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Epatite B. Al San Raffaele una tecnica rivoluzionaria per osservarla dal vivo

Per la prima volta al mondo i ricercatori di Milano sono stati in grado di osservare dall’interno e in tempo reale come i linfociti circolanti riescano a fermarsi nei capillari del fegato e da lì a riconoscere e distruggere cellule infettate dal virus dell’epatite B. Mantovani: “Orgogliosi e pronti a sostenere ulteriormente la preziosa opera dei nostri ricercatori e scienziati”.

18 MAG - Una tecnica rivoluzionaria di microscopia in vivo (definita microscopia intravitale) – sviluppata nei laboratori di Luca G. Guidotti e Matteo Iannacone all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano – ha consentito, per la prima volta al mondo, di osservare dall’interno e in tempo reale come i linfociti circolanti riescano a fermarsi nei capillari del fegato e da lì a riconoscere e distruggere cellule infettate dal virus dell’epatite B (noto come HBV). Per visualizzare le varie fasi della malattia epatica, Iannacone e Guidotti hanno utilizzato modelli murini e microscopi ad altissima risoluzione. Questi risultati sorprendenti sono pubblicati oggi su Cell, una delle riviste scientifiche più importanti al mondo.

“La capacità di osservare direttamente ciò che succede in vivo (come se stessimo guardando immagini tratte da Viaggio Allucinante, film fantascientifico del 1966 tratto da un libro di Asimov) è un cambio di paradigma molto rilevante per la ricerca biomedica, perché ci permette di studiare direttamente le patologie nel loro divenire invece di ricostruirle a posteriori”, spiegano in una nota Guidotti e Iannacone. “È un po’ come se un meccanico miniaturizzato fosse dentro il motore di una macchina per vedere esattamente dove si trova il guasto”, continuano Iannacone e Guidotti.

Il sistema immunitario reagisce all’attacco del virus dell’epatite B combattendo l’infezione e causando danni al fegato. Il virus, infatti, non attacca direttamente l’organo e le sue cellule, che anzi utilizza per replicarsi. Ciò che danneggia il fegato sono i linfociti citotossici, specifici globuli bianchi del sangue, che circolano come sentinelle nei vasi dei tessuti alla continua ricerca di cellule “malate” da distruggere (infettate da virus o tumorali). Questo “attacco difensivo” è causa dei sintomi della malattia, come per esempio l’ittero.

Finora si pensava che per arrivare a compiere la loro attività di killer i linfociti citotossici dovessero eseguire tre esercizi distinti e consecutivi: arrestare la propria corsa nel circolo, uscire dai vasi e, infine, introdursi all’interno del fegato dove le cellule bersaglio si annidano. Si pensava inoltre che l’arrivo dei linfociti nei vasi dipendesse dalla presenza in loco di specifiche molecole (chiamate selettine, integrine e chemochine) in grado di richiamare i linfociti citotossici proprio dove il loro contributo era necessario.

La visualizzazione diretta di questi fenomeni in vivo ha permesso di dimostrare come siano piccole cellule del sangue, chiamate piastrine, ad avvertire i linfociti che qualcosa non va (e non le selettine, integrine o chemochine). Le piastrine, infatti, costruiscono una sorta di “tappeto appiccicoso” che intrappola i linfociti e blocca la loro corsa nel sangue. Una volta arrestatesi sul tappeto piastrinico, i linfociti si staccano e iniziano a scorrere lentamente dentro i capillari, anche in senso contrario al flusso sanguigno. “E mentre scorrono – osserva Iannacone – i linfociti seguitano a infilare sottili tentacoli (di un diametro 10,000 volte più piccolo di un millimetro) attraverso piccole fenestrature poste nella parete dei capillari, perlustrando così l’ambiente sottostante. Quando poi arrivano a identificare la cellula malata, al di là della parete del vaso, i linfociti usano i tentacoli per trasportare tossine mortali nella cellula malata, mantenendo però il proprio corpo all’interno del vaso”, continua Guidotti. La permanenza all’interno del vaso permette ai linfociti di continuare a svolgere la loro funzione difensiva.

HBV infetta il fegato causando epatiti acute e croniche. Nelle infezioni acute i numerosi ed efficienti linfociti citotossici riescono a eliminare del tutto il virus ma causano danni al fegato anche seri. Mentre nelle infezioni croniche i pochi e poco funzionali linfociti citotossici non riescono a eliminare il virus ma mantengono, purtroppo, una malattia epatica blanda e continua. Il persistere della malattia epatica per molti anni porta a complicanze quali la cirrosi epatica e il cancro del fegato.

Tra le caratteristiche anatomiche della cirrosi vi sono la riduzione del numero e del diametro delle normali fenestrature dei capillari epatici e la deposizione di tessuto cicatriziale che ne riduce la loro permeabilità. I risultati degli scienziati dell’IRCCS Ospedale San Raffaele spiegano anche perché la cirrosi sia un fattore tanto predisponente per l’insorgenza del tumore del fegato. I linfociti citotossici che scorrono all’interno dei capillari epatici non riescono più a infilare i loro tentacoli nelle fenestrature e ciò limita fortemente la loro capacità di identificare e distruggere le cellule malate al di là della parete dei capillari. Quando le cellule malate in questione sono cellule del fegato che stanno acquisendo proprietà tumorali, il mancato riconoscimento da parte dei linfociti citotossici permette a queste cellule non solo di crescere indisturbate ma anche di acquisire caratteristiche sempre più aggressive.

“Le nostre tecniche di microscopia intravitale stanno illustrando lo svolgersi della malattia epatica in modi finora inimmaginabili e sicuramente queste informazioni aiuteranno lo sviluppo di nuove terapie per l’epatite B. Non solo, queste tecniche permetteranno una miglior comprensione di altre patologie epatiche di natura virale, batterica, parassitaria o tumorale per le quali non disponiamo ancora di adeguate terapie ”, spiegano ancora Guidotti e Iannacone.

Lo studio pubblicato su Cell è stato possibile grazie a finanziamenti dell’European Research Council (a Luca G. Guidotti e a Matteo Iannacone), della Giovanni Armenise Harvard Foundation (a Matteo Iannacone), del National Institute of Health americano (a Luca G. Guidotti) e dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (a Matteo Iannacone). Luca G. Guidotti è responsabile del laboratorio di Immunopatologia ed è vice-direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Matteo Iannacone è responsabile del laboratorio di Dinamica delle risposte immunitarie sempre al San Raffaele di Milano.

Grazie ai suoi studi sull’epatite B il dottor Iannacone riceverà, il prossimo 25 aprile a Vienna, il prestigioso Young Investigator Award 2015 da parte dell’European Association for the Study of the Liver.

“Orgoglio” per il lavoro svolto è stato inoltre espresso in una nota dal vicepresidente e assessore alla Salute Mario Mantovani. "Un nuova scoperta nel campo scientifico, un primato mondiale ottenuto grazie ai ricercatori della nostra sanità lombarda. A loro il mio plauso e la mia riconoscenza. La migliore conoscenza dello sviluppo della malattia epatica - ha aggiunto Mantovani - consentirà certamente nel futuro di individuare nuove terapie per sconfiggere questa malattia. E' un contributo di cui andare orgogliosi e che ci spinge nel sostenere ulteriormente la preziosa opera dei nostri ricercatori e scienziati, che da sempre fanno grande la sanità lombarda in Italia e nel mondo".
 
 

18 maggio 2015
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