’ amatoriali di calcio, ma è bene essere prudenti nell’applicare queste indicazioni ad tipologie di altre squadre e attività sportive, vista la natura peculiare delle richieste fisiche nel calcio.
Per lo studio ai giocatori è stato fatto indossare un GPS che registrava la distanza totale percorsa, la distanza percorsa ad elevata velocità, il carico/forza totale al quale sono stati sottoposti e il numero di ‘scatti’ in velocità.
Tutti questi dati sono poi stati confrontati con gli eventuali infortuni riportati dai giocatori, classificati come lievi, moderati, gravi e di entità tale da determinare l’assenza dall’attività (da due giorni a varie settimane).
Ne è risultato che elevati livelli di accelerazione nell’arco di un periodo di allenamento di 3 settimane rappresentano il principale indicatore di rischio di un danno da contatto o non. Una elevata distanza totale (superiore a 112 Km) percorsa nell’arco di 4 settimane e associata ad elevati carichi di lavoro totale settimanale aumenta in maniera significativa il rischio di infortuni da contatto e non. Livelli di distanza da moderati ad elevati, coperti ad elevata velocità, producono rispettivamente una maggior incidenza di danni complessivi e non da contatto, mentre elevatissimi carichi di lavoro settimanali e intensi livelli di brevi scatti in velocità sono risultati correlati in maniera significativa ad un elevato rischio di infortuni da contatto.
Tutto ciò suggerisce che l’allenamento dovrebbe essere organizzato in modo che la distanza percorsa ad elevata velocità e le forze/carico totale sostenuti dovrebbero essere spalmati su un periodo di 4 settimane nel corso del quale gli atleti dovrebbero sostenere carichi di lavoro sia elevati che bassi.
E’ noto che un maggior carico di lavoro si associa ad un aumento di danni da contatto nel rugby professionale. Questo studio suggerisce che un elevato livello di stanchezza correla tanto dai danni da contatto che a quelli non da contatto. Aumentare i livelli di fitness e limitare l’affaticamento sembra dunque la ricetta più sensata per portare i giocatori a rispondere più rapidamente, in modo da evitare quei movimenti imprevedibili che precedono i danni da contatto.
Infine, gli autori fanno notare che da questo studio emerge un’elevata prevalenza dei danni da contatto in questa tipologia di competizione e questo sottolinea ulteriormente l’importanza di monitorare le differenze tra le normali attività di allenamento e i momenti di intensità eccezionale. Quali quelli che si verificano quando il calendario delle competizioni è molto affollato e mancano i tempi di recupero tra una gara e l’altra.
Maria Rita Montebelli
03 agosto 2016
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Scienza e Farmaci