Cancro del colon. Scoperto un biomarcatore che prevede chi risponderà alla chemioterapia dopo l’intervento chirurgico
di Maria Rita Montebelli
Fino ad oggi non esisteva un modo per individuare i pazienti più a rischio di recidiva, né un criterio per prevedere la risposta al trattamento chemioterapico. E il test per valutare l’espressione di CDX2, questo il nome del biomarcatore, è semplice, economico e già ampiamente disponibile. Lo studio sul New England Journal of Medicine
21 GEN - La maggior parte dei pazienti con un tumore del colon di stadio II viene trattata con il solo intervento chirurgico; tuttavia il 15-20% di questi pazienti presenta una recidiva e morirà per la diffusione metastatica del tumore.
D’altra parte, l’utilità della chemioterapia adiuvante dopo un intervento chirurgico per cancro del colon di stadio II, è molto messa in questione. A fronte di molti pazienti trattati infatti, solo alcuni ne traggono un reale beneficio. Ma al momento i medici non dispongono di strumenti che consentano loro di individuare quali siano i pazienti a maggior rischio di recidiva tumorale , né quelli che verosimilmente avranno i maggiori vantaggi da un trattamento chemioterapico.
Uno studio appena pubblicato sul
New England Journal of Medicine, ha cercato di superare questo ostacolo, andando alla ricerca di un biomarcatore che consenta di individuare questa categoria di pazienti ad elevato rischio di recidiva, con maggiori
chance di risposta alla chemioterapia adiuvante.
“Ci siamo mossi dalla constatazione – spiega il primo autore dello studio,
Piero Dalerba, professore associato di medicina, patologia e biologia cellulare alla Columbia
University Medical Center (CUMC) e Herbert Irving
Comprehensive Cancer Center (HICCC) – che non disponiamo al momento un test che ci consenta di individuare questi pazienti ad alto rischio, prima che recidivino, né di un test che permetta di prevedere quali sono quei pazienti che potranno trarre beneficio da un trattamento chemioterapico dopo l’intervento chirurgico”.
I ricercatori americani in questo studio , anziché studiare il pattern di espressione genica di campioni random di cellule tumorali, si sono focalizzati su quello delle staminali tumorali. “Abbiamo pensato – spiega Dalerba – che i tumori contenenti un elevato numero di staminali tumorali potessero associarsi ad una malattia più aggressiva e siamo andati alla ricerca di un modo per individuarli più facilmente. Per questo abbiamo rivolto al computer una domanda molto semplice: puoi aiutarci a scoprire se esiste un gene la cui mancata espressione si associ sempre ad elevati livelli di marcatori di staminali tumorali?”
Analizzando dati pertinenti ad oltre 2 mila pazienti con cancro del colon e avvalendosi della tecnica detta di ‘
multigene expression signatures’ basata su
microarray, per individuare dei biomarcatori di differenziazione epiteliale, i ricercatori sono così riusciti a selezionare 16 geni che rispondevano a questo criterio. Uno di questi codifica un fattore di trascrizione, il CDX2, l’espressione del quale risulta ridotta (o addirittura assente) nelle forme più immature di cancro. E’ noto che CDX2 regola la differenziazione cellulare nello strato di cellule che riveste il colon, lì dove origina il cancro.
Sul CDX2 è stato quindi costruito un test con valenza clinica, che ha consentito di individuare una piccola popolazione di tumori del colon (il 4% circa del totale) che non presenta espressione di CDX2 (cosiddetti CDX2-negativi) e che presenta una prognosi peggiore,rispetto ai soggetti CDX2-positivi.
Gli autori hanno dunque correlato l’espressione del CDX2 (attraverso l’analisi immunoistochimica dei
microarray tessutali) con l’intervallo di tempo di libero da malattia, dopo l’intervento chirurgico .
Nei pazienti con carcinoma del colon di stadio II, le forme tumorali CDX2 positive, rispetto alle CDX2 negative, presentavano tassi più elevati di sopravvivenza libera da malattia a 5 anni (rispettivamente 71% contro il 48%), una maggiore sopravvivenza globale (rispettivamente 59% versus 33%) e una maggiore sopravvivenza specifica per malattia (rispettivamente 72% contro il 45%).
In un ampio database aggregato di studi clinici randomizzati prospettici sulla terapia adiuvante, dove non era stata effettuata l’analisi dell’espressione del CDX2 all’epoca del trattamento, i soggetti con carcinoma del colon in stadio 2, CDX2- negativi, trattati con chemioterapia adiuvante hanno presentato una più estesa sopravvivenza a 5 anni libera da malattia rispetto a quelli non trattati (rispettivamente 91% versus 56%). Al contrario, i pazienti CDX2 -positivi trattati con chemioterapia, non hanno mostrato benefici sulla sopravvivenza libera da malattia, rispetto al gruppo dei non trattati.
Anche altri studi preliminari sui soggetti con tumore del colon di stadio III, CDX2-negativi, suggeriscono un maggior beneficio sulla sopravvivenza nei soggetti trattati con chemioterapia adiuvante, rispetto ai non trattati (74% versus 37%).
“Volevamo capire – spiega Dalerba – se il piccolo gruppo di pazienti CDX2-negativo avesse una prognosi peggiore per una resistenza intrinseca alla chemioterapia. Al contrario, il nostro studio ha dimostrato che i tumori CDX2-negativi, nonostante la loro elevata aggressività da un punto di vista biologico, sono quelli che rispondono meglio al trattamento chemioterapico adiuvante, come è possibile vedere dal confronto con i pazienti CDX2-positivi.”
Gli autori concludono dunque che la mancata espressione del CDX2 individua una particolare categoria di pazienti con tumore del colon, ad elevato rischio, che trae grandi benefici dalla chemioterapia adiuvante. “E la cosa forse più interessante di tutte – conclude Dalerba – è che il test per valutare l’espressione di CDX2 è semplice, economico e già ampiamente disponibile”.
Sarà naturalmente necessario validare questo test in ulteriori studi clinici randomizzati prima di utilizzarlo come criterio di guida al trattamento chemioterapico adiuvante nei pazienti con carcinoma del colon.
Maria Rita Montebelli
21 gennaio 2016
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