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Dimissioni volontarie: può essere un indicatore di performance ospedaliera?

In Lombardia, secondo questo criterio, i medici nonostante l’impoverimento degli organici e l’insufficiente programmazione formativa post laurea, riescono a migliorare la soddisfazione degli utenti

31 AGO - La qualità, percepita dal paziente, di una buona assistenza sanitaria, con un corretto e produttivo percorso di diagnosi e cura, spesso è limitato alla valutazione delle singole esperienze personali. In questa indagine si è preso in esame un dato che potrebbe avere un significato specifico nell’ambito di un “customer care” del servizio sanitario: le dimissioni volontarie.

Il paziente (non solo l’assistito ma anche le persone che gravitano attorno ad esso nel momento del ricovero) ha il diritto di essere informato sulla diagnosi, terapia e prognosi, ma può anche esercitare il rifiuto a un trattamento medico.

L’esperienza clinica quotidiana ci suggerisce che per la stragrande maggioranza i casi di dimissioni volontarie sono dovute a scelte di proseguire le cure presso altre strutture o di affidarsi a un clinico diverso dal primo con cui si viene a contatto. Una minima parte di dimissioni volontarie (soprattutto dai pronto soccorso) sono dovute a tempi di attesa ritenuti troppo lunghi (nel caso di codici bianchi o verdi) oppure alla consapevolezza di una refrattarietà alle terapie (nel caso di terminalità).

Se escludiamo questi ultimi due motivi, l’andamento negli anni delle dimissioni volontarie potrebbe essere un indicatore di fiducia che gli utenti ripongono nell’ospedale e nel suo personale.

L’indagine ha utilizzato un pacchetto di dati estratto dal sito della regione Lombardia. La rete permette di rendere consultabili immediatamente dati e notizie della pubblica amministrazione. Nel portale della Regione Lombardia in una sezione sono depositati e aggiornati gli “open data”: ossia pacchetti di informazioni, consultabili dal cittadino, che riportano numeri e valori assoluti dell’attività sanitaria. Si è preso in esame il periodo che va dal 2010 al 2016 considerando tutte le strutture ospedaliere sia Hub che Spoke (aziende ospedaliere, IRCCS, ospedalità privata). I dati considerati sono i ricoveri totali, le dimissioni ordinarie, le dimissioni volontarie e si è escluso i trasferimenti tra un ospedale e l’altro, decessi, secondi ricoveri.


Dati riferiti alla Regione Lombardia
Tab .1
 

Il grafico sopra riportato disegna la curva della percentuale delle dimissioni volontarie. La linea con una lieve pendenza esprime una riduzione dello 0,9% delle dimissioni volontarie in 6 anni. Tradotto in numeri significa qualche migliaio di utenti in più che si affidano al SSR della Lombardia.

Conclusioni
Se un’analisi numerica può esprimere un grado di soddisfazione dei bisogni sanitari della popolazione, va anche riconosciuto il merito a una classe medica composta di professionisti che riesce a mantenere a livelli ottimali la prestazione medica in Lombardia. Tuttavia è difficile prevedere quanto riesca il sistema a funzionare essendoci all’orizzonte un depauperamento del personale (che trova radici nell’“imbuto formativo” che non permette a tutti i laureati di accedere alle scuole di specialità, e nella la “gobba pensionistica” che come un onda traghetterà nei prossimi anni migliaia di medici alla pensione).

Bruno Nicora
Anaao Assomed Lombardia


Sitografia:
www.regione.lombardia.it


31 agosto 2018
© Riproduzione riservata

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