Poche settimane fa l’Aifa ha approvato la rimborsabilità di un nuovo farmaco, bulevirtide, che permetterà di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti con Epatite Delta. A fronte di questa novità, gli epatologi dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (Aisf) e gli infettivologi della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) hanno elaborato un documento congiunto “Indicazioni operative per la diagnosi e la gestione clinica del paziente affetto da Epatite Delta” per fornire raccomandazioni pratiche alla classe medica nei percorsi di diagnosi e cura.
L’Epatite Delta si manifesta solo nelle persone affette da Epatite B, ma è particolarmente virulenta e si caratterizza per il grande sommerso che si fatica a far emergere. Anche nei centri epatologici spesso c’è poca formazione per una malattia per la quale sono sufficienti semplici esami del sangue per diagnosticarla. Si stima che nel mondo ci siano 10-20 milioni di soggetti infetti e che circa il 10% di pazienti con Epatite B abbiano anche la Delta. In Italia si stima che ci siano circa 10-15mila persone affette da HDV. Per l’Epatite B, in Italia, la vaccinazione è obbligatoria dal 1991, quindi il virus è quasi assente nella popolazione under 40, ma si riscontra in altre fasce anagrafiche e in soggetti non nati in Italia.
“La decisione di Aifa rappresenta un punto di svolta e mette a disposizione uno strumento di grande rilievo – sottolinea il Prof. Alessio Aghemo, Segretario Aisf – l’Epatite Delta, infatti, non solo è la forma più grave di epatite virale esistente, con capacità di provocare cirrosi ed epatocarcinoma con tassi molto più elevati rispetto alle altre epatiti, ma è soprattutto una patologia contro cui gli strumenti terapeutici sono stati finora limitati. Questo nuovo farmaco permetterà di trattare anche senza interferone pazienti che prima non potevano ricevere alcuna terapia. Adesso, oltre ad averne piena consapevolezza e una cultura diffusa, occorre far emergere il sommerso di coloro che sono affetti dal virus ma non ne sono consapevoli e trattare con massima urgenza i pazienti con malattia avanzata”.
“Il Documento realizzato da Aisf e Simit offre una serie di indicazioni sulla corretta gestione diagnostica, terapeutica e di follow up dei pazienti con infezione da HDV – spiega il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico Simit – Si tratta di un lavoro di facile consultazione, che potrà costituire un valido punto di riferimento per tutti i medici coinvolti. Il Documento si articola in alcuni punti chiave. Anzitutto, vi sono indicazioni per favorire la diagnosi: dati del registro PITER coordinato da Iss, Ausf e Simit mostrano come il 26% della coorte HBV non sia stata testata per HDV, con gravi rischi visto il rapido decorso della patologia. In secondo luogo, il Documento affronta la stratificazione della severità della malattia attraverso metodi non invasivi. Infine, spiega come trattare il paziente con le terapie antivirali disponibili, oggi arricchite da un nuovo strumento terapeutico che permette di contrastare il virus con risultati senza precedenti”.
Diversi studi hanno confermato la validità del trattamento recentemente approvato. Come riportato nel Documento, la somministrazione di bulevirtide monoterapia per 48 settimane normalizza le transaminasi in circa il 50% dei pazienti, riduce la viremia in circa il 70% dei pazienti, sopprime completamente la replicazione virale in circa il 20% dei casi e induce una risposta combinata nel 30-50% dei pazienti. Il trattamento riduce la carica virale anche nel fegato; nel 50% dei casi l’antigene non è più rilevabile nel tessuto da biopsia epatica. Risultati analoghi sono riportati anche nei pazienti con cirrosi compensata e ipertensione portale.