Morbo di Crohn. La vitamina D potrebbe prolungare la remissione
di Viola Rita
Una ricerca su 27 pazienti con morbo di Crohn in remissione ha mostrato come la supplementazione con vitamina D possa avere effetti positivi rispetto ad alcuni importanti parametri associati alla malattia (permeabilità intestinale, concentrazione dei peptidi antimicrobici, infiammazione). Necessari ulteriori conferme e nuovi studi prima di poter tradurre il risultato in un trattamento
15 GIU - L’assunzione di vitamina D come supplemento ha avuto effetti positivi in pazienti affetti dal morbo di Crohn in remissione e tale supplementazione potrebbe avere un ruolo nel trattamento della patologia. Lo afferma uno studio scientifico, condotto dal Professor
Maria O'Sullivan e
Tara Raftery del Dipartimento di Medicina Clinica del Trinity Centre for Health Sciences, St. James's Hospital, Dublino (Irlanda).
Lo studio è
pubblicato sulla rivista
UEG Journal (dove UEG sta per United European Gastroenterology) del gruppo di pubblicazioni
Sage Publications.
Anche se i dati sono promettenti, in ogni caso gli autori dello studio rimarcano
la necessità di ulteriori indagini, attraverso trial controllati randomizzati, prima di poter tradurre il risultato in un trattamento per il morbo di Crohn.
Il morbo di Crohn è una delle malattie infiammatorie croniche intestinali ed è caratterizzata da infiammazione che può colpire qualsiasi porzione del tratto gastrointestinale. La malattia, contraddistinta da recidive e fasi di remissione, è associata a sintomi quali dolore addominale, diarrea, fatica, e può comportare una riduzione della qualità di vita, ospedalizzazioni e necessità di interventi chirurgici. Attualmente varie terapie sono indicate per il trattamento di questa malattia, che è presente durante tutta la vita dell’individuo che ne è affetto. Inoltre, numerose ricerche sono dedicate alla migliore comprensione dei meccanismi della patologia e all’
individuazione di nuovi trattamenti. In Europa, ogni anno ci sono circa 10 nuovi casi ogni 10mila abitanti, con tassi di incidenza più elevati nell’Europa settentrionale e occidentale.
Già precedenti studi hanno mostrato che la vitamina D potrebbe prolungare la remissione della malattia di Crohn, anche se i meccanismi alla base di questo prolungamento e l’efficacia clinica della strategia non sono chiari.
Sulla base di questi dati, nello studio odierno gli autori hanno valutato, in 27 pazienti in remissione, l’eventuale cambiamento (dovuto alla supplementazione con vitamina D) della barriera intestinale (permeabilità e concentrazione dei peptidi antimicrobici) insieme ai marcatori della malattia.
La permeabilità è una misura della ‘presenza di fessure’ nell’intestino e il suo aumento rappresenta un importante parametro di valutazione che predice e precede le recidive della malattia, mentre i peptidi antimicrobici prodotti dalle cellule sono piccole proteine che rientrano tra gli alleati del nostro organismo dato che combattono l’azione di alcuni batteri dannosi.
Nella ricerca, i 27 volontari affetti da morbo di Crohn in remissione hanno assunto 2000 IU al giorno oppure placebo per tre mesi. In base ai risultati, nei pazienti che avevano effettuato la supplementazione con vitamina D la probabilità che essi mantenessero la permeabilità intestinale risultava maggiore rispetto a quelli che avevano assunto placebo, nei quali tale permeabilità era deteriorata. Inoltre, i pazienti con un maggiore tasso di vitamina D nel sangue mostravano un’infiammazione ridotta (misurata attraverso la proteina C reattiva e i peptidi antimicrobici) e un miglioramento nella qualità di vita.
“È il primo studio, condotto in un gruppo di pazienti affetti da morbo di Crohn, che indaga gli effetti della supplementazione con vitamina D sulla permeabilità intestinale e sulle misure dei peptidi antimicrobici”, dichiarano gli autori. “Anche se i dati richiedono ulteriori conferme, questo risultato supporta ampiamente le evidenze emerse da precedenti studi sperimentali, che hanno suggerito un ruolo per la vitamina D nel mantenere l’integrità della barriera intestinale”.
Charles Murray del the Royal Free Hospital, Londra (Regno Unito), esperto UEG delle malattie infiammatorie intestinali, ha commentato in questo modo il risultato dei ricercatori irlandesi: “si tratta di un interessante sviluppo per il trattamento della malattia di Crohn e accogliamo con favore qualsiasi novità che potenzialmente sia in grado aiutare i pazienti con questa condizione debilitante”.
Viola Rita
15 giugno 2015
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