Cardiochirurgia. In Italia ancora troppi ritardi per la “Tavi”
La denuncia in un convegno al Senato. I cardiologi: “Manca una programmazione nazionale e regionale. Solo poche regioni hanno messo in atto un’adeguata pianificazione e la procedura non dispone di un appropriato riconoscimento da parte del Ssn”.
25 SET - Definizione di requisiti organizzativi, strutturali e di competenza clinica che garantiscano la qualità delle prestazioni, e determinazione di appropriati meccanismi di remunerazione, tesi a garantire l’attività clinica e l’equo accesso all’innovativo intervento mini-invasivo di sostituzione della valvola aortica per via transcatetere (TAVI), tecnica validata e già erogata a carico del servizio sanitario in molti Paesi come Germania, Francia, Stati Uniti, Paesi scandinavi, in quei pazienti per i quali l’intervento cardiochirurgico è controindicato o a rischio troppo elevato.
Queste, in estrema sintesi, le richieste degli esperti cardiochirurghi e cardiologi interventisti avanzate nel corso dell’incontro “Impianto transcatetere di valvola aortica: valore clinico, sostenibilità ed equità d’accesso”, promosso, con il Patrocinio di Senato della Repubblica, ANMCO-Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, FIC-Federazione Italiana di Cardiologia e GISE-Società Italiana di Cardiologia Invasiva, dal Gruppo di lavoro per l’appropriatezza della TAVI in collaborazione con l’Associazione parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione e l’Italian Health Policy Brief.
La tecnica TAVI venne messa a punto 10 anni fa, per curare la stenosi della valvola aortica, ossia il restringimento, provocato da depositi di calcio, del diametro della valvola cardiaca che regola la quantità di sangue che raggiunge i vari organi del corpo.
“Questo convegno si propone da un lato di ricordare un importante avvenimento per il progresso medico, dall’altro di affrontare i temi legati al valore clinico, all’appropriatezza, alla sostenibilità e all’equità d’accesso nel nostro Paese per questa tecnica, che ha ottenuto pieno riconoscimento scientifico, grazie alle evidenze che ne testimoniano l’efficacia clinica, ma che sta incontrando alcune barriere alla sua piena affermazione”, dichiara il Sen. Antonio Tomassini, Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato.
“La malattia colpisce il 4,6% della popolazione oltre i 75 anni, più di 280.000 persone in Italia”, dice Francesco Musumeci, Direttore U.O. Cardiochirurgia e Centro Trapianti, Azienda Ospedaliera San Camillo–Forlanini di Roma. “50.000 soffrono della forma definita grave e sintomatica, destinata a prognosi infausta nel giro di un paio d’anni, e dovrebbero, secondo le linee guida internazionali, essere sottoposte a sostituzione della valvola danneggiata, un intervento cardiochirurgico importante, ma abbastanza comune”, aggiunge.
Purtroppo, un terzo dei candidati all’intervento cardiochirurgico – circa 15.000 persone – non può essere operato, perché debilitato o per la presenza di altre malattie che rendono l’intervento cardiochirurgico controindicato o troppo rischioso. Per queste persone esiste oggi la TAVI, che si può effettuare in anestesia locale, introducendo la valvola montata su un catetere attraverso l’arteria femorale, oppure in anestesia generale con una piccola incisione tra le coste, entrando nel cuore con il catetere da un piccolo foro eseguito alla punta del ventricolo sinistro o dall’aorta. Gli studi clinici internazionali – studio PARTNER, pubblicato a più riprese sul New England Journal of Medicine tra il 2010 e il 2012, su tutti – dimostrano come nei pazienti inoperabili o ad alto rischio sia un’alternativa.
Ciò è codificato anche dalle recenti linee guida congiunte delle società scientifiche europee di cardiologia ESC e cardiotoracica EACTS sulla gestione delle patologie valvolari: Guidelines on the Management of Valvular Heart Disease 2012. “Le nuove linee guida offrono importanti spunti di riflessione sul ricorso alla TAVI, che confermano le attuali conoscenze sul posizionamento della terapia per determinate categorie di pazienti”, dice Alberto Cremonesi, Presidente GISE. “Dal documento emerge innanzitutto una forte raccomandazione all’uso della TAVI in pazienti con controindicazione alla sostituzione tradizionale per via chirurgica e con un’aspettativa di vita superiore all’anno; in quelli ad alto rischio, invece, la decisione sul tipo di intervento dovrebbe dipendere da una valutazione collegiale del cosiddetto ‘heart team’ in cui operano congiuntamente cardiochirurgo e cardiologo interventista, sulla base di specifiche caratteristiche cliniche e anatomiche; infine, chiariscono che la TAVI dovrebbe essere eseguita in strutture ospedaliere con organizzazione dipartimentale dotate di unità operativa di cardiochirurgia”, continua Cremonesi.
Ma per i malati di stenosi aortica italiani non tutto sembra così facile. “Il primo dato che deve far riflettere è che in Italia la stenosi aortica pare sottovalutata. 50.000 malati gravi: poco meno di 15.000 interventi, tra 12.000 interventi cardiochirurgici e 2.000 TAVI ogni anno, secondo i dati GISE e Ministero della salute. In secondo luogo, manca una programmazione nazionale e regionale per la TAVI. La situazione è molto diversa da Regione a Regione: solo poche hanno messo in atto un’adeguata pianificazione. La procedura non dispone di un appropriato riconoscimento da parte del Servizio sanitario. Manca uno specifico codice di procedura e, nonostante l’attribuzione da parte di alcune Regioni di un rimborso extra-tariffa, in molti casi i costi di ospedalizzazione per la prestazione risultano non equamente rimborsati. Il tutto si traduce in un importante fenomeno di mobilità interregionale e di equità per i cittadini di diverse realtà geografiche”, spiega Pierluigi Stefáno, Coordinatore Area Cardiochirurgia ANMCO.
“Crediamo sia necessaria, da parte delle autorità di governo del nostro Servizio sanitario nazionale, un’approfondita riflessione che coinvolga gli esponenti del mondo scientifico per definire un percorso condiviso che possa portare in tempi rapidi di soddisfare le richieste crescenti per questo tipo d’intervento salvavita e metta a disposizione dei centri idonei, per professionalità e requisiti strutturali, risorse dedicate e ponderate”, conclude Musumeci.
“Come per molte tecnologie, anche per la TAVI è fondamentale – aggiunge Franco Romeo, Presidente FIC – l’apporto della società scientifiche alla definizione dei processi di governance e dei criteri di finanziamento sia a livello governativo centrale che di singolo scenario regionale. Infatti, i medici hanno la responsabilità della scelta terapeutica che compiono, da utilizzatori responsabili delle tecnologia potrebbero dare un significativo contributo nelle scelte di programmazione sanitaria, infine, essendo fautori di una logica di investimento e appropriatezza e non unicamente di prezzo, potrebbero contribuire alla definizione appropriata dei processi valutativi.”
Diego Freri
Segretario Gruppo lavoro appropriatezza Tavi
25 settembre 2012
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