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Farmaci. Censis, quasi sei italiani su dieci riconoscono il farmaco dalla "griffe"


E il 45% è disposto a pagare di più per averli. A riconoscere il farmaco dal nome commerciale sono soprattutto i giovani. Comunque, il 77% dei cittadini conosce le nuove norme sulle prescrizioni in base al principio attivo. È quanto emerge da una ricerca del Censis realizzata per Farmindustria.

14 NOV - Quasi sei italiani su dieci (il 57,6%) riconoscono i farmaci che assumono dal nome commerciale, appena il 7,6% grazie al nome del principio attivo e quasi il 35% attraverso entrambi. Sono soprattutto i giovani a identificare di più il farmaco dal nome commerciale, esattamente il 68,5%, seguiti dagli anziani (64,9%), e dalle persone con un pessimo stato di salute (64,7%). Non solo, poco meno di cinque italiani su dieci sono pronti a pagare di tasca porpria per avere il farmaco "griffato". E quasi otto italiani su dieci sanno che il medico di famiglia deve indicare sulla ricetta il principio attivo del farmaco.
 
A delineare in contorni del rapporto tra farmaco e cittadini è una ricerca del Censis realizzata per Farmindustria con l’obiettivo di capire qual è l’impatto della prescrizione con principio attivo sulla qualità delle cure.
 
L'appeal del nome commerciale.I cittadini associano farmaco e nome commerciale, facendo di quest’ultimo il principale fattore identificativo, pur nella consapevolezza che esistono altri medicinali equivalenti, magari con un costo inferiore. Sono più informati sull’esistenza di farmaci equivalenti gli anziani (il 78% ne è a conoscenza) dei giovani (59,1%), i residenti al Centro (77,2%) rispetto a quelli del Sud (74,5%).
 
Se il nome commerciale del farmaco identifica il proprio medicinale non sorprende che una quota elevata di cittadini sia pronta a pagare di più per averlo. Quasi il 45% degli italiani dichiara che nell’ultimo anno gli è capitato di pagare una differenza di tasca propria per avere un farmaco di marca piuttosto che quello fornito dal Servizio sanitario con lo stesso principio attivo ma a un costo inferiore. Ad averlo fatto sono soprattutto gli anziani (oltre il 54%), le donne (quasi il 49%) e più ancora le persone con un pessimo stato di salute (il 70,6%).
 
Proprio l’identificazione del farmaco con il nome commerciale spiega perché si genera disagio nei cittadini se cambiano aspetti del farmaco assunto abitualmente relativi al nome (73%), alla confezione (oltre il 57%), al colore (54,2%) e alla forma della compressa (50,7%). Il disagio per l’eventuale cambiamento del nome è più forte tra gli anziani (oltre il 79%), gli uomini (oltre il 73%) e le persone con un pessimo stato di salute (quasi il 71%).
 
Alto è anche il rischio di confusione, in particolare per gli anziani. Il 30% degli italiani dichiara che si potrebbe confondere se il farmacista gli consegnasse un medicinale contenente lo stesso principio attivo di quello che prende solitamente, ma con una confezione diversa o un nome differente. Il rischio di confusione è molto più alto tra gli anziani (oltre il 39%) e le donne (quasi il 28%): si tratta di un’area vasta e con una consuetudine di rapporto con i farmaci anche quotidiana.
 
Medico garante della sostituzione del farmaco. E se un cambiamento del farmaco deve esserci, il medico è il solo garante. In caso di sostituzione per ragioni economiche di un farmaco normalmente utilizzato, il 61% dei cittadini dichiara che non gli provoca disturbo se è il medico a farlo, il 16,6% se è il farmacista, mentre più del 22% è contrario (6,9%) oppure infastidito (15,5%). Ferma restando la centralità della fiducia nel medico per tutti i cittadini, si constata una maggiore avversità al cambiamento del farmaco per ragioni economiche da parte degli anziani (quasi il 28% è contrario o ne è disturbato), delle donne (oltre il 25%) e delle persone con un pessimo stato di salute (oltre il 29%).
 
Il 77,4% dichiara di essere a conoscenza delle nuove norme sulle prescrizioni, del fatto cioè che il medico di medicina generale deve indicare sulla ricetta il nome del principio attivo. Quasi il 63% è a conoscenza del fatto che, in caso di patologia cronica per la quale il paziente era già in cura al momento dell’entrata in vigore della norma, il medico può continuare a prescrivere il farmaco con il nome commerciale che prescriveva in precedenza. E sono più informati gli anziani rispetto ai giovani, le donne rispetto agli uomini. Il 66,7% dichiara di aver già sperimentato la modalità della prescrizione con principio attivo. Di questi, il 19,9% per una nuova patologia, l’80,4% per patologie per le quali erano già in cura.
 
Troppa pressione economica sulle prescrizioni. Secondo i cittadini, attualmente c’è troppa pressione economica sulle scelte prescrittive a causa delle manovre di bilancio pubblico e dell’entrata in vigore delle nuove norme. Oltre il 47% degli italiani ritiene che ci sia stato un aumento del peso del fattore economico sull’attività prescrittiva dei medici negli ultimi dodici-diciotto mesi, il 36,4% ritiene che sia rimasto inalterato, il 6,2% che sia diminuito, mentre il 10% non ha opinioni al riguardo. D’altro canto, per il 77% le esigenze di ridurre la spesa pubblica per i farmaci pesano molto o abbastanza sull’attività prescrittiva e oltre il 61% registra un aumento della spesa di tasca propria per l’acquisto di farmaci. Emerge evidente nella percezione collettiva che c’è una pressione dall’alto per tagliare la spesa pubblica che condiziona medici, pazienti e rischia di incidere sulla qualità delle prescrizioni. Ma gli interventi sulle modalità di prescrizione e di accesso ai farmaci cozzano con la personalizzazione del rapporto dei cittadini con il farmaco, che passa anche per la consuetudine, spesso quotidiana, a prendere un determinato farmaco reso riconoscibile da nome commerciale, confezione, forma e colore del medicinale stesso.

14 novembre 2012
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