“I dubbi che riguardano l’intelligenza artificiale sono falsi timori, come li abbiamo vissuti trent'anni fa con l'avvento di Internet. L'Europa a volte pone barriere ideologiche, ma dobbiamo comprendere che l'innovazione e la competitività non aspettano e che l'intelligenza artificiale è essenziale per essere al passo con i tempi. Per noi questo equivale ad accelerare la fase di discovery e soprattutto lo sviluppo clinico dei nuovi farmaci. Questo tempo, codificato in 10-15 anni, può essere abbattuto del 40% e soprattutto può essere ridotto il capitale di investimento, che oggi è mediamente di 2,6 miliardi di dollari per ogni farmaco sviluppato”. Lo spiega Marcello Cattani, presidente e amministratore delegato di Sanofi Italia e presidente di Farmindustria, ospite della nuova puntata di Future in Healthcare.
L’AI sta diventando dunque uno strumento imprescindibile per chi fa ricerca e punta all’innovazione nelle terapie farmacologiche. “I vantaggi sono enormi – assicura Cattani - e sviluppano nuove competenze nell'ambito dei dati e del digital che sono essenziali: oggi nelle varie industrie ci contendiamo questi talenti. Non possiamo prescindere da tutto questo e servono regole che possano accompagnare il percorso con velocità e poca burocrazia. Sanofi ha siglato come prima azienda un patto di digitalizzazione e implementazione etica dell’AI, con Assolombarda, Politecnico di Milano e organizzazioni sindacali. Questo consentirà di condividere percorsi formativi, opportunità, garanzie e tutele per dare valore a questo strumento. L’uomo con l’AI sarà sempre più forte dell’uomo senza AI”.
Parlando delle aree terapeutiche in cui Sanofi ha scommesso quanto a ricerca e sviluppo, e di cosa ci aspetta per il futuro nella prevenzione e nella cura di malattie che rappresentano una sfida, Cattani spiega: “La priorità sono l’inflammation e l’immunologia. Queste si declinano in tante aree terapeutiche: malattie cardio metaboliche, malattie infettive e quindi nuovi vaccini, malattie legate al sistema immunitario e autoimmuni. Se pensiamo all'area di tutte le patologie della pelle, ma anche gastrointestinali, l’oncologia, le malattie rare, questa è la nuova frontiera dove si sta spingendo Sanofi. Ad oggi vi sono 78 nuovi farmaci in fase di sviluppo che hanno questo concetto di fondo, cioè andare a investigare sempre di più l'effetto del sistema immunitario nella eziopatogenesi e nel contrasto delle patologie, per sviluppare nuovi farmaci. Vogliamo essere leader in quest'area e la direzione è quella giusta. Si iniziano a vedere i frutti di una ristrutturazione della nostra pipeline iniziata ormai cinque anni fa e stiamo entrando in nuove aree, con nuovi farmaci, come ad esempio per il virus respiratorio sinciziale, la Bpco con il primo farmaco biologico approvato per la cura di questa malattia e tante altre, inclusa la prevenzione del diabete di tipo 1. L'obiettivo è sempre quello di alzare l'asticella dell'efficacia e della sicurezza per occupare nuovi spazi dove vi è ancora un bisogno terapeutico inespresso. Un grande viaggio, in estrema sintesi, da una conglomerata farmaceutica come era Sanofi 10 anni fa, a un'azienda biofarma estremamente focalizzata nell'area dell’immunologia e dell’inflammation”. Focus anche sulle neuroscienze, prosegue, “dove abbiamo avuto dei dati davvero importanti per la cura della sclerosi multipla con un nuovo farmaco che ha la capacità di penetrare la barriera encefalica, una nuova soluzione per i pazienti per questa grave patologia”.
Nel quadro del nuovo assetto geopolitico mondiale, alla luce delle elezioni americane e della nuova Commissione europea, come si sviluppa e si tutela la competitività dell'Europa nel settore farmaceutico? “Quello che è mancato proprio nell'ultima Commissione europea e se vogliamo negli ultimi 20-25 anni all'Europa – evidenzia Cattani - è stato proprio mettere al centro politiche sanitarie che coniughino la competitività delle industrie, la capacità di attrarre investimenti e il fare innovazione. Negli ultimi anni l'Europa ha perso la bussola in maniera ideologica, con il green deal oltranzista, o la teoria della felice decrescita propugnata dal commissario Timmermans.
In Italia, invece, “è a un bivio - prosegue - dove deve fare pace con se stessa rispetto al passato, ma soprattutto rispetto al futuro. Il futuro richiede investimenti, riforme, per dare un sistema sanitario moderno dove vi sia la tutela della privacy del singolo individuo, ma si possano avere gli algoritmi e i dati per comprendere la qualità degli investimenti in salute, il che significa prevenzione, chirurgia, diagnostica e farmaci. Oggi è possibile misurare il valore di ogni farmaco rispetto al percorso clinico del cittadino, del paziente, ma soprattutto rispetto ai benefici diretti e indiretti e quindi economici, sociali e previdenziali che vengono raggiunti attraverso un percorso di diagnosi e cura. Questo è il futuro, questo è quello che dobbiamo fare e quindi il livello di profondità delle riforme va ben oltre quelli che sono gli investimenti e le attività legate al PNRR.
È una scelta politica di visione strategica, di mettere al centro il primo fattore abilitante dello sviluppo economico e sociale di un Paese: la salute. Parallelamente, essendo l'industria farmaceutica italiana champion a livello europeo e mondiale (abbiamo superato addirittura la crescita nell'export degli Stati Uniti), bisogna rendere il sistema attrattivo per nuovi investimenti che diano minore dipendenza nella produzione di principi attivi da Cina ed India e soprattutto continuino a porre l'industria farmaceutica come industria traino del PIL del Paese, dell'occupazione, dell'export. Quest'anno siamo il secondo settore nel primo semestre, ma verosimilmente potremmo essere il primo settore nel saldo attivo nel 2025, quindi una risorsa straordinaria che non possiamo disperdere.
Attrattività degli investimenti, ma anche mercato interno dei farmaci. E quindi se penso alla legge di bilancio, per il momento non posso che confermare la nostra insoddisfazione e delusione rispetto a una manovra che non aggiunge risorse alla spesa farmaceutica, al tetto della spesa farmaceutica, che chiediamo venga alzato di 0,55% perché il Paese sta consumando più farmaci, la popolazione invecchia, vi sono comorbidità e quindi se a parole siamo strategici per la nazione, non lo siamo nei fatti. Se questo non avverrà, aumenterà il pay back, che quest'anno raggiunge i 2 miliardi di euro per le aziende, quindi un chiaro freno agli investimenti, una tassa sulle tasse che non ci possiamo più permettere. E quando poi qualcuno, soprattutto della politica, parlerà di carenze di farmaci non ci potremo stupire. Le aziende oggi vivono un contesto con un incremento dei costi del 30% rispetto al 2021. I prezzi sono in discesa per effetto delle negoziazioni e rinegoziazioni e quindi non investire sulla spesa farmaceutica è un passo indietro che non voglio, non vogliamo accettare. La strada intrapresa da questo governo è quella giusta – conclude - ma deve essere ribadita e confermata nella legge di bilancio per andare verso un modello nuovo dove non vi sia più il payback per le aziende, perché questo rappresenta oggettivamente una distorsione rispetto al fatto che aziende private debbano sostenere i costi strutturali operativi dei sistemi sanitari”.
Barbara Di Chiara