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Gli antibiotici somministrati ai più piccoli, aumentano il rischio di asma

di Maria Rita Montebelli

L’associazione antibiotici nella prima infanzia-asma è già nota da precedenti studi. Ma adesso, una nuova ricerca pubblicata su Lancet Respiratory Medicine apre a nuove ipotesi patogenetiche e induce a riflettere sull’opportunità di riservare gli antibiotici, soprattutto nel primo anno di età, alle patologie che davvero lo meritano.

15 MAG - I piccoli, trattati con antibiotici nel primo anno di vita, corrono un aumentato rischio di sviluppare asma nel corso della vita. La conferma di questo dato, già oggetto di osservazioni precedenti, viene da uno studio appena pubblicato su Lancet Respiratory Medicine. Ma la novità sta nel fatto che questo nuovo lavoro individua in un’alterazione dell’immunità ai virus e nella presenza di particolari varianti genetiche su una regione del cromosoma 17, i meccanismi patogenetici alla base di questa suscettibilità. Al contrario, non viene confermata l’associazione tra esposizione precoce agli antibiotici e sviluppo di atopie e questo contraddice la teoria di un’alterazione del sistema immunitario del bambino, come fattore predisponente allo sviluppo futuro di patologia asmatica, dovuta ad alterazioni della flora batterica intestinale, a loro volta causate dalla somministrazione di antibiotici.
 
I bambini nel primo anno di vita vengono sottoposti a terapia antibiotica soprattutto per infezioni delle vie aeree e delle orecchie; già in passato diversi studi avevano sottolineato la presenza di un legame tra la somministrazione di antibiotici nella prima infanzia e sviluppo di asma negli anni successivi, con risultati però di non univoca interpretazione. Lo studio longitudinale inglese appena pubblicato ha preso in esame i dati relativi ad oltre un migliaio di bambini, dalla nascita a 11 anni. Dalle cartelle cliniche sono stati estrapolati i dati relativi a somministrazione di antibiotici, comparsa di sibili o di riacutizzazioni asmatiche; i bambini sono stati inoltre sottoposti a test allergometrici cutanei all’età di 3, 5, 8 e 11 anni. All’età di 11 anni è stato effettuato un prelievo di sangue per confrontare la risposta immunitaria ai virus (rinovirus, virus respiratorio sinciziale) e ai batteri (Haemophilus influenzae e Streptococcus pneumoniae) in quelli sottoposti ad almeno un ciclo di terapia antibiotica all’interno del primo anno di età e in chi non aveva assunto antibiotici. Sono stati inoltre effettuati dei test genetici per esplorare i legami tra comuni variazioni genetiche al locus 17q21 e prescrizione di antibiotici. I ricercatori inglesi in questo modo hanno individuato due geni della regione 17q21, associati al rischio di prescrizione antibiotica precoce nel corso della vita.
Lo studio ha dimostrato che i bambini con sibili respiratori trattati con antibiotici all’interno del primo anno di vita, avevano un rischio raddoppiato di presentare crisi di broncospasmo grave, riacutizzazioni d’asma e di essere ricoverati per asma più avanti nel corso della vita. Questi bambini presentavano anche una minore produzione di citochine, le ‘armi’ usate dall’organismo per difendersi dai virus, ma nessuna alterazione nelle difese immunitarie anti-batteriche.
 
“Questi risultati – commenta il Professor Adnan Custovic dell’Università di Manchester (UK) – ci portano ad ipotizzare la presenza di un fattore comune, in grado di aumentare sia la probabilità di una prescrizione antibiotica nei primi mesi di vita, che lo sviluppo successivo di patologia asmatica; questo fattore potrebbe essere un’aumentata suscettibilità alle infezioni virali, dovuta ad alterazioni immunitarie specifiche e a varianti genetiche in regione 17q21. Sono necessari tuttavia ulteriori studi per dimostrare che le alterazioni immunitarie non siano antecedenti alla somministrazione antibiotica, più che una loro conseguenza”.
 
“Per stabilire il ruolo di una somministrazione precoce di antibiotici nello sviluppo dell’asma sarà necessario effettuare uno studio clinico randomizzato – sostengono in un articolo di commento Julian Crane e Kristin Wickens dell’Otago University (Nuova Zelanda); risultati simili sono stati infatti segnalati anche per il paracetamolo”. Certo, organizzare un trial caso controllo con gli antibiotici non sarà facile per questioni etiche, in particolare quando si tratterà di restringerne l’impiego. Ma potrebbe valerne la pena, fanno notare gli autori, visto anche il problema della resistenza antibiotica, legata ad un uso incongruo ed eccessivo di questi farmaci, anche per patologie che non li richiederebbero.
 
Maria Rita Montebelli

15 maggio 2014
© Riproduzione riservata

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