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Colesterolo Ldl. Per il futuro dell’infartuato, più è basso meglio è


Agli italiani fa più paura il primo infarto che la possibilità concreta di averne un secondo. Le terapie ci sono, ma spesso vengono interrotte anche per effetti collaterali. Lo studio Improve-It ha dimostrato che si possono evitare nuovi eventi cardiovascolari abbattendo il livello di colesterolo ldl al di sotto della soglia di sicurezza di 70mg/dl

27 MAG - Ridurre il rischio di re-infarto è possibile. Dieta bilanciata e sani stili di vita insieme ad un’aderenza alle terapie sono fondamentali, ma se si vuole mantenere uno stato di salute ottimale per il proprio cuore, l’atout da giocare è anche quella di abbattere il colesterolo Ldl, nel linguaggio comune “il colesterolo cattivo”. E quanto più si abbassa meglio è.
 
A indicare le coordinate sono gli esperti che dati alla mano, nel corso di una conferenza stampa a Roma, hanno mostrato come grazie all’abbattimento del livello di colesterolo Ldl al di sotto della soglia di sicurezza di 70mg/dl, si possano evitare nuovi eventi cardiovascolari.
 
L’asso nella manica è l’utilizzo di ezetimibe in associazione a simvastatina, come dimostrato dagli esiti dello studio Improve It (IMProved reduction of outcomes: vytorin efficacy international trial) svolto su 18.144 pazienti, per quasi 9 anni, in 1.500 centri in tutto il mondo. Uno studio che parla anche italiano: siamo stati il 5° Paese al mondo, con 600 pazienti arruolati. Dallo studio è emerso che grazie alla doppia inibizione delle due formulazioni l’obiettivo di colesterolo ldl è stato raggiunto con efficacia e un buon profilo di tollerabilità nel tempo. E così gli infarti miocardici acuti si sono ridotti del 13%, gli ictus del 21% e del 6,4% degli eventi cardiovascolari in genere.
Certo sempre a patto che i pazienti siano “diligenti” e non abbandonino mai la terapia.
Anche perché evitare il verificarsi di un secondo infarto è ormai diventato un diktat. Se, infatti, le morti in ospedale per infarto sono diminuite, di contro quelle ad un anno dalla dimissione sono aumentate. La causa principale? L’interruzione delle terapie. Una mancata aderenza legata a diversi fattori: scarse informazioni, mancata percezione di efficacia delle terapie e impatto degli effetti collaterali, carente comunicazione medico-paziente.
 
I dati. In Italia tra il 2001 e il 2011 la mortalità intraospedaliera dell’infarto si è progressivamente ridotta dall’11.3% al 9% mentre le nuove ospedalizzazioni fatali dalla dimissione a 60 giorni sono aumentate dello 0,13% e quelle dalla dimissione ad 1 anno dello 0.53%. Un andamento ancora più evidente nel pazienti con scompenso cardiaco con una mortalità tra la dimissione ed il primo anno pari al 10% .
“Nel nostro Paese – ha spiegato Michele Massimo Gulizia, Presidente dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e Direttore struttura complessa di cardiologia, Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania – un paziente segue un percorso assistenziale abbastanza virtuoso e completo. Un percorso con luci e ombre. Un tallone d’Achille è sicuramente rappresentato dall’integrazione tra Ospedale e Territorio”.
 
Una volta dimesso dall’Ospedale, con la prescrizione terapeutica e qualche raccomandazione su come cambiare gli stili di vita, il paziente a casa si trova da solo e spesso non riesce a restare ben aderente agli obiettivi di salute e di stile di vita raccomandati, non allontanando quindi adeguatamente i fattori di rischio che sono stati causa dell’infarto o, ancor peggio, non seguendo correttamente la terapia assegnata. “Oggi sappiamo quale strada percorrere – ha aggiunto Gulizia – abbiamo appreso cioè con ragionevole certezza che alla correzione degli stili di vita e all’aderenza alla terapia dobbiamo affiancare strumenti farmacologici in grado di abbattere la soglia di Ldl. Possiamo affermare con certezza che non solo dobbiamo abbassare la soglia del colesterolo Ldl, ma addirittura dobbiamo abbatterla sotto il limite di sicurezza di 70 mg/dL”. Proprio questa strategia, grazie all’utilizzo di Ezetimibe in associazione a Simvastatina, come dimostrato nello studio Improve-IT. Un beneficio di gran lunga più ampio di quello che si può ottenere con qualsiasi altra strategia e senza avere quegli effetti indesiderati che si avrebbero con l’utilizzo di statine ad alti dosaggi”.
 
E senza indossare il paraocchi economico: nel nostro Paese dopo una sindrome coronarica acuta l’85% del costo complessivo è da attribuire alle nuove ospedalizzazioni e solo l’11% alla spesa farmaceutica e il 4% all’assistenza specialistica. La popolazione dimessa dopo una sindrome coronarica acuta non deve rappresentare un gruppo su cui esercitare strategie di risparmio sul costo dei farmaci: per il rischio clinico elevato, per l’elevato numero di nuovi ricoveri e l’insoddisfacente aderenza/intolleranza alla terapia che, come circolo vizioso, determina nuovi ricoveri».
 
La scarsa aderenza alle terapie. L’infarto, come peraltro ogni altra malattia acuta, fa paura. E una volta passata per molti cala l’attenzione e le terapie si ‘diluiscono’, spesso addirittura s’interrompono. Un errore, secondo gli esperti, anche perché l’aderenza alle terapie fa la differenza, ad iniziare da quella per abbattere il livello di colesterolo.
Una pratica poco seguita da pazienti e anche dai medici. “Uno studio dell’Anmco – ha ricordato Gulizia – ha dimostrato che se ben il 92% dei pazienti veniva dimesso dalle cardiologie italiane con una terapia a base di statite, di contro oltre il 77% dei pazienti non conosceva il valore del colesterolo ldl”. Valore che lo studio Improve ha dimostrato essere di grande importanza.
 
 “Serve una presa di coscienza dei rischi che comporta la scarsa aderenza alla terapia non solo da parte del paziente ma anche da parte del medico – ha detto Claudio Rapezzi, Direttore UO cardiologia Policlinico di S. Orsola, Bologna e Alma Mater-Università degli Studi di Bologna – che dovrebbe prestare particolare attenzione al profilo di rischio del paziente e all’importanza di impostare sin da subito una terapia cronica che possa garantire efficacia e tollerabilità nel tempo. I pazienti ad alto rischio devono abbassare il colesterolo Ldl senza limiti verso il basso, anche a 30-50mg/dL. Con la terapia della “doppia inibizione”, una complementare ed efficace combinazione di farmaci (associati nella stessa pillola oppure in due pillole distinte), si riesce ad ottenere, nei pazienti ad alto rischio e che hanno già un livello di colesterolo LDL sotto la soglia di sicurezza di 70mg/dL, un’ulteriore riduzione del rischio CV relativo. E questo è un risultato eccezionale che non si può ottenere altrimenti. Perché – ha aggiunto – l’unica altra soluzione per abbattere così drasticamente il livello di Ldl, già basso, è quella di ricorrere ad una statina molto potente e ad alto dosaggio che però comporterebbe un profilo di sicurezza e tollerabilità meno favorevole, in alcuni casi, ad iniziare dai dolori muscolari diffusi, con un aumento delle probabilità di interruzione del trattamento”.
 
“Solo un terzo dei pazienti nel primo anno dopo l’evento cardiovascolare – ha affermato Gaetano Maria De Ferrari, Professore di cardiologia, Università degli Studi di Pavia, Responsabile Unità coronarica, Fondazione Irccs Policlinico San Matteo, Pavia – raggiungono gli obiettivi suggeriti per il colesterolo Ldl, e dopo l’anno diventano un quinto. Molti pazienti sanno quali valori di pressione o di glicemia non devono superare, quasi nessuno quale valore di Ldl Per gli addetti ai lavori, lo studio Improve-IT è stata una conferma importante che, adesso, deve essere correttamente comunicata al paziente affinché si traduca in un effettivo cambio di marcia nel trattamento post infarto”.

27 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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