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Patologie coronariche. Niente più stent? Arriva il primo dispositivo riassorbibile


Si inserisce per tenere aperti i vasi ostruiti e restituire il corretto flusso sanguigno ai pazienti, proprio come uno stent. Ma a differenza di questo non è permanente: nel giro di circa due anni si dissolve completamente, dopo aver svolto il suo compito. 

26 SET - È un dispositivo che assomiglia a una gabbia cilindrica, progettato per tenere aperto un vaso ostruito da una placca aterosclerotica e ripristinare il flusso di sangue al cuore. Solo che una volta svolta la sua funzione è in grado di dissolversi gradualmente e completamente. Si tratta del primo dispositivo bioriassorbibile (BVS) per il trattamento della malattia coronarica (CAD), lanciato da Abbott in Europa, in alcune regioni dell’Asia Pacifica e dell’America Latina.
 
Funziona in maniera simile a uno stent metallico, ripristinando il flusso sanguigno corretto, tuttavia, a differenza di questo che è un impianto permanente, il BVS si dissolve gradualmente e completamente (in circa 2 anni), lasciando i vasi liberi di tornare al proprio stato naturale e di recuperare la propria funzionalità. Per poter fare tutto questo il dispositivo – disponibile in varie lunghezze e diametri – è realizzato infatti in polimero di acido polilattico, un materiale naturale comunemente usato per i punti di sutura riassorbibili. L’uso del BVS consente dunque di eliminare la presenza di un corpo estraneo nel vaso ed offre un potenziale recupero della reattività naturale di quest’ultimo. I potenziali benefici a lungo termine sono dunque significativi: il vaso, infatti, è di nuovo in grado di restringersi e dilatarsi per aumentare il flusso di sangue al cuore in risposta alle normali attività; consente inoltre maggiori opzioni diagnostiche e terapeutiche; diminuisce la necessità di trattamenti a lungo termine con farmaci anti-coagulazione e, infine, si preservano i vasi per eventuali futuri re-interventi necessari per la cura dei pazienti. “Evitare la presenza di un corpo estraneo rigido permanente comporta notevoli vantaggi dal punto di vista del recupero funzionale dell’arteria coronarica. Con il nuovo BVS, essa è infatti in grado di rispondere nuovamente agli stimoli fisiologici del paziente. Stiamo assistendo alla quarta rivoluzione della rivascolarizzazione miocardica non chirurgica nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica”, ha commentato Antonio Bartorelli, direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia Interventistica del Centro Cardiologico Monzino, Università di Milano.
 
Chiaramente, il lancio del nuovo dispositivo è supportato da un vasto programma di studi clinici in 20 paesi in tutto il mondo. I risultati ottenuti fino a questo momento indicano che si comporta esattamente come il miglior Drug Eluting Stent (DES) presente sul mercato in termini di eventi avversi (MACE) e di rivascolarizzazione della lesione target (TLR). La domanda che viene più spontanea forse – e che Bartorelli assicura molti fanno anche i cardiologi – è quella che riguarda le conseguenze della perdita dell’azione di supporto del dispositivo: se viene a mancare dopo qualche mese dall’applicazione, l’arteria si richiude? “La risposta è no: sono disponibili, infatti, dati su un numero sufficiente di pazienti trattati con angioplastica semplice che hanno dimostrato che, se l’arteria non si richiude entro 6 mesi, essa rimane aperta anche nel periodo successivo”, ha spiegato lo scienziato. “Questo è stato confermato anche dagli studi effettuati su BVS, che hanno evidenziato gli stessi risultati: a 6 mesi e a due anni (anche dopo il completo assorbimento del polimero) l’arteria non tende a richiudersi”.
                                            
L’angioplastica coronarica ha dimostrato una riduzione della mortalità per malattie cardiovascolari – che rappresentano ancora la prima causa di morte in Italia – di circa il 50% nei pazienti con infarto miocardico acuto ed un miglioramento dei sintomi nei pazienti con malattia cronica. In Italia si effettuano ogni anno 278.000 coronarografie e 140.000 angioplastiche coronariche, ma la popolazione dei pazienti affetti da malattia coronarica nota o misconosciuta è decisamente maggiore. “Negli ultimi 50 anni si è assistito ad un profondo cambiamento nella diagnosi e nella terapia dei pazienti con malattia coronarica”, ha spiegato Ciro Indolfi, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche URT del CNR Università Magna Graecia, Catanzaro. “La possibilità di una diagnosi precoce oggi ha permesso di riscontrare questa patologia anche in soggetti giovani nei quali viene posta una grande attenzione per selezionare la migliore strategia terapeutica alla luce della lunga aspettativa di vita. Oggi l’età media della popolazione si è allungata di 7 anni raggiungendo più di ottanta anni”.

26 settembre 2012
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