La riforma dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), la cui bozza anticipata la scorsa settimana da Quotidiano Sanità sta proseguendo il suo iter dal ministero della Salute, al Mef e alla Funzione pubblica, prima di approdare in Conferenza Stato-Regioni (che dovrà esprimere l’intesa entro il 30 giugno), non porterà solamente a una modifica profonda dell’impianto strutturale dell’autorità regolatoria italiana per i medicinali. Nel quadro di questa riforma, infatti, a quanto si apprende da fonti qualificate, l’obiettivo del ministro Schillaci è quello di rendere l’ente più snello, più efficiente e più in linea con la situazione internazionale, in particolare europea.
Il decreto attuativo elaborato dal ministero della Salute definisce la nuova organizzazione dell'Agenzia del farmaco dopo l'abolizione della figura del Dg, la nascita della Commissione Unica (scientifica ed economica - Cse) nonché dei nuovi ruoli di direttore amministrativo e direttore tecnico-scientifico. Il presidente, sulla cui nomina il ministero della Salute ha voluto sostituire la parola “d’intesa” a “sentita” la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (anche per la composizione delle ex commissioni Cts e Cpr le Regioni avevano diritto a indicare 4 nomi ciascuna, mentre nella nuova Cse ne designeranno solamente uno), sarà quindi senza dubbio il ruolo chiave dell’organismo, ma affiancato da due ‘nuovi’ direttori, le cui funzioni saranno tutt’altro che secondarie.
Ma oltre al suo funzionamento interno, l’idea della ‘nuova Aifa’ prevede che le attività dell’ente vadano ad assumere un impianto più rapido e coerente con quello del regolatore centrale, l’Ema, in modo tale da consentire modifiche e flessibilità al perimetro di azione dell’agenzia italiana. Tradotto in concreto, se l’Ema acquisirà, come sta per fare, le competenze di ‘giudizio’ anche su altri settori complementari al pharma (pensiamo all’intelligenza artificiale e a tutti i suoi impieghi nella salute, all’uso delle varie app, ai device), anche l’Aifa dovrà avere a disposizione l’expertise necessaria, magari non con uffici specifici predisposti, ma gruppi speciali o task force. Il tutto in un’ottica in cui Aifa gode di piena autonomia economica, si auto-mantiene e genera persino risorse: l’86% del fatturato dell’agenzia regolatoria, infatti, va a finanziare attività del ministero della Salute.
Non è tutto oro, però, quel che luccica: Aifa in questi anni ha di fatto arrancato nel rendere più brevi le tempistiche con le quali autorizza o rispedisce al mittente nuovi farmaci. C’è poi il fondo Aifa sostenuto da un contributo del 5% sulle spese promozionali delle Aziende farmaceutiche, dedicato al rimborso di farmaci orfani per il trattamento di malattie rare o di farmaci che rappresentano una speranza di cura per particolari e gravi patologie, sospeso e poi riattivato, ma mai realmente decollato, pur essendo molto utile. E il programma per la ricerca indipendente, fiore all’occhiello da rilanciare, in quanto fermo da circa due anni.
Ed è per questo che le nuove norme e la volontà politica vanno nella direzione di creare una ‘nuova Aifa’ in tutto e per tutto. Un’agenzia riformata, in grado di rispondere velocemente ai cambiamenti e alle nuove esigenze del settore, e che sia protagonista in Europa, dove solo quest’anno è prevista l’approvazione di 92 nuovi farmaci e che è oggi con il fiato sospeso in attesa della nuova legislazione europea sulla farmaceutica, ancora in bilico fra i dubbi della Commissione europea e le levate di scudo dell’Associazione europea delle aziende del farmaco (Efpia), che indica nell’impianto attuale un rischio altissimo di rendere il vecchio continente secondario rispetto a Cina e Usa, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione, con regole che, se non modificate e analizzate sotto il profilo della competitività, metterebbero a rischio la protezione brevettuale, da sempre elemento essenziale affinché le industrie continuino a investire.
Barbara Di Chiara